di Paolo Maninchedda
Ieri abbiamo avuto il solito annuncio: il Governo italiano ha impugnato l’ennesima legge finanziaria della Sardegna.
Prima di tutto una premessa: esiste una bibliografia sterminata sulla dimensione e sul significato dei conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni di fronte alla Corte Costituzionale ed essa è pressoché unanime nel significare che il conflitto giurisdizionale è stato usato da tutti i governi per comprimere i poteri delle autonomie, soprattutto dopo la riforma del Titolo V della Costituzione. Non è un caso che nel referendum costituzionale del dicembre scorso, proprio per eliminare il contenzioso e deciderlo definitivamente a favore dello Stato, si prevedeva l’introduzione della famosa clausola di supremazia.
Se tutto questo è noto da tempo, il problema politico oggi in campo non è l’ennesima descrizione di ciò che è avvenuto, ma la decisione su ciò che sta avvenendo ormai da tempo. Intendo dire che la rilevanza politica dell’azione del Governo Gentiloni (perché, ricordiamolo, non è lo Stato che ha impugnato, ma il Governo; lo Stato, semmai, attraverso la Corte Costituzionale deciderà sul conflitto) richiede una decisione, non una spiegazione o peggio una domanda.
Decidere è la parte più difficile per chi rappresenta il popolo e lo governa.
Oggi occorrerebbe decidere, ma io ho il dubbio che si sappia su che cosa decidere.
Riprendo qui il ragionamento sviluppato ieri e lo collego alla convocazione del referendum sull’indipendenza indetto dal governo Catalano e contestato dal governo spagnolo. Madrid sta a Barcellona come Roma sta a Cagliari. Che cosa ha fatto il governo spagnolo dinanzi alla convocazione del referendum per l’indipendenza della Catalogna? Ha detto ufficialmente che è illegale; ha detto che è un reato (su questo tornerò nei prossimi giorni, perché è da anni che rifletto su come reagire legalmente alle strategie fondate sull’accusa d’illegalità).
Che cosa sta facendo da anni Roma verso la Sardegna? Dichiara illegittimo ogni suo tentativo di esercitare anche in forme comuni e non eroiche o provocatorie il suo possibile autogoverno.
Non voglio adesso discettare sulla differenza tra illegale (non conforme alla legge) e illegittimo (privo delle condizioni previste dalla legge per essere valido), ma vorrei concentrarmi sul contenuto politico delle due azioni come vengono messe in campo dai due governi: usare il diritto per esercitare l’egemonia politica.
Dinanzi a questa evidenza di fatti, la politica deve dimostrare di aver capito e deve smascherare il conflitto politico, togliergli la maschera di conflitto giurisdizionale e/o amministrativo.
Questo è il punto ed è un punto rifiutato dal dibattito politico sardo, almeno da quello che si svolge nelle sedi istituzionali perché è un punto tanto chiaro quanto esigente per chi voglia intepretarlo: occorre aprire il conflitto con lo Stato fondandolo non sulla protesta o sul movimentismo estetizzante, ma sull’autocoscienza dei sardi di aver espresso istituzioni legittime quanto lo Stato ma democraticamente concorrenti con esso. È chiaro che per far questo occorre una forte coesione col popolo, esattamente quella che non si sta cercando.
Comment on “L’illegalità come forma di lotta politica del Governo italiano”
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Mi chiedo cos’altro dobbiamo aspettare per mettere in campo una azione rivendicativa di una vera autonomia peraltro sancita dalla nostra costituzione.
L’autonomia di fare come dispone Roma non è autonomia ma sciocco appiattimento su posizioni dettate da sciocca burocrazia.E per fortuna abbiamo un governo ” amico” altrimenti chissà come ci avrebbero trattati e non convincono le dichiarazioni indignate della nostra dirigenza regionale se non fanno seguito iniziative forti .
Noi siamo una regione a Statuto speciale e siamo sopratutto una regione speciale nel senso che i nostri problemi sono completamente diversi dalla quelli della penisola per cui vanno adottate misure diverse riguardo gli assi portanti della nostra economia ( trasporti-Turismo-agroalimentare-sanita- pubblica amministrazione-ambiente etc.)