di Paolo Maninchedda
Sono ore concitate. Si stanno componendo le liste.
Sono le ore delle aggressioni psicologico-morali ai candidati.
Prima strategia: il discredito.
C’è un tizio che gira con un sondaggio farlocco nel quale tutti i partiti vanno male fuorché il suo. Di conseguenza l’unica lista vincente è la sua e tutti dovrebbero candidarsi lì.
Poi ci sono quelli che si stupiscono che persone che hanno sempre aiutato i big della preferenza, adesso scendano in campo di persona. Questi vanno a casa dei potenziali candidati e cercano di dissuaderli in ogni modo, perché li temono. Assomigliano alle holding finanziarie che si vedono revocare la delega a gestire il risparmio privato. È sempre più chiaro che spesso tra le file dei sostenitori di uomini politici affermati si nascondevano persone più capaci e più popolari di loro. Noi porteremo in Consiglio regionali i buoni che le dinamiche dei partiti avevano condannato all’invisibilità.
Questo è il punto: la paura della normalità, la paura della discesa in campo delle persone con una vita normale, non specializzata nella competizione elettorale ma dotata di credibilità sociale.
Che cosa è più temuto del patrimonio di credibilità di una persona normale? La resistenza alla manipolazione.
Una persona normale non accetta che dinanzi a un problema concreto (per esempio, la pessima medicina praticata in larga misura in Sardegna) si svii parlando in generale del debito sanitario, della riforma sanitaria ecc. ecc. Una perosna normale pone in primo luogo un problema di selezione della competenza e sta sul punto. Questa resistenza a farsi portare a spasso è temutissima.
L’altra caratteristica delle persone normali non amata dagli specialisti della preferenza è l’organizzazione.
Le elezioni sono uno sforzo di razionalità. Occorre mettere ordine nei propri rapporti sociali e orientare questo ordine alla diffusione di una notizia (la propria candidatura) e di un’idea (il programma). Prima, la differenza tra una persona di prestigio non abituata alla vita di partito e un dirigente di partito era appunto questa: il primo aveva prestigio e capacità ma non organizzazione, il secondo non aveva prestigio e capacità, ma aveva organizzazione. Oggi non è più così. La rete ha cambiato tutto: un solo uomo può comunicare con milioni di persone con costi bassissimi.
Un computer, un telefono, un po’ di calma, quattro amici e si ha già il nucleo che serve. La preferenza unica ha distrutto le grandi organizzazioni della preferenza. Oggi vince la compattezza del gruppo di partenza. In questo, chi fa volontariato, o semplicemente si occupa quotidianamente degli altri, è avvantaggiato rispetto a chi si occupa di un’organizzazione che è ancora orientata non a servire il prossimo ma a usarlo (i partiti tradizionali). I primi si servono di relazioni di prima mano, i secondi di relazioni artificiose o clientelari di seconda mano.
Noi abbiamo fatto liste di persone normali. Ho realizzato un sogno che coltivavo dagli anni Novanta: organizzare e dare visibilità alla qualità sociale rimasta nascosta per troppo tempo.