Avantieri Il Fatto Quotidiano (noto in Sardegna col sottotitolo Binu Malu) ha pubblicato questa intervista a Roberto Scarpinato, già Procuratore capo della Repubblica di Palermo, nonché amico e collaboratore di Giovanni Falcone, ora candidato con il Movimento Cinque Stelle.
L’intervista merita un approfondimento, che cercherò di svolgere senza entrare nell’agone politico-elettorale, come ho preso l’impegno di fare in questa campagna elettorale per favorire la ripresa del dialogo delle forze riformiste sarde dopo le elezioni.
Ciò che mi ha colpito e che non mi aspettavo in questa lettura è la superficialità dell’analisi storica, che sto riscontrando essere, però, una caratteristica di molti magistrati. Alla fine, il problema per loro è semplificare, giungere a un colpevole.
Secondo Scarpinato, la storia repubblicana è la storia di uno Stato biplanare, su due livelli: uno tanto pubblico, legale e ufficiale quanto falso; l’altro occulto, violento, brutale e reale.
Secondo Scarpinato c’è un filo conduttore che va dalla strage di Portella della Ginestra del bandito Giuliano alle stragi del biennio 1992-1994, con in mezzo il terrorismo rosso e nero, le stragi di Piazza Fontana, di Brescia e di Bologna.
Tutto avrebbe alle spalle strutture dello Stato colluse con ambienti della malavita, dell’eversione e della finanza.
Cercare una razionalità a posteriori che giustifichi e leghi tutto è quell’errore che i bravi storici insegnano ai loro allievi a non fare.
Quando conobbi uno dei più grandi paleografi mai vissuti in Italia, mi disse: “Evita di iscriverti al partito dei profeti del passato”.
Chi sono i profeti del passato? Quelli che, conoscendo gli esiti della storia, vanno a ritroso a ricostruire tutto come se fosse stato esattamente preordinato da qualcuno. Si diviene presbiti: tutto torna da lontano, niente da vicino.
L’unità di misura della ricostruzione giudiziaria e storica è il grammo, non la tonnellata. Ciò che sembra tornare coi grandi numeri, i teoremi, quasi sempre si rivela fallace con i piccoli, i singoli fatti. Scarpinato ha purtroppo l’ermeneutica del teorema.
Tuttavia è indubitabile che in Italia dove c’è stata una strage, c’è stato un depistaggio, da Piazza Fontana all’Italicus, da Moro alla strage di Bologna. È indubitabile che in Italia ci siano state non poche latitanze protette (ciò che Renzi racconta nel suo libro sulla sua richiesta, da Presidente del Consiglio, di catturare Matteo Messina Denaro e su che cosa accadde dopo è esemplare). È indubitabile che in Italia, nei Ministeri degli Interni e della Difesa, nelle Presidenze del Consiglio e della Repubblica, sono accadute cose di cui non si è a conoscenza.
Non sto presupponendo, lo dico a ragion veduta.
Un ex ministro della difesa ormai a riposo mi ha raccontato che in quel ministero è meglio non andare in ufficio alle 8 e uscirne la sera tardi, perché si viene informati di molti fatti, volontari e involontari, che accadono a prescindere da tutto e da tutti e non solo nello scacchiere nazionale italiano. Si vengono a sapere tante cose e non di tutte si può dar conto e non di tutte si può essere orgogliosi. Ci sono stati ministri che hanno detto “No”, ma sono stati pochi e sono durati pochissimo.
Un ex parlamentare, che aveva osato occuparsi di servizi segreti militari, mi ha raccontato di aver ricevuto una volta una visita di un alto funzionario di Stato che lo invitò a prestare molta attenzione nei suoi spostamenti, a non lasciare incustoditi i bagagli in aeroporto, a non avere vizi di alcun tipo e a pensare di poter essere fotografato ovunque, anche e soprattutto in una camera di albergo.
Ciampi, da Presidente del Consiglio, ebbe la sensazione, in una notte del 1993, la notte della bomba a Roma a San Giorgio al Velabro, che si stesse preparando un colpo di Stato, ma non è mai riuscito a capire da dove stesse per partire.
Il problema è che, leggendo tanti atti di processi e tanti libri di storia, mi sono convinto che non esista un deep state italiano, ma che ne siano esistiti e ne esistano tanti, con strutture piccole e grandi diverse, con diverse motivazioni e diversi obiettivi.
La realtà non ha una struttura a piramide, ma a rete neurale.
Formulare teoremi vuol dire non capire nulla (come è accaduto al povero finanziere che ha teorizzato, pur di chiudere in gloria il fascicolo imprudentemente aperto, che io fossi a capo di un’associazione a delinquere per costruire inceneritori… glandisti puri!).
Ma c’è di più. Posto che queste cose non sono accadute e non accadono solo in Italia, c’è da chiedersi se esse siano connesse più al potere che alla forma dello Stato. Se così è, allora il ragionamento da farsi è da un lato come rendere trasparenti i poteri, tutti i poteri, dall’altro se davvero ci si possa difendere come Stato senza presupporre e realizzare strutture che tutto sono fuorché trasparenti. È una questione molto complessa e dura da digerire. Tra i poteri opachi c’è anche la magistratura.
Scarpinato ignora che gli atti di tanti processi svelano l’esistenza di un deep state della magistratura, che Palamara ha solo parzialmente descritto. Il fatto che Scarpinato non ne parli è deludente.
Infine, Scarpinato evoca la democrazia ateniese e la sua lezione, che ricorderebbe a tutti che se anche qualcuno si disinteressa di politica, la politica si occupa comunque di lui.
Non è questa la lezione più rilevante della democrazia ateniese.
Per secoli la parola stessa ‘democrazia’ fu impronunciabile in Europa perché proprio l’esperienza greca dimostrava come la democrazia diretta, i processi in piazza, l’arte dei retori e dei politici retoricamente più abili ad agitare il popolo, avesse lentamente corroso le libertà e aperta la strada alla tirannide attraverso la giustizia di piazza, la mob justice di cui si comincia ad aver paura negli USA. Forse, Scarpinato dovrebbe rifletterci sopra.
Scarpinato? Riflettere?