Ormai da mesi, diversi settori conservatori hanno inaugurato una sorta di tiro al piccione sul sovranismo.
Al di là del merito delle accuse, che è veramente debole, il problema politico reale è che si è capito che il sovranismo, parola con cui si rende più accessibile l’indipendentismo, è una posizione politica seria, non un accidente-incidente elettorale.
Noi indipendentisti (sovranisti per non spaventare nessuno) sosteniamo che i sardi sono titolari di una sovranità originaria, non delegata dallo Stato, che oggi è compressa e inibita dal dettato costituzionale del 1948.
Il primo punto di dissenso con i neo-autonomisti è questo: loro non credono che i Sardi siano titolari di sovranità, cioè del sacrosanto diritto ad autodeterminarsi e a autogovernarsi. Tutti gli altri distinguo sono assolutamente marginali rispetto a questa questione centrale. Ma noi questa questione la teniamo in campo, con fermezza.
Il Consiglio regionale, con l’ultimo ordine del giorno sul titolo V della Costituzione, si è collocato su un piano neo-autonomista, ritenendo questa la migliore posizione da assumere, posto che il Governo italiano, con la proposta Boschi, si è collocato sulla strada di una ulteriore diminuzione degli spazi autonomistici a favore di un rafforzamento dei poteri centrali. Il Consiglio ha parlato la stessa lingua del Governo, in una direzione opposta, però, ed è questa direzione che ci ha permesso di votare l’ordine del giorno proposto.
Tuttavia, la vicenda della riforma in senso prefettizio del Titolo V dice chiaramente che il neo-autonomismo è un ragionamento debole (il problema consisterebbe nell’usare bene i poteri che si hanno, piuttosto che accamparne degli altri) che chiude gli occhi sulla slealtà sostanziale dello Stato, storicamente cronica e oggi erta a proposta di riforma costituzionale centralista.
L’autonomismo è in grado di difendere la Sardegna dallo Stato? In altre parole, se l’autonomismo parrebbe funzionare sulla carta qualora tutti facessero la propria parte, Stato e Regioni, fino a configurare un federalismo de facto se non de iure, come funziona se lo Stato è sleale e non mantiene i propri impegni, come è accaduto da sempre e accade ancora oggi in Italia?
Abbiamo avuto poteri con cui difenderci dall’abuso dei poligoni militari? No.
Abbiamo avuto poteri con cui difenderci da un fisco ingiusto, uguale a se stesso in tutte le latitudini italianee terribile per la situazione economica della Sardegna? No.
Abbiamo avuto poteri per difenderci dal furto delle compartecipazioni erariali, perpetrato apertamente in violazione dello Statuto prima del 2006 e attualmente in atto, per un valore di 1,2 miliardi, nonostante due sentenze della Corte Costituzionale? No.
Abbiamo avuto poteri con cui difenderci dalla tesoreria unica dello Stato, con cui lo Stato si è preso i soldi di Comuni, province e Regione? No.
Abbiamo avuto poteri con cui difenderci dal dominio di Enel e Terna sulla nostra energia? No.
Abbiamo avuto poteri con cui difenderci dal dominio dell’Anas, che in Sardegna inizia a costruire le strade e non ne finisce neanche una, pur facendolo con i soldi dei sardi? No.
Abbiamo avuto poteri con cui difenderci dai trucchi barocchi messi in atto per lasciare la Sardegna in ostaggio della Tirrenia? No.
Abbiamo avuto poteri con cui difenderci dal diniego del collegio unico europeo? No.
Abbiamo avuto poteri con cui difenderci da un Governo che ha impugnato quasi tutte le leggi della Regione? No.
Potrei continuare, ma smetto per non annoiare nessuno.
L’autonomismo balbetta di fronte alla slealtà di Stato. Viceversa, è proprio dal presupposto di questa slealtà che occorre partire. Perché un dato è certo: il Governo italiano non mollerà sul Patto di stabilità, non mollerà sulle compartecipazioni, non mollerà sui poligoni, non mollerà sul welfare, non mollerà sul blocco delel assunzioni, non mollerà sul fisco ingiusto, continuerà a premiare Equitalia, non mollerà su niente. A meno che, la Sardegna non divenga un problema politico di forme e contenuti inediti che costringano lo Stato italiano ad abbandonare le inerzie della Storia che lo proteggono.
Questa rottura di consuetudini politiche e istituzionali che ci serve va realizzata con la Costituente.
Sull’Assemblea Costituente non si può dire se si fa o non si fa: c’è un referendum consultivo che ha detto che si deve fare e si deve fare. Dire oggi che non si fa sarebbe grave e istituzionalmente configurerebbe una rottura del patto tra i goveranti e i governati.
Il problema è il contenuto della Costituente. Il referendum gli affidava solo la revisione dello Statuto e si deve stare a questa missione, tuttavia è evidente che se si convoca una Costituente si parla di sovranità e delle forme di esercizio della sovranità.
La Costituente fa paura agli autonomisti perché non può essere iscritta in un quadro autonomista. Essa presuppone la ridefinizione dei rapporti con lo Stato italiano, configura un rapporto dialettico e competitivo con lo Stato che è esattamente quello che noi del Partito dei Sradi abbiamo promesso di fare in campagna elettorale.
Ma se non si convoca la Costituente, come si pensa di convincere lo Stato a essere leale rispetto alle partite più importanti nelle quali si è contrapposto alla Sardegna?
La Costituente è l’unica arma dissuasiva della slealtà di stato. Guai a indebolirla. Anzi, Pigliaru dovrebbe andare a condurre le trattative per i nostri soldi e i nostri diritti a Costituente convocata, cioè a popolo convocato per cambiare le regole del rapporto con lo Stato. Io non credo che di questi temi ci sia più tempo per discettare accademicamente. Non ci sono soldi, la gente ha fame, il popolo cerca e trova nuovi leader non preparati per governare ma adeguati a interpretare la protesta, non si hanno strumenti per rispondere all’emergenza povertà e il clima è insurrezionale. O si orienta questa situazione verso un nuovo ordine, più equo e più giusto, o si precipita verso un disordine pericoloso, in cui, peraltro, già viviamo.