Le prossime elezioni politiche sono state organizzate con meccanismi elettorali tali da impedire che i partiti esclusivamente sardi possano eleggere propri rappresentanti.
Questo dato tecnico ha un forte contenuto politico.
I partiti sardi, vuoi indipendentisti, vuoi autonomisti, vuoi federalisti o regionalisti, possono comunque partecipare alle elezioni, ma con una sola certezza: aumentare le possibilità di sconfitta degli altri partiti che, per quanto italiani nel nome, sono pur sempre fatti di Sardi in Sardegna.
Voglio dire che se anche in teoria i partiti sardi potrebbero vincere in qualche collegio uninominale, certamente non potrebbero eleggere nella quota proporzionale, neanche prendendo il 70% dei voti, proprio per come è stata fatta la legge elettorale.
E dunque accadrà che qualche partito italiano ma fatto da Sardi, risultato vincitore, riterrà di esserlo a prescindere e contro i partiti sardi e qualche altro partito italiano, sempre fatto di Sardi, uscito sconfitto, addebiterà alla mancata alleanza dei partiti sardi la propria sconfitta.
Il risultato politico più probabile dunque per la Sardegna sarà l’approfondirsi delle divisioni tra i Sardi, mentre il dato più inatteso per l’Italia è proprio l’unità della Sardegna.
In queste ore concitate bisogna approfondire bene quanto i meccanismi elettorali pensati a tavolino contro l’unità della Sardegna acuiscano le fratture interne, cioè la nostra malattia più profonda. Spesso si è fatto l’errore in Sardegna di non ritenere l’unità dei Sardi un obiettivo politico e invece la si è derubricata a generico obiettivo morale. Invece è proprio ciò che dovremmo fare, come insegna la storia passata e recente. Dobbiamo stare attenti a non produrre né ereditare fratture, perché nessun governo della Sardegna ha vere potenzialità nazionali se non ha un’ampia base elettorale, sociale e politica.