Giancarlo Nonnoi ha insegnato per tanti anni, fino alla pensione, storia della scienza e storia della filosofia moderna all’Università di Cagliari. Nel 2016 aveva curato per il nostro Centro di studi filologici sardi l’edizione delle Riflessioni intorno ad alcuni mezzi per rendere migliore l’Isola di Sardegna di Michele Plazza (qui trovate il saggio, cliccando sull’icona versione pdf a sinistra). Michele Plazza (1720-1791) fu un chirurgo piemontese che venne in Sardegna a insegnare medicina, sull’onda della riforma degli studi universitari voluta dal ministro Bogino. I suoi interessi erano latamente scientifici e, oltre che medico, fu anche naturalista e botanico.
Alla fine dell’anno scorso, Nonnoi ha curato, per la prestigiosa collana Testi e studi di storia delle idee e della cultura l’edizione della Flora sardoa (1748-1788), il primo trattato sistematico sulla flora isolana e il primo trattato scientifico in stile e impianto epistemologico moderni prodotto da un professore dell’Università di Cagliari. L’opera è corredata di indici utlissimi e introdotta da uno studio di altissima godibilità e erudizione. Do il sommario: Presentazione di Francesca Maria Crasta; Saggio introduttivo di Giancarlo Nonnoi; Un linneano nella Sardegna del secondo Settecento; Il ritrovamento della Flora Sardoa; Formazione e professione chirurgica; A scuola dai Lumi e la filosofia botanica di Linneo; Sviluppo economico e salute pubblica; Socialità scientifica e Fasciculus stirpium Sardiniae; Tra cattedra e botanica di Sardegna; Su campu de su rei e la riforma dell’ateneo; Le radici del rosso e le misure del regno; Gli ultimi anni, Girolamo Plazza e il destino della Flora; Manoscritti plazziani e loro attribuzione; I manoscritti della Flora Sardoa: Caratteri generali; Nota sulla trascrizione; Riepilogo dei segni grafici utilizzati; Flora Sardoa (1748-1788); Ms1; Ms2; Indici tematici: Generi e specie ; Fitonomi dialettali ed equivalenti scientifici; Luoghi e habitat di rinvenimento delle specie; Trattati richiamati nella Flora Sardoa; Autori citati nella Flora Sardoa.
Sono un convinto consumatore di miele, un po’ come Yoghi, sia perché fa bene, sia perché mi invento un motivo qualunque per gustarlo (mal di gola, tosse, gastrite, caffè, té, nulla). Non sono un esperto, ma ormai ho una certa esperienza e distinguo bene quelli che conservano i sapori dei campi da quelli che, per mille motivi, sono standardizzati. Ho imparato recentemente che mi piacciono di più quelli ad allevamento escludi-regina da quelli che non applicano questa metodica (non me ne vogliano, so che tra gli apicultori ci sono scontri ideologici su questo tema, parlo del mio gusto, non di ciò che potrebbe essere migliore in assoluto).
Qualche giorno fa ho gustato il miele di Pierluigi Pitzalis e l’ho trovato perfetto, evocativo, equilibrato. Gigi pratica la transumanza delle arnie e le colloca in prossimità delle fioriture. Gustare quello dell’asfodelo e sentire i profumi delle campagne da cui io provengo è stato come trasformare la mia cucina, che la mattina è la mia cella conventuale dove si sente solo il borbottio della caffettiera, in un campo del Marghine, col freddo del Marghine, il sole traditore, l’odore dell’erba, l’odore della terra, i miei ricordi, gli amici, le amiche. Gigi applica il metodo escludi regina e io trovo il miele più buono forse perché i favi non contengono la covata dell’ape regina. Non so, non sono un esperto, sono un goloso. Qui trovate qualche informazione in più. Questa è la campagna dove vivono le api.
Pochi giorni fa l’Univesità di Cambridge ha accolto il secondo preprint di Piersandro Scano. Questo paper è meno specialistico e forse più leggibile e più intrigante del primo di cui abbiamo già parlato. L’oggetto è la riflessione su come proviamo a misurarci con gli enigmi dello spazio e del tempo, che travalicano qualsiasi specialismo disciplinare. Il tema è affascinante e attiene ai fondamenti della realtà. Do in traduzione un riassunto della conclusione: ” In sintesi, si può sostenere che non sappiamo ancora cosa siano realmente lo spazio e il tempo. Sappiamo che il mondo non è puntiforme (e quindi deve esserci qualcosa che chiamiamo spazio). Sappiamo che il mondo non è sempre lo stesso e che cambia (e quindi deve esserci qualcosa che chiamiamo tempo). (…). Sappiamo anche che lo spazio ha meno restrizioni del tempo. Nel primo (lo spazio) possiamo muoverci con numerose opzioni, (…) mentre nel secondo possiamo fare solo una cosa, andare avanti. Siamo capaci di misurare entrambi e la misura del tempo è, infatti, la più precisa che possiamo avere. Questa, del resto, può essere spazializzata, cioè tradotta in lunghezza, oppure può essere scissa da qualsiasi riferimento spaziale, come con un orologio atomico assunto in riposo, quindi sottolineandone il carattere scalare. Sappiamo anche che la massa e la distanza, come altre proprietà, variano con il tempo (…) . Finora non capiamo del tutto, infine, quanto questo sia intrinseco e quanto dipenda dal rapporto con l’osservatore. (….). C’è ancora molto da capire sullo spazio e sul tempo e la prima cosa da sapere è proprio ciò che deve essere messo in discussione riguardo a ciò che passa per indiscutibile.”
I libri di storia locale sono sempre più una rarità, eppure sono essenziali per conservare la memoria del clima sociale di una comunità, non solo degli eventi significativi che l’hanno percorsa.
Tonino Cadoni e Paolo Sechi hano scritto un piccolo libro di storia del mio paese, Macomer, un libro che ricostruisce i 100 anni del Macomer Calcio, la più longeva squadra locale.
Il libro non è importante per la ricostruzione della sotria della società, ma soprattutto perché restituisce memoria a decine e decine di persone, alal loro attività, al loro volontariato, ai loro difetti e ai loro pregi. Ne esce uno spaccato vivo e malinconico, ma soprattutto necessario, perché la vita è obliviosa, trita e dimentica tutto.
La prefazione è del giornalista Umberto Cocco ed è davvero suggestiva, scritta trattenendo il cuore, con un italiano giornalistico che vuole competere letterariamente, un italiano che oggi non usano più nelle redazioni per indulgenza verso la lingua delle frasette ellittiche del verbo e della sintassi, e alla fine, ellittiche di senso. Ne riporto un brano (Umberto è figlio di pastori): “La riunione nella quale il 6 agosto del 1922 in una sala del municipio una commissione discute e decide di costituire la prima società polisportiva – con dentro anche una sezione calcio – è «partecipatissima», scrive un giornale del tempo. La presiede, con due notabili, un Maggiore dell’esercito. Ci sono nel pubblico «molti ferrovieri». Un anno dopo il capo del dipartimento di Macomer delle Ferrovie Complementari Sarde – Aristide Pala, ingegnere – diventa il presidente di quel nucleo, primo nome di una lunga avventura.
Militari e ferrovieri, la spinta iniziale del fascismo tutto muscoli e vitalismo, fra dannunzianesimo e futurismo (“il treno partorito dal sole” è un dipinto di Depero), militarismo; ma i ferrovieri sono forse già socialisti o anarchici (capitolo di un libro che ancora non c’è), ne approfittano per costruire lo sport più solidale, di squadra, attorno al pallone, mentre forse coltivano anche su questa rocca di Macomer i primi sentimenti di coscienza operaia e antifascista. A guardarci ancora un po’ meglio dentro, a questi movimenti, si apre uno squarcio sulla Sardegna intera: il gioco del pallone è dei ceti urbani anche nelle realtà rurali, è così per almeno la gran parte del secolo scorso, è così in tutta la Sardegna. Nei villaggi contadini il pastore non gioca a pallone, sarebbe interessante scoprire quando lo fa, se lo ha fatto, nei tempi più recenti. Nella seconda parte del Novecento giocano a calcio gli studenti, lo hanno imparato nei seminari dove sono stati mandati dai genitori a far svoltare la loro vita. Giocano i ragazzi del ceto medio come quello impiegatizio, artigiano, commerciale, o anche popolare come gli operai e persino il sottoproletariato senza un mestiere certo. I giovani pastori no, e forse è il più tangibile segno di una specie di differente antropologia, di esclusioni e marginalità protrattesi a lungo e sofferte nonostante la retorica opposta del pastore orgoglioso della vita sana e rude, del corpo atletico libero al cospetto della potente natura”.
Da approfondire il “metodo escludi regina”. Occorre andare a Bolotana per capire se è possibile applicarlo, con opportune varianti, per quelle campagne (politiche) dove scrivono ” CUSTU è BÓNU”. Magari risolviamo qualche problema.
Grazie
Il calcio mi annoia per reazione. Ma sapere che c’è ancora chi sa scrivere con ritmo, semplicità e chiarezza – e dunque con eleganza – potrebbe convincermi a interessarmene. Queste segnalazioni e la voglia di condivisione delle idee che emerge da questo blog è quanto di più politico possa sopravvivere del ‘900. Non su tutto sono d’accordo ma seguirlo è comunque interessate.