Riceviamo e volentieri pubblichiamo (riservandomi, quando avrò tempo e voglia di scrivere sul Cocco Ortu e il galantomismo di oggi e di ieri).
Caro Paolo,
giusto due anni fa si alzò una certa polemica sulla opportunità di intitolare all’onorevole Francesco Cocco Ortu sr. una delle quattro sale che al Museo archeologico si era deciso di battezzare ricorrendo ai nomi dei leader più rappresentativi delle diverse anime dell’antifascismo. Cocco Ortu, dunque, insieme con Emilio Lussu, Antonio Gramsci e Salvatore Mannironi, così da affiancare il sentimento e la cultura del liberalismo a quelli del regionalismo sardista, del classismo comunista e del cattolicesimo democratico.
Diverse furono allora le opinioni e anch’io dissi la mia (favorevole al riconoscimento della piena dignità antifascista del decano uscente della Camera, che vanamente tempestò il re, del quale pur era ascoltato consigliere, perché firmasse il decreto dello stato d’assedio per fermare la minacciosa “marcia” e che alle elezioni bugiarde del 1924 aderì alla lista liberaldemocratica di Giovanni Amendola insieme con Mario Berlinguer, il quale ultimo fu, di quella lista, l’eletto per maggior numero di preferenze).
A tanto è ritornata la mente, risvegliando anche il buon giudizio di Lussu su Cocco Ortu, statista allora coraggioso ottantaduenne (quasi mezzo secolo li divideva!), perché siamo ai cent’anni da quelle elezioni, e prossimi a celebrare, auspicabilmente con ogni vigoria civile, il centenario del delitto Matteotti e anche dell’Aventino. E anche perché il recente confronto di opinioni sul sardismo d’oggi, che pare non saper preferire i valori universali che hanno ispirato la sua lunga e onorata tradizione (che rimanda anche a Giustizia e Libertà dopo che al mazzinianesimo e al federalismo di Cattaneo e – come negli anni ’50 – all’europeismo di Ventotene!) alle derive sovraniste di improvvisato supporto alle volgarità della Lega e della destra in generale, pagana e tronfia nel suo nulla esistenziale, restituisce attualità alla storia che non è mai remota.
Nel 1922 e 1923, a Cagliari, le squadre “Mazzini”, “Garibaldi”, “Pisacane”, le camicie grigie e quelle rosse, associarono nel rischio i giovani antifascisti sardisti e repubblicani e d’altro sentimento, e fu fraternità civile di cui avremmo avuto testimonianza da Giovanni Lay o Virgilio Schinardi.
Nel terribile 1924 i sardisti fecero campagna elettorale sostenuti, oltre che da “Il Solco” e da “La Voce Repubblicana” (al netto dei sequestri di polizia frequentissimi) dal quotidiano “Sardegna” condiretto da Raffaele Angius, proprio militante, e dal repubblicano (22enne destinato al martirio in Venezuela) Silvio Mastio. E Cesare Pintus – coetaneo e compagno di liceo e d’università di Mastio, segretario della sezione repubblicana e destinato a cinque anni di galera antifascista e all’annessa tubercolosi, alla esclusione per tre lustri dall’albo degli avvocati, nonché (dopo esser stato il sindaco di Cagliari il 25 aprile) alla morte prematura, nella primavera del 1924 intervistò Lussu. Il testo di quella conversazione – che riporto qui appresso e che trattò della dittatura in divenire e del galantomismo di Cocco Ortu amendoliano – uscì nella prima pagina de “La Voce Repubblicana” e ripreso da “La Nuova Sardegna” (del 5-6 marzo) tornata alla direzione antifascista di Arnaldo Satta Branca.
L’adesione lussiana a l’Italia libera, movimento antifascista promosso dai repubblicani Randolfo Pacciardi, poi comandante militare in Spagna, Giovanni Conti, prossimo vicepresidente della Costituente, e Raffaele Rossetti – mitico affondatore della corazzata austriaca Viribus Unitis –qualcosa avrà pure voluto dire in quanto all’orientamento ideale e di coscienza di quanti, anche sardisti, avevano vissuto l’esperienza tremenda della grande guerra e sapevano misurare in termini di storia il proprio personale sacrificio.
Il movimento di Giustizia e Libertà, lo stesso che riunì repubblicani e sardisti impegnati sul fronte della congiura clandestina in patria (e per molti nell’esilio per molti e anche nella guerra di Spagna), fu fondato da Lussu insieme con Carlo Rosselli e Alberto Tarchiani, e Peppino Fiori nel suo celebre “Il Cavaliere dei rossomori” fissa queste coordinate nel processo fondativo: Rosselli rappresentava l’anima socialista (del socialismo non dogmatico ma liberale s’intende), Tarchiani quella liberale progressista, Lussu quella democratica di rimando repubblicano («sardista-repubblicano» scrive Fiori nel capitolo VIII “L’esule”).
Naturalmente conosciamo, e credo di conoscere anch’io piuttosto bene, le vicende politiche e anche le progressive rettifiche ideologiche, o dottrinarie, in senso socialista di Lussu (che disse infine di essere arrivato al marxismo non attraverso i libri ma attraverso i movimenti di popolo). Dunque non sto musealizzando Lussu leader azionista, ma sto soltanto fissando in quella stagione capitale lontana cento anni ma attualissima, il nesso ideale che stringeva lui e la dirigenza tutta sardista – da Titino Melis (arrestato per la complicità con gli oppositori della “Giovane Italia” nel 1928) ad Anselmo Contu, pure lui imprigionato con Michele Saba repubblicano, e Mastino che era stato un esponente della corrente antiprotezionista presardista e Oggiano mazziniano da giovane così come ancora si dirà da vecchio – ai valori universali che nulla hanno a che fare con il nazionalitarismo e tanto meno al rozzo sovranismo della destra.
Non è questione, ben s’intende, di partito, di identificazione con una formazione strettamente partitica; intendo riferirmi alle scuole di pensiero che, affogate nella società liquida, sono quelle che, a mio avviso, il sardismo degli ultimi vent’anni ha tradito con leggerezza insopportabile, senza una minima riflessione prudenziale e perdendo perfino il “gusto” che, come sosteneva Francesco Cocco Ortu jr (che belle e feconde intese seppe allacciare con Titino Melis nel Consiglio comunale di Cagliari negli anni ‘60), dovrebbe orientare le forze della politica. Il gusto di quei valori “prepolitici” che certamente il sardismo di chi ci credeva non avrebbe mai condiviso con la Lega del dio Po e del rosario recitato con sommario ateismo.
Grazie della ospitalità. Abbracci,
Gianfranco Murtas
Marzo 1924
Ecco Emilio Lussu intervistato da Cesare Pintus.
Come si presenterà il vostro partito nei riguardi del governo fascista?
Siamo stati e rimaniamo antifascisti: però combattendo il fascismo ci eleviamo alla sua comune concezione, ci disinteressiamo cioè dei nomi che capeggiano il movimento fascista. Noi combattiamo contro il fascismo partito, governo, dittatura e soprattutto contro i metodi di cui esso si serve. Non possiamo essere d’accordo con quelli che considerano e combattono il fascismo solo nei suoi aspetti locali, dimenticando che il fascismo sardo non è che una propaggine del movimento nazionale, e che riceve ordini da Roma e che questi ordini deve rispettare.
Pure, nel gennaio 1923 vi sono state trattative tra te e il prefetto della provincia, generale Gandolfo, per la fusione fascio-sardista.
Non lo nego. Eravamo in un periodo in cui gli avversari del Partito Sardo, camuffati da fascisti, bersagliavano senza tregua le nostre organizzazioni e bastonavano i nostri compagni. Il governo fascista riconosceva, ufficialmente senza riserve, la necessità basilare del nostro partito, l’autonomia: ed il Partito Sardo fondendosi col fascismo avrebbe salvato interamente la propria organizzazione. Come capo responsabile di un partito politico non potevo dimenticare gli interessi collettivi della massa, ed in questo sta la ragione delle trattative. Pure sui punti principali del nostro programma: autonomia, libertà doganale, isola franca, non ho ceduto di un millimetro. Questa è la verità incontrastabile. E nel caso che la fusione si fosse compiuta, io mi sarei ritirato completamente, assolutamente, per il momento dalla vita politica sarda. Queste sono state le mie trattative, e queste sole, col prefetto generale Gandolfo.
La tua adesione all’ “Italia Libera” significa veramente ribellione contro i capi dell’associazione nazionale combattenti?
Certo. Aderendo al magnifico movimento dell’“Italia Libera” al di sopra della concezione dell’interventismo, io disapprovo i continui atti servili di omaggio al governo fascista da parte dei capi dell’ANC [Associazione Nazionale Combattenti] con lo stesso animo col quale li ho combattuti al tempo di Nitti. Servilismo nessuno, nei riguardi di qualsiasi partito. L’ANC deve comprendere tutti i combattenti, a qualsiasi partito politico essi appartengano, e la sua azione, apolitica in modo assoluto, non deve mirare ad altro che a sistemare economicamente le condizioni dei reduci di guerra.
Il tuo pensiero sulle elezioni?
Noi abbiamo sempre sostenuto che nessun partito di opposizione si dovesse presentare alla lotta. È ridicolo parlare di libertà di voto in un regime di dittatura quale è quello che ci opprime. Noi crediamo che l’astensione attiva avrebbe avuto una forte ripercussione specialmente all’estero. Questa sarebbe stata veramente la prima aperta ribellione al fascismo. Oggi invece in tutti questi esigui gruppetti che si disputano i pochi posti di una sterile minoranza parlamentare, non esiste una vera e proficua opposizione. Nel caso invece dell’astensione attiva, il paese avrebbe alfine visto i propri uomini politici uniti e compatti per la libertà, ed il Parlamento, formato così dei soli impiegati statali, sarebbe stato così assurdo e ridicolo da indurre Mussolini a rifare le elezioni entro l’anno. Ma vista inutile la possibilità di una grande coalizione oppositrice, partecipiamo alle elezioni, pure decisamente contrari al sistema elettorale, per una affermazione di idea e di partito. Non abbiamo accettato alcuna alleanza con l’on. Cocco Ortu, anche se dal lato dell’immediato risultato elettorale tale alleanza avesse potuto darci l’enorme maggioranza dei voti, prima di tutto perché essa avrebbe dovuto essere seguita da una intesa in tutta Italia tra i vari partiti di opposizione, poi perché se anche fossimo riusciti a coalizzarci con lista nazionale di maggioranza, il governo ed il partito fascista non l’avrebbero permesso. Io credo che non sia sorto ancora il partito che possa succedere al fascismo.
Che cosa pensi della condotta dell’on. Cocco Ortu?
Ho il più grande rispetto per l’uomo che, distaccandosi dai suoi compagni di 60 anni di vita politica, si è posto contro una dittatura che i suoi coetanei hanno supinamente accettata. Egli è veramente un esempio eccezionale di democratico, che si impone al rispetto degli avversari, per la sua rigida, diritta condotta decisamente contraria a quella di tutti gli pseudodemocratici che hanno sgovernato l’Italia.
E dell’on. Sanna Randaccio?
Sanna Randaccio è notoriamente filofascista; anzi un benemerito della causa fascista; per cui meraviglia come non sia entrato nel listone.
A proposito, e… sugli eletti del listone?
Con tutti i mezzi che hanno, e con questa legge “ad usum delphini”, piglierebbero molti voti anche se fossero comunisti.
Sorgerà conflitto tra i combattenti che ti seguono e quelli che seguono il generale Sanna?
Affatto. Regna la massima cordialità, e siamo tutti d’accordo. Tutti i generali dell’isola voteranno per il generale Sanna; gli altri combattenti sarebbe desiderabile votassero la lista del Partito Sardo di Azione.
E della guigne che perseguita i mutilati?
Avrei preferito che l’associazione dei mutilati si fosse estraniata da ogni azione politica, per evitare umiliazioni come quella recente. (L’on. Lussu allude alla protesta dell’ass. mutilati contro il fascismo, reo di non avere incluso, come da precedenti accordi – almeno così sembra – il nome del delegato regionale dei mutilati, avv. Nicola Paglietti, nel listone).
La vostra linea?
Ha per contrassegno la bandiera sarda dei quattro mori. Quattro uomini, gli esponenti massimi del Partito Sardo: Bellieni, Cao, Lussu, Mastino. È da più di un anno che avversari antichi e recenti si sforzano di dimostrare che il nostro partito è morto. Intanto il fatto solo della presentazione della nostra lista con i quattro nomi dei maggiori esponenti del Sardismo dimostra che almeno essi sono rimasti al loro posto. Le urne ci diranno se il movimento sardista è veramente fallito. Oltre i tre deputati uscenti, Cao, Lussu e Mastino, ha dato il suo nome alla nostra lista Camillo Bellieni, il primo agitatore dell’idea autonomistica in Sardegna. Valoroso combattente e ferito di guerra, quando io ero ancora in trincea, gittò le basi del Partito Sardo d’Azione. È senza dubbio il suo un magnifico nome che raccoglierà attorno a sé un vero plebiscito di simpatica adesione.
Per me è sempre un emozione fortissima leggere di Emilio Lussu, specialmente le sue interviste perché mi arriva insieme al suo pensiero anche il suo carattere. Grazie per questo articolo e per quelli che in futuro spero potrà pubblicare.