Vorrei dire ai giudici che avevano il prurito di condannare al fotofinish della prescrizione il maggior numero di consiglieri regionali possibile, specie del Pd, che oggi devono leggere l’intervista di Gianluigi Gessa sull’Unione e vergognarsi. Sì, perché i giudici hanno condannato anche lui, novantenne, mi pare per 400 euro o giù di lì.
Dovete leggere l’intervista a questo scienziato disincantato e affascinante, buono nell’animo e semplice e crudo nelle parole, e capire quanto sfiguri la piccineria del vostro giudizio sommario, che ha avuto tanto il sapore del voler dare una lezione, dinanzi alla grandezza naturale delle persone.
Io ho avuto la fortuna di stargli seduto a fianco per un po’ di tempo, in Consiglio regionale. Mi ricordo la sua grande perplessità rispetto alla mia religiosità (“Secondo come ti stimolo il cervello, mi diceva, tu vedi la Madonna. Scommetti?”). Ma anche l’innocenza infantile con la quale sposava le cause che gli sembravano vere e profonde. O ancora, il realismo, tutto americano, con cui abbandonava le cause giuste, ma perse, per la debolezza delle forze che le sostenevano (era la circostanza tipica nella quale diceva di essere un po’ sordo! Fantastico).
Sto leggendo tutte le sentenze della vicenda dei fondi ai gruppi.
Quella che assolve i Riformatori meriterebbe un’edizione sinottica con quelle che condannano quasi tutti (non tutti) gli altri.
Nella sentenza dei Riformatori i testimoni sono decisivi, perché ritenuti credibili, nonostante siano, come negli altri casi, dipendenti del Gruppo e collaboratori esterni. Ma mentre per alcuni condannati, i testimoni non sono credibili perché amici dei condannati, oppure perché derubricati a collaboratori della campagna elettorale personale e non dell’attività di promozione del gruppo, per i Riformatori sono credibili.
Nella sentenza dei Riformatori ci sono le “spese ambivalenti” che non compaiono negli altri procedimenti, spese cioè non nettamente riferibili ad attività del gruppo. Eppure, in altri procedimenti, queste stesse spese non sono ambivalenti, sono capi d’accusa netti, duri e puri.
Gessa non fa parte di un certo mondo cagliaritano. È un giglio tra i cardi, in questa città.
Gessa ha rinunciato alla prescrizione, insieme a qualche altro (mi pare che lo abbiamo fatto anche Sandrino Frau e quel gentiluomo che è Nazareno Pacifico).
A questi uomini verticali, che stanno di fronte al più forte e sfacciato dei poteri, quello giudiziario, va tutta la mia sincera ammirazione. Mi auguro per loro che abbiano avvocati della razza che studia le cause e dà battaglia e non di quella che cerca a prescindere l’accordo con le Procure.
Viceversa, i miei sentimenti verso i magistrati (con qualche rarissima eccezione) e gli avvocati conigli sono noti e non necessitano di essere ripetuti per non trasformarsi in capi di imputazione.
L’8 luglio sul sito dell’unione ho letto una breve notizia, senza il classico titolone, che raccontava un fatto piccolo per il tipo di reato ma gigantesco, almeno per me, per l’insegnamento paterno dato dal giudice ai due giovani indagati per tentato furto: “Evitate queste aule. Il sole splende e la vita è bella”. “Siete giovani . In bocca al lupo”.
Un po’ di luce oltre la solita gogna aizzata dalla cronaca giudiziaria.
Si b’at magistrados chi faghent «capolavori di ingiustizia» tandho sunt “artisti”!!! E semus in su campu de cudhos chi “O est babbu o est cerca de palla!”, gai pretzisos abbaidendhe, menzus puru si est “per partito preso”, tantu sa diferéntzia tra babbu e unu carru a cucurru de paza… totu est su matessi.