di Paolo Maninchedda
Ho scritto per la rivista Atlantide un piccolo articolo sulla crisi dell’Italia, nato dalle domande della redazione.
Eccolo qui.
Ieri ho letto per tutta la giornata i lanci di agenzia sulla città metropolitana di Sassari. Sarebbe opportuno parlare di questa idea in sedi universitarie, cioè in sedi dove la razionalità è un obbligo, non un optional. Ciò che trovo drammatico è il riproporsi di un fenomeno di lunga durata, direbbe Braudel, e cioè la dicotomia della Sardegna lungo il confine del Marghine. Una vera follia che, immediatamente, ha prodotto la terza gamba, la Gallura, solo che questa volta la mitica e mitizzata terza gamba non sta in mezzo ma di lato e ovviamente immagina di essere corredata a sud da gioielli indisponibili quale può essere il Nuorese. È ricominciato il domino dei campanili.
Torniamo dunque ai tempi dello scontro tra l’arcivescovo di Sassari e l’arcivescovo di Cagliari sulla primazia della Sardegna; fra un po’ ci metteremo a esumare cadaveri di martiri per aumentare la gloria del paesello, poi tireremo fuori le grida manzoniane sui confini del territorio, e nel frattempo non aumenteremo di un centesimo il Pil della Sardegna, la nostra ricchezza.
Ho insegnato sette anni a Sassari e ho imparato (in Consiglio di facoltà, non in aula) che a Sassari si studia il potere, ma spesso lo si fraintende. Ora a tutti è partito l’embolo della città metropolitana, con la convinzione che sia la chiave dello sviluppo. In realtà è la chiave per accedere a qualche milione di euro, ma non è la chiave per lo sviluppo, posso dimostrarlo per tabulas. Ciò che sta guidando molti dirigenti politici è il vecchio schema della guerra feudale per la spartizione della ricchezza disponibile (gli stanziamenti sulle città metropolitane), non invece la corsa alla collaborazione per aumentare la ricchezza prodotta. L’idea che la ricchezza si distribuisca in base alle mappe del potere è tipicamente sassarese ma è sbagliata. L’idea giusta è porre il problema della distribuzione della ricchezza prodotta nel territorio della Sardegna e c’è veramente molto da fare per riequilibrare il potere attrattivo e distributivo di Cagliari.
Tuttavia, come accade sempre quando Sassari si muove, c’è sotto una questione più profonda.
L’elezione diretta dei sindaci ha cambiato la testa dei dirigenti politici. In molti pensano che la Regione sia un confederazione di Comuni e che dunque il rapporto tra Comune e Regione è lo stesso che esisteva tra i Comuni e le Province. In ultima analisi, la Regione sarebbe un organo di secondo livello e dunque il Consiglio regionale dovrebbe essere l’assemblea dei sindaci, una sorta di organo di secondo livello, che decide sulle questioni di area vasta. È la fine della Sardegna a favore delle centinaia di ‘Sardegne’ rappresentate da ogni singolo comune. Non ci sarebbe più una visione statuale comune, una dialettica con l’Italia e l’Europa, ma tante municipalità aggressive sul bilancio della Regione. Si tornerebbe al concetto anagrafico di nazione che vigeva nel Cinquecento, quando nei documenti si aveva maggiore consapevolezza del nesso etimologico tra ‘nazione’ e ‘nascita’, per cui una persona era di ‘nazione sassarese’, intendendo dire che era di Sassari. Queste sono le conseguenze dell’assenza di una cultura statuale per la Sardegna e di una formazione politica coincidente con la sola esperienza amministrativa; e sono conseguenze epocali e gravi.
Infine una buona notizia: mercoledì prossimo in Commissione bilancio inizia la discussione sul disegno di legge sull’Agenzia delle Entrate. Verrà sentito l’Assessore al Bilancio e poi i direttori delle agenzie del Trentino (parlo di proposito del Trentino per infastidire tutti quelli che mi hanno infastidito sui senatori dopati del Trentino) e del Friuli. Sarà poco o sarà molto ma il metodo del confronto porta frutti.
L’Italia dei marinai, la Sardegna dei localismi.
Comments on “L’Italia dei marinai, la Sardegna dei localismi.
Per fortuna da mercoledì prossimo, finalmente,
si parla di entrate”
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È comunque da tenere a bada il potere di Cagliari. Il deserto al centro della Sardegna si allarga sempre di più e non è logico che ,nella era digitale, tutti gli uffici regionali siano a Cagliari. Paesi con un tessuto urbanistico di alta qualità di vita stanno scomparendo. Cose già dette ma nessuno fa niente.
Sulle Entrate potrebbe essere un buon momento in quanto si sta sfaldando l’Agenzia Entrate nazionale. Potrebbe essere l’occasione per rivedere: un vero federalismo che consenta, con aumento di responsibilità, di gestire alla Regione le proprie risorse; di attuare una vera e giusta lotta all’evasione con la conoscenza del territorio e dei soggetti; un freno ad Equitalia che in questo periodo ha posto in essere la strategia del fallimento fiscale. Speriamo in una proficua discussione e le esperienze di altre regioni sono importantissime.
quali le politiche x le aree svantaggiate? come fermare l’esodo demografico delle zone interne? l’area metropolitana di Cagliari in quale direzione va rispetto alla più volte affermata volontà di requilibrio territoriale?
Grande articolo, carico di affettività storica e pragmatismo moderno, dove il coraggio della contrapposizione personale e la non accondiscendenza all’apparente ‘mitezza’ politica di questi tempi, sono il vero punto di forza di un uomo politico come sempre capace di esplorare oltre la politica, di interrogare gli eventi in atto, assieme all’intransigente ricerca di un movente strategico unitario. La decisione di non decidere è di per se una decisione, antiprogressista, anticiclica e antistorica. Impliciti i riferimenti, anche di riflesso, alla politica sarda. E la specularità tra il disinteresse nazionale e la cedevolezza, l’arrendismo, spesso lo sconfittismo, comunque sia, l’incoerenza morale dei sardi che ha portato a tante incongruenze storiche. I Sardi devono riprendersi il diritto morale all’autodeterminazione, rivalutando e irrobustendo intellettualmente la propria rappresentanza politica, nell’ottica del divenire storico. Occorrerebbe un esercizio quotidiano di riconquista della volontà individuale. Domanda: le istituzioni devono assumersi la responsabilità di prendere delle decisioni vincolanti rispetto ai valori unificanti di una società nel suo insieme? La risposta è si, oggi è una questione emergenziale. Al momento, anche in Sardegna, Machiavelli resta in pole position: è un continuo rivendicare l’autonomia della politica, rispetto alla morale. Fare discorsi di morale è anzi politicamente rischioso, fuori moda, da guastafeste, cosa ridicola, peraltro contraria al senso pratico, finanche da politici innocui. Così continuiamo a drogarci dei discorsi contraccettivi e nullaproducenti dei politici, che incanalano soltanto confusione emotiva: tra multiculturalità e tolleranza fine a se stessa, assistiamo a un appiattimento e neutralizzazione totale dei costumi e delle regole di comune convivenza. A rischio la sicurezza sociale. È facile convincerci che ciò che è moralmente corretto, spesso e volentieri non lo è politicamente. Non penso che il cittadino comune sia lì pronto ad azzannare la giugulare del politico di turno; al limite lo fanno i politici tra di loro. Piuttosto viene il sospetto che sia così difficile trovare valori condivisi, perché non ci sono più valori condivisi. Eleggiamo in continuazione politici senza tempra e senza temperamento, poche le new entry, abbiamo una gran varietà di politici militanti, mediatori, tiramolla, critici del potere sul davanzale della finestra, politici di opposizione: ma alla fine chi e cosa si decide?
Auspichiamo che l’Agenzia Sarda delle Entrate abbia una funzione anticrisi e riesca a mobilitare risorse proprie e investimenti. E altro che campanilismi! Già il lavoro della vecchia Agenzia per le Entrate, sciolta nel 2011, puntava ad aggregare le imprese per settore, in base al core business di ognuna e al fatturato, indipendentemente dalle dimensioni e dalla dislocazione geografica nell’Isola. Puntava sulle filiere di sostenibilità e riutilizzo; considerava vincente la calibrata combinazione tra innovazione e internazionalizzazione, il giusto mix tra innovazione e tradizione. Concetti questi ultimi assolutamente non astratti, che aiutano a concepire la Sardegna come piattaforma logistica unica nel Mediterraneo, con le sue reti di relazioni pubbliche e private, i suoi ventagli di servizi e infrastrutture. Ci auguriamo si riparta da lì.