A leggere i giornali, il Papa avrebbe detto: “Omelie di otto minuti o la gente si addormenta. No ai preti che parlano e non si capisce che dicono”.
Vengo meno al voto fatto di non parlare più di Chiesa, perché l’argomento è stimolante.
Il problema è diventato dunque la durata, non la sostanza.
Anche i vescovi sono preti e in genere sono più prolissi dei sacerdoti semplici, ma di loro non si parla.
Resto dell’idea che il cristianesimo sia una questione solo in parte storica; resto dell’idea che il problema dei preti è che dovrebbero avere un lavoro e non fare i preti per mestiere (come diceva san Paolo); resto dell’idea che la formazione dei preti in Sardegna è un disastro di grandissime proporzioni, ma i Vescovi preferiscono chiedere i soldi alla Regione per restaurare chiese e fare oratori piuttosto che per rendere la Facoltà Teologica un grande istituto formativo; resto dell’idea che chi fraintende il cristianesimo con la confusa retorica del Pd, fatta di solidarietà, etica trappista, salottini benpensanti e moralismo sul dosso altrui, non ne ha capito proprio nulla. Avevo deciso di tacere per indegnità, non verso i sottanati, ma verso il fondatore, ma non posso non parlare.
Il più grande filologo sardo del Novecento, Bachisio Raimondo Motzo, diceva di essere stato animato da “amore alla verità che è Dio e alla giustizia che con lui si identifica e da un istintivo bisogno di chiarezza intellettuale ch’era nel campo morale bisogno di lealtà”. Quest’uomo, che fu prete e si spretò scrivendo, unico nella storia recente, una lettera al Papa Benedetto XV che è ancora oggi una lezione magistrale di libertà, di metodo filologico e di nitore morale e intellettuale, quest’uomo ebbe l’onestà di dire di sé che non aveva tendenze “a cantare nenie e a stare in coro”. Il problema, prima di quello della durata delle omelie, è della coscienza delle cose. Pochissimi, ormai, tra i cattolici sanno che cosa sia realmente una messa e perché la si celebri. E non vi è dubbio che la messa, come atto, è oberata da troppa storia, da troppa simbologia sovrapposta, da troppo spettacolo, con inchini, riverenze, braccia aperte e braccia chiuse, che soffocano il nucleo originario, il quale, come sempre, è semplicissimo e abissale.
Il problema di cui il Papa è sicuramente informato è la vocazione dei preti e la loro cultura.
Il 90% di quelli che conosco, vivono una schizofrenia radicale tra dogmatica e esegesi. Sanno che il racconto della Genesi è una forma mitica importata dal mondo babilonese dei Caldei, ma a messa lo raccontano e glossano come se fosse un fatto storico. I preti studiosi sanno che Gesù ragionevolmente è nato a Nazareth e non a Betlemme e che tutto lo sforzo delle prime comunità ebraiche osservanti di sagomarlo sulle diverse profezie hanno generato tanti racconti di cui alcuni finiti nei Vangeli, ma quando salgono sull’altare commentano la superficie e non l’essenziale. I più colti sono convintissimi che la resurrezione sia una sorta di mito gnostico, non accaduto storicamente. Quando va bene sono mistici, quando male sono degli intellettuali. I peggiori studiano la Bibbia al milligrammo, come se il Cristianesimo fosse la religione di un libro. Siamo al simmetrico degli intellettuali di Sinistra che usano il povero Gramsci come se fosse la Bibbia.
Ma come si fa a gettare la croce addosso ai preti?
In Sardegna, il loro più grande problema è la loro drammatica solitudine. Ve ne sono di abbandonati, a volte molto preparati, forse troppo, con due soldi due a disposizione, in paesini sperduti della nostra Isola, lasciati a patire semplicemente per non essersi subordinarti adeguatamente a vescovi pingui e tronfi che quando predicano, loro sì, fanno sorridere e gonfiare enormemente il sacco pendulo. Ve ne sono altri che si sono creati la loro setta personale, si fanno venerare come apostoli e tirano a campare felici e sbagliati.
Si diventa preti per vocazione, per debolezza, per paura, per fraintendimento, ma vescovi per cosa? Una cosa è certa: non per lo Spirito Santo che è una cosa serissima che non si occupa di queste fesserie umane. E si vede, porca miseria! Perché ciò che mi porta a stare vicino ai preti è che se il loro sacrificio venisse meno, le chiese sarebbero chiuse e io non avrei dove andare per stare in un luogo che cerchi di dare forma all’ineffabile. Proviamo a immaginare la Sardegna senza chiese. Questo sarebbe una Sardegna senza preti. Il Cristianesimo non è il potere che ci è cresciuto sopra e quanto più il prete è povero e indifeso, quanto più rifulge il mistero per cui si è sacrificato. E allora, anziché misurare con l’orologio le performance di questi poveri disgraziati, che è cosa da direttore di scuole gesuitiche, sarebbe stato meglio occuparsi della loro solitudine, della loro istruzione, del loro lavoro.
E certo che vanno distinte! Ma cum grano salis. Il primo concilio di Nicea vale indipendentemente (e non viene inficiato) dal fatto che a convocarlo fu un imperatore..
@ Luigi P. E invece io sono rimasto un credente proprio perché ho distinto i segni del potere e della storia dall’essenziale.
@ Prof. Maninchedda. Continui pure a dire della sua fede e della sua inquietudine. La cosa non può guastare e stonare neppure in un blog politico come questo. Per il resto, sono anch’io d’accordo sul non buttare troppo la croce ai preti (e dire che sono spesso vittima di omelie oblunghe e raffazzonate…). Lo sono meno o sui tentativi (che mi suonano fin troppo razionalisti) di distinguere il grano dal loglio o il nucleo dal citoplasma… In un tempo in cui si fatica a distinguere il “fatto” dalla “mitologia sovrapposta” di tante vicinissime feste laiche del calendario, le solennità cattoliche mi appaiono rifulgere di un surplus di radiosa realtà. Comunque sia, grazie.
Mi hai fatto venir voglia di ascoltare una bella predica.
Da aggiungere alla quotidiana enciclica, della quale tutti ti siamo grati
Non solo l’ho letto, e non mi è piaciuto (letto sia in inglese che nella traduzione della Cantarelli) ma ho letto anche Lutero (il terribile Lutero), Erasmo, Spinoza, Simon, Renan, Loisy, Schweitzer, Bultmann, Motzo (il nostro sottovalutato Motzo) e credo di aver conservato la fede proprio perché ormai so riconoscere ciò che non le appartiene e mai le è appartenuto.
Caro Prof. Manichedda
Ha letto “Why I am not a Christian” di Bertrand Russell? Si sta ostinando a non vedere che non è più “cristiano” ….
Gentile professore,
il nostro papa (di noi che ci diciamo cristiani, tutti, dai più convinti ai più annacquati) ci sta abituando ad uscite che paiono estemporanea. La sua comunicazione è ben diversa dal predecessore e, personalmente, non mi dispiace. Ma tutto questo è appunto soggettivo e dunque privo d’importanza.
A me pare che il tema della durata delle omelie sia ricorrente. Ogni tanto ritorna. E sempre c’è la raccomandazione ai preti di non perdersi in inutili giri di parole (cosa salutare in ogni ambito).
Frequento abitualmente le chiese e sono, ahimè, soggetto alla capacità del presbitero di tenere viva la fiammella. Sono giunto alla conclusione che la durata dell’omelia sia un falso problema.
Porto un esempio concreto: nella stessa chiesa mi è capitato di ascoltare due sacerdoti. Il primo va solitamente ben oltre “otto minuti”, il secondo non arriva a quattro. Col primo il tempo vola, col secondo non passa mai. Banalmente, dunque, non è un problema di tempo.
Il punto è riuscire a trasmettere come nella Bibbia ci sia il racconto dell’uomo e della sua affascinante complessità. Un mirabile (divino?) impasto di grandezza e miseria.
La capacità di trasmettere la contemporaneità del messaggio biblico perché l’uomo sarà pure diventato ipertecnologico, e tutto quello che si vuole di questo tempo, ma certamente non è più felice perché la sua essenza profonda non è cambiata di una virgola. Che piaccia o no.
È la sequela al “Fondatore” non sarà mai dipendente allo sforamento degli otto minuti. Anche se, in otto minuti… a voglia di dirne di cose…
Però bisogna dire anche che l’informazione data dai giornali sulla Chiesa e quanto dicono il Papa e i vescovi è spesso povera e mediocre. Il passaggio sull’omelia di otto minuti e la gente che si addormenta è, in realtà, una piccolissima parte dell’Udienza generale tenuta ieri da Francesco, e incentrata su argomenti ben più “alti” come lo Spirito Santo e l’ispirazione delle Scritture. Temi su cui, manco a dirlo, nei giornali non c’è traccia.
La “grande” informazione (e, a traino, molta opinione pubblica), riguardo a Papa e vescovi, cerca e parla quasi solo di battute, scandali grandi o piccoli, eventuali riferimenti politici anche stiracchiati, sesso, e ben poco sullo specifico della fede; così finisce per crearsi anche i suoi stereotipi su Papi e vescovi (salvo poi andare in “corto circuito” se lo stereotipo-macchietta esce fuori dallo spartito in cui i mass media lo hanno ingabbiato). Per carità, ci sta che l’informazione “laica” non si concentri solo o in particolare ciò che è più legato alla fede, ma se si affronta un’analisi sul magistero di un Papa, limitarsi “al resto” è, a mio modo di vedere, veramente riduttivo e soffocante.
Penso che anche Francesco sia vittima, come i suoi predecessori, di questi meccanismi: di conseguenza, la lettura-comprensione del suo magistero ne risulta impoverita e finisce caricaturizzata ad usum delle opposte “tifoserie” ; non essendo ingenuo, il Papa cerca anche di abbozzare e, in parte, persino di cavalcare questi meccanismi, non saprei con quali risultati.
Sul punto delle omelie, peraltro, Francesco si era espresso nel suo testo cosiddetto programmatico, Evangelii gaudium, legandolo all’annuncio del Vangelo, tema, mi pare, di non poco conto. Quindi, per papa Bergoglio, non è solo una questione di cronometro.
Ecco, professore, considerata la sua levatura intellettuale e il suo vissuto da “cristiano inquieto” (mi passi la definizione sintetica) che spesso ha riversato su queste pagine davvero con un ampio respiro – se posso esprimere una critica, mi aspetterei da lei anche nel discettare di Papa e vescovi molto di più di “a leggere sui giornali”. E anche un indulgere un po’ meno alla critica preconcetta (trovo ingeneroso il giudizio indiretto che si potrebbe ricavare sulla Facoltà teologica).
E da lettore del sito, le chiedo di continuare ad affrontare queste tematiche, perché le sue considerazioni sono capaci di incidere (proprio perché, in partenza, su di lei hanno inciso) sulla carne dell’esistenza attraverso l’esercizio del ragionare. Valga come esempio il suo passaggio veramente interessante sul rapporto tra dogmatica ed esegesi. Una questione che mi pare abbia, ad esempio, caratterizzato il percorso di Joseph Ratzinger, direi più dedicato all’esegesi nella prima parte della sua vita, almeno sino all’esperienza da perito al Concilio, e poi spostatosi verso la dogmatica dal postConcilio in avanti.
@ Mauro Lissia Hai ragione, infatti stiamo assistendo al sonno dei popoli. Tutto rapido, tutto in un titolo, poche analisi e via così. Sì, ho capito, comunque, mi devo ritirare.
La chiesa,,,, il partito politico più longevo che sia mai esistito
E in cosa esattamente farebbe migliorare questa supposta misera condizione dei preti, il dilungarsi inutilmente nelle omelie, avvitandosi negli stessi contorti concetti, di cui la maggioranza di loro si compiace?
Se il Papa leggesse questo pezzo, dopo ti direbbe: non scrivere mai più di 2500 battute, altrimenti la gente si addormenta :)
Si, preti e parroci sempre più soli con pochissimi fedeli per convinzione e altrettanti per convenzione. Le chiese sono sempre più vuote, ma per i vescovi sono sempre piene, almeno una volta all’anno in occasione delle cresime di ragazzi che non vedono l’ora di compiere l’ultimo sacrificio prima di evadere e scappare per sempre. Da quel pulpito ci consigliano come si deve vivere. Ma loro vivono?