Andare a vedere un film di Paolo Zucca è sempre piacevole. L’uomo che comprò la luna non delude le attese: il registro comico-grottesco, a tratti surreale, tipico del suo stile, è ampiamente confermato.
Il grande talento artistico nel confezionamento di immagini parlanti anche senza dialogo raggiunge ulteriori livelli di qualità (a parte le scuri e i falcetti arrugginiti dell’inseguimento), rispetto al suo primo film, L’arbitro.
Benito Urgu si colloca ormai ad alte vette interpretative, perché finalmente la parte drammatica della sua maschera comica trova una modalità espressiva ben costruita nei dialoghi e nelle scene.
Ovviamente, come accade a tutti i visionari, anche per Zucca il problema è il finale.
Chi, laddove gli altri vedono un asino, vede invece una metafora del mondo; chi, laddove gli altri vedono un deserto, vede un palcoscenico della solitudine umana, ha sempre il problema di come concludere le storie, perché per lui le storie non esistono, esistono brandelli lirici della Storia, non le storie, e questi frammenti non finiscono mai, sono eterni, si legano gli uni agli altri solo con le rime. Il giallista parte dalla fine, procede a ritroso, nasconde le tracce, maschera i colpevoli, complica il quadro di notizie inutili, spruzza un po’ di psicologia e di sociologia e vende il suo bel prodotto chiuso e rassicurante. Il poeta, e Zucca è un poeta, chiude perfettamente in rima le strofe, ma non i romanzi.
La prima parte del film (la formazione culturale) è perfetta: ironica, esplicitamente non realistica, profonda, palesemente forzata e caricaturale, eppure umana.
La seconda inizia con una grande promessa (subito abbandonata): lo scontro a Cagliari tra luogo comune e realtà. Poi però Zucca abbandona questo contenuto e ritorna ai luoghi comuni, trovando comunque una strada narrativa avvincente: tutte le prove cui viene sottoposto l’eroe vanno a buon fine fuorché una (con abbondanti citazioni ironiche dell’epica degli spaghetti western).
La terza parte (salvataggio e riscatto), è giocata sul versante mitico e politico (ma sempre grottesco e un po’ fumettistico) ed è la meno riuscita: i sardi (gli eroi dei quali vivono sulla Luna, come il senno di Ariosto) vincono nel presente ma solo nel mito, non con la fatica, non con l’ingegno, non con il raffinamento di sé, ma grazie all’intervento di una bruja, amica della Luna e della Sardegna. Questa parte risente, e lo dico con la massima delicatezza, di luoghi comuni culturali pari a quelli antropologici che i primi due terzi del film da un lato irridono e dall’altro confermano (ahinoi).
Dopo essermi goduto il film, il cervello mi ha ricondotto all’oggi, alla continuità territoriale, alla prigione in cui siamo chiusi in modi vergognosamente rassegnati e di cui avevo avuta l’ennesima personale esperienza nei giorni precedenti. La storia degli aerei da e per la Sardegna, interpretata alla Zucca, sarebbe la seguente.
Cappellacci fece una continuità di compromesso: tariffa unica per tutti per nove mesi, libera per tre. All’Europa non stava comunque bene (l’Europa, in un film, avrebbe il ruolo e la faccia che ne L’uomo che comprò la luna ha Francesco Pannofino). Cappellacci non venne rieletto e poté cominciare a fare la parte, legittima in base al copione, del “Quando c’ero io”.
Diventa assessore Deiana, vara una nuova continuità territoriale molto sfidante, vantaggiosa per i sardi, pronta a trascinare l’Europa in un tribunale, ma bocciata dai mercati ma soprattutto dall’Europa. Pannofino manda il dipendente Pino a parlare, con le sopracciglia arcuate, con Pigliaru, e i bandi Deiana vengono ritirati.
Arriva Carlo Careddu, l’allievo di Benito Urgu nel film.
Careddu va da Pannofino (Europa) e lo costringe a scrivere, scrivere e scrivere, risolvendo progressivamente tutti i problemi posti da Pannofino (Europa), anzi, facendogli dichiarare che gli ostacoli sembrano tutti superati. Tuttavia, Pannofino (Europa) si tiene sempre un asso nella manica: afferma che tutto va bene purché nessuno si lamenti, perché diversamente “Noi apriamo comunque una procedura d’infrazione (anche se il bando lo abbiamo scritto insieme); noi europei non vogliamo rotture di scatole per voi sardi“. Ovviamente Careddu pubblica i bandi; riesce a farsi capire da Toninelli (cosa non semplicissima) e giunge a qualche giorno dall’entrata in vigore della nuova continuità aerea. Ma Ryanair (e, immagino, non da sola) scrive a Pannofino-Europa sollevando questioni. Scatta la clausola di salvaguardia europea: qualcuno fa casino, quindi non se ne fa niente, “altrimenti – dice Pannofino – apro una procedura di infrazione”.
Solinas, appena eletto, sente il bau-bau europeo e lo trova familiare e gradevole, memore dei 7 milioni di euro che la Giunta Pigliaru ha dovuto mettere in tutta fretta per risolvere il casino della Flotta sarda e degli altri cinque milioni di euro che sempre la giunta Pigliaru dovette mettere per non chiudere l’aeroporto di Alghero; consapevole che in Italia, se vai in giudizio contro l’Europa e perdi e ti condannano a restituire le somme stanziate per aiuti di stato, dopo c’è sempre la Corte di Conti che ti disintegra fondo schiena e patrimonio, al primo abbaiare europeo, nonostante le promesse eroiche di schiena dritta e mascella in fuori fatte in campagna elettorale, revoca i bandi di Careddu e ripristina la continuità Cappellacci, ma la rende a due teste: una a Cagliari e Alghero e l’altra a Olbia. A questo punto Zucca chiamerebbe la bruja per sconfiggere Pannofino, bacchettare l’inginocchiato Solinas e sconfiggere il cane aereo bicefalo, ma le bruje son finite, ci sono invece sono le fatiche, il coraggio e il lavoro, ma sono latitanti. Ah no, ci sono anche le proteste postume, le proteste post-elettorali di chi vede i propri prescelti fare esattamente ciò che era chiaro che avrebbero fatto. Queste sono le comparse più comiche.