Credo che comprendiate tutti la mia necessità, oggi, forse per la prima volta, di non parlare a braccio, ma di ponderare ogni parola.
Mi assumo totalmente la responsabilità politica e personale di un risultato elettorale insoddisfacente e per me inatteso, nonostante esso registri un incremento di voti in valore assoluto per il Partito, rispetto a cinque anni fa, di più del 40%.
Me ne assumo interamente la responsabilità politica perché sono il Segretario del partito e quella personale perché sono stato il candidato alla presidenza, sebbene indicato dalle Primarias.
Me ne assumo l’intera responsabilità perché vorrei evitare che per un frainteso senso di giustizia, che non ho mai capito ma che è diffuso e forse necessario, si cercassero altri colpevoli e fratricidamente si iniziasse una guerra del rinfaccio che, permettetemi, troverei inutile e feroce.
Capisco che serva una sorta di atto di giustizia, per mille ragioni, anche per restare coesi, ma vorrei che interamente e totalmente sceglieste me per questa scomoda necessità.
Credo di aver onestamente interpretato la linea congressuale della convergenza nazionale.
Ho cercato per mesi il dialogo con la parte del Pd più aperta al riconoscimento della Sardegna come Nazione e soprattutto più disponibile a una serrata critica alla struttura dello Stato italiano com’è attualmente configurata. Contemporaneamente non ho trascurato mai di dialogare con la parte moderata del centrodestra, concedendo credibilità a partiti di dichiarata ispirazione liberale, anche qui registrando, tuttavia, la progressiva esplicitazione di una impossibilità di superamento di una loro visione quasi sacrale dell’ordinamento fondamentale dello stato italiano cui sentono di appartenere intimamente.
Il detonatore più evidente di un’impostazione culturale e psicologica dei nostri interlocutori dipendente dall’urgenza di aderire sempre a ciò che risulta vincente a livello italiano, nutrita anche dalla paura di trovarsene esclusi, è stato generato dalle elezioni del 4 marzo.
Dopo quella data, il comportamento dei partiti italiani in Sardegna è radicalmente cambiato.
La Destra si è progressivamente assoggettata al nuovo motore della Destra italiana, la Lega, e la Sinistra, inebetita dal suo essere esclusa dal controllo dello Stato, ha cercato di egemonizzare il ruolo dell’opposizione, non tanto con un progetto, quanto lucrando sulla posizione di contrasto.
Ogni progetto terzo, diverso, alternativo, è stato combattuto per mantenere la logica della doppia egemonia che sostiene il bipolarismo maggioritario italiano, una logica di annichilimento delle idee a favore dell’irrigidimento totemico dello schieramento. Il contesto elettorale italiano è come quello americano, ormai, non cerca l’adesione ma il reclutamento. Lo spirito critico latita a favore della furia di un’appartenenza non verificata dalla ragione.
Non nascondo, perché oggi il pudore dei sentimenti può essere un po’ rimosso, di avere patito la metamorfosi di persone che mi sembravano aderenti a un grande disegno ideale e che invece ho visto trasformarsi in aridi scommettitori di una gara di cavalli; tuttavia, siccome la natura o Dio ci fa come siamo, confesso di non avere i requisiti morali per nutrire risentimento verso alcuno.
Io se amo una volta, amo per sempre, anche chi mi delude, non foss’altro perché so di deludere io stesso con la complessità di una personalità che è peso a me stesso.
La convergenza nazionale è stata dunque consumata – per il momento – non da un errore mio o nostro, ma da un costume morale secolarmente diffuso in Sardegna di paura della battaglia, di timore della repressione, di adesione all’armata che viene cui chiedere sicurezza, rendite e futuro.
Il reclutamento polarizzato dell’ultima settimana ci ha seriamente danneggiati, consumando un consenso che in precedenza era apparso ampio e tale da reggere l’urto.
In questo quadro va valutato anche l’equivoco sardista.
Non ho mancato di dialogare col Psd’Az, sia durante le fasi precedenti le elezioni politiche che dopo, ma l’equivoco sardista è anche un equivoco della sinistra sarda e del Pd.
Possiamo dimenticarci che per un lungo periodo il Pd, prima e dopo le ultime amministrative di Cagliari, ed eravamo nel 2016, ha lavorato esplicitamente a sdoganare il Psd’Az dalla posizione in cui si trovava di competitor di destra per ricoprirlo delle antiche vesti di alleato strategico della Sinistra? Possiamo ignorare che in quel periodo serpeggiava l’idea di sostituire il nostro contributo alla maggioranza di centrosinistra con quello del Psd’Az? Poteva ignorare il Pd che il successo alle amministrative di Cagliari al primo turno era in larga misura dovuto all’apporto dato da un Psd’Az con una presenza non banale di personalità del mondo moderato, per usare un eufemismo, della società cagliaritana?
Il Psd’Az valutò che il Centrodestra di Cagliari, diviso, aveva meno probabilità di vincere di un Centrosinistra unito. In sostanza, le amministrative di Cagliari vennero vinte con una virata a destra della sinistra, mascherata da una ripresa del dibattito autonomista.
Quella di Cagliari per il Pd fu una convenienza mascherata da politica, per il Psd’Az fu convenienza dichiarata.
L’equivoco cadde alle politiche del 2018.
Il Psd’Az aprì due trattative in parallelo, col Pd e con la Lega, per optare per quest’ultima. Ad onor del vero, però, il Psd’Az non ha mai nascosto questo suo pragmatismo elettorale: dichiarava esplicitamente di voler cogliere un umore elettorale piuttosto che proporre un programma. Se alle amministrative di Cagliari l’umore era pro centrosinistra per la divisione dell’avversario, alle politiche risultava essere per la Lega e lì andò il Psd’Az e lì restò per le elezioni sarde.
Bene, io e noi abbiamo cercato di dialogare anche con questo Psd’Az , mettendo sempre avanti, però, il nostro programma, cioè un’idea di Sardegna e di Stato e un’idea di alleanza compatibile con questa idea. Ovviamente si trattava di due lingue diverse e non reciprocamente intellegibili. Possiamo fermarci qui e prendere atto di un conflitto culturale non banale. Se noi cercavamo la convergenza nazionale dei sardi, con l’ambizione di guidarla, il Psd’Az cercava la circostanza nazionale italiana più favorevole per sé.
È l’eterno conflitto tra convenienza e verità. La prima vince nel breve, la seconda nel lungo periodo.
Sono da anni calunniato da Destra e da Sinistra come attento solo alla prima, eppure cerco di vivere la vita in funzione della seconda. Giudicherà la storia, se avrà senso che si occupi anche di me.
Questo non toglie che sia di estrema attualità il tema di che cosa sia realmente l’autonomismo, che io credo, e ne sono sempre più convinto, sia un ideologema italiano che i sardi hanno creduto essere loro conquista ma che è funzionale a un’egemonia ormai divenuta tanto asfissiante per noi quanto mimetizzata e irriconoscibile per la maggioranza dei sardi.
Oggi il governo della Sardegna è nelle mani della destra italiana che ha il solito antico progetto: rafforzare le aree già ricche della Repubblica, il Nord, scegliendosi gli alleati più comodi nelle aree deboli, Sud e Isole, dando in cambio prestigio e potere.
Noi siamo avversari di questo disegno.
Dobbiamo saper fare un’opposizione sociale e civile che non abbia fretta, che non si affidi ai giudizi morali delle persone (francamente, che importa se un Presidente è laureato oppure no? Conosco un pastore, che si chiama Bachireddu, che legge più libri in un anno di tantissimi laureati. La cultura non è un titolo, è un abito mentale. Altro è sapere se l’Università regala lauree ad alcuni e ad altri chiede lacrime e sudore. Questo sì che ci interessa), che dia il tempo dell’autorivelazione di sé al governo uscito dalle urne. Dobbiamo pensare a un partito che non solo diffonda ideali e modelli, ma che risulti attivo nel fornire servizi di cittadinanza. La gente è allo sbando, abbandonata da tutti e da tutti usata in modo brutale, tristissimo e avvilente. Mi piacerebbe che ci organizzassimo come partito anche attraverso forme di centri servizi, forme di sindacato di cittadinanza, o qualcosa del genere.
Tuttavia, il problema politico più grande per noi era il rapporto col Pd e con la Sinistra.
Era il problema più grande perché governavamo insieme.
Vorrei dividere il problema in due parti.
Prima parlerei del rapporto culturale con la Sinistra italiana e sarda, poi del tema della logica delle coalizioni.
Ebbene, consentitemi una digressione personale.
Ho capito da adulto di essere un libertario socialista indipendentista sardo. Ma questa coscienza si è pian piano radicalizzata, cioè ha assunto consapevolezza della corrispondenza tra l’attesa interiore e la visione della realtà. In una parola si chiama ‘equilibrio’, cioè serenità di percezione del compimento di sé all’interno di una visione storica fondata sulla giustizia.
Questa condizione psicologica e culturale mi rende competitivo con una sinistra che io trovo mondana, frivola, attratta dal denaro e dal potere in modo dissimulato, portata ad identificarsi con le strutture del potere dello Stato italiano piuttosto che a vederne la profonda ingiustizia, ma soprattutto orientata, senza fondamento storico e culturale, ad affermare la propria superiorità morale, cosa che io trovo sostanzialmente idolatrica di sé. La Sinistra sarda mette se stessa prima e sopra la Sardegna, per questo non riconosce la Nazione sarda e anzi la trova, come idea, pericolosa.
Penso siano questi presupposti ad aver acceso e mantenuto attivi i motivi di contrasto tra noi e il Pd.
Ci sono state imposte scelte drammatiche non presenti nell’accordo con gli elettori, la Asl unica e il ritiro dei ricorsi sugli accantonamenti per citarne due, di cui soltanto il secondo rimediato; ci siamo trovati di fronte a un tentativo in corso d’opera di cambio delle alleanze in occasione delle amministrative di Cagliari, di cui ho già detto; ci siamo trovati di fronte a uno schieramento esplicito del governo regionale sui referendum Renzi che impoverivano di poteri la Sardegna; ci siamo trovati di fronte a una occupazione politica sistematica e millimetrica dei posti di responsabilità della sanità pubblica; ci siamo trovati di fronte a nomine per nulla fondate sul merito ma sulla militanza e sulla vicinanza a forti luoghi del potere dello Stato; ci siamo trovati di fronte a un accordo sulle servitù militari quasi ridicolo per i diritti dei sardi.
Tutto questo ci pone oggi il tema delle coalizioni. Stare in coalizione espone alla continua e defatigante operazione di assentire su ciò che si è concordato e puntualizzare e dissentire da ciò che non si era concordato e purtroppo, e ci tornerò, le elezioni sono ormai un esercizio di manipolazione dove si fa a gara a dire ciò che con certezza si sa già che non si farà.
Cosa è rimasto nell’elettorato della fatica che abbiamo fatto per contrastare una riforma sanitaria fondata non sul deliberato del Consiglio regionale ma su una delibera di Giunta e su un furbissimo atto aziendale? Poco, onestamente poco.
Cosa è rimasto nell’elettorato della fatica fatta a insegnare che di fronte all’Anas si sta con la schiena molto dritta e con un forte senso di rappresentare un popolo? Poco, onestamente poco.
Che cosa è rimasto nell’elettorato del più grande piano di interventi per la sicurezza idrogeologica della Sardegna? Che cosa è rimasto della nostra buona amministrazione, confusa e annichilita in un’azione di governo giudicata, a torto o a ragione, incerta, balbettante e subordinata in modo esagerato allo Stato italiano? Poco, onestamente molto poco.
Che cosa è rimasto nell’elettorato della nostra battaglia fiscale, dell’Agenzia delle Entrate, dell’inversione del gettito? Poco, durante la campagna elettorale sembrava che fossimo ancora alla Zona Franca integrale fatta non si sa come.
Occorre prendere atto che la logica di coalizione porta vantaggio al soggetto egemone della coalizione. Ed è questo vantaggio che il Pd ha giocato con noi nel momento della formazione delle coalizioni e della scelta del presidente. Noi abbiamo proposto e percorso un itinerario democratico e programmatico, le Primarias; loro hanno imposto un percorso egemonico, sostenuto da apparati di informazione e di disinformazione che rendevano auto avveranti le loro profezie.
Mi assumo la responsabilità di non essermi piegato a un disegno avvolgente, prepotente, durissimo, indifferente a ogni contenuto, sprezzante e sostanzialmente orientato a liberarsi dal confronto con noi. Qualcuno di voi, sono sicuro, pensa invece che avremmo fatto bene a chinare la testa e a aspettare tempi migliori; io penso che se avessimo chinato la testa sulle questioni centrali che abbiamo posto, ci saremmo trasformati in ciò da cui volevamo uscire, cioè un partito prigioniero e non protagonista di un’alleanza, trasformato dalla forza delle cose nell’ennesimo partito autonomista.
Perché, in fin dei conti, la Sinistra sarda ha capito che se loro hanno ancora il maggior consenso, noi abbiamo l’unico progetto vero che tracci una rotta per la Sardegna. Questa volta la Sinistra aveva di fronte non solo una visione e dei punti programmatici, ma una visione e una proposta di governo differente rispetto alla loro che hanno scrupolosamente voluto evitare di discutere.
Chi ha le idee prima o poi conquista il governo; chi ha il governo e il potere ma non ha le idee, prima o poi perde entrambi.
Su un punto non ho dubbi: il nostro progetto è l’unico progetto strutturato maturato negli ultimi cinquant’anni. Nessuno ha posto con la chiarezza con cui lo abbiamo fatto noi il problema dei poteri, cioè il problema che o i Sardi conquistano i poteri di cui hanno necessità per i loro diritti e i loro interessi o la Sardegna non ha futuro e si continuerà a trasformare in un piccolo mercato di consumatori in parte assistiti, con quattro aree urbane e un retroterra senza popolazione, senza istruzione, senza diritto e senza giustizia.
E non ho dubbi che la conquista di questi poteri può avvenire solo attraverso un processo legale ma rivoluzionario, cioè un processo di alterazione delle strutture dello Stato italiano attraverso un’azione guidata non da ribelli eroici ma da tutte le istituzioni dell’Isola.
Questo progetto è l’unico che razionalmente possa riaprire il futuro della Sardegna. Ne ero e ne resto convinto e lavorerò perché si realizzi, magari dall’ultima fila.
Certo, non poco ha contato il fatto che il mondo a vario titolo indipendentista si sia presentato diviso. Ho imparato, rispetto a questo mondo, ad essere prudente e soprattutto a non esprimere alcun giudizio. Ma mi sento di dare una buona notizia: tutte le diffidenze insormontabili che avevo registrato prima della competizione si sono sciolte dopo, perché la campagna elettorale ha fatto scoprire a tanti di noi che siamo più prossimi di quanto non sembri. Sento in questi giorni un forte desiderio di confluenza, di unità tra i diversi partiti. Bene, questo è il futuro, questa è la speranza. Ho sempre pensato che il meglio nasca sempre da un’esperienza di dolore e di sacrificio. Ho l’impressione che stia accadendo e vorrei concorrere a vederlo realizzato seduto nell’ultima sedia dell’ultima fila, ma vorrei aiutare a che si realizzi. Spero che nei prossimi giorni si trovi il modo di incontrarsi, di parlarsi, di riconoscersi. Abbiamo le amministrative imminenti: potremmo provare a farle insieme. Il dato di fatto è che prendiamo voti dove abbiamo amministrato gli enti locali. Dobbiamo entrare lì. Io aiuterò con ciò che posso ancora dare e fare.
Credo che il mio ruolo debba dedicarsi molto all’informazione e alla formazione. Abbiamo assistito a una campagna elettorale straordinariamente manipolata. I Sardi sono stati manipolati. L’America è molto vicina. La cultura e l’informazione sofisticate sono beni rarissimi ormai. La maggioranza della società sarda decide sulla base di passa parola, di sensazioni, di fiammate emotive, di poche e sommarie letture, vive cioè nella migliore delle condizioni ipotizzate dagli studiosi delle manipolazioni di massa. Bisogna creare strumenti di formazione e di informazione alternativi, popolari, divulgativi, semplici; senza la creazione di un sistema informativo stabile e alternativo, senza un reticolo di amministratori preparati, senza giovani agguerriti e preparati, senza l’unità delle forze indipendentiste, senza tutto questo è difficile costruire futuro. Io vorrei dedicarmi molto a questa responsabilità formativa e informativa, la trovo corrispondente al mio stato d’animo, alle mie competenze e al desiderio/bisogno di riprendere fiato.
Vengo a concludere e a fare le mie proposte che riguardano strettamente le funzioni da me svolte e le prospettive politiche di questa fase di transizione.
1) Penso serva un nostro congresso straordinario da farsi entro luglio. Dobbiamo deciderlo insieme, ma mi sembra indispensabile per due ragioni: occorre trovare un nuovo segretario e definire una strategia politica e culturale che accompagni questi cinque anni di opposizione che ci aspettano. Mario Uras ha le forze per proporci entro due settimane un regolamento congressuale che ci conduca serenamente a rinnovare il tesseramento e a rinnovare tutti gli organi. Una decisione siffatta metterebbe tutti in discussione e tutti in gioco. Propongo che gli organi di partito non eletti ma commissariati, siano sostituiti dall’assemblea dei candidati di quel territorio. Propongo che sin d’ora tutti gli organi siano integrati con i candidati. Propongo come obiettivo minimo la soglia di almeno una presenza per paese. Io resto a disposizione per i soli aspetti formali utili a far svolgere in modo ordinato il congresso cui mi presenterò dimissionario;
2) occorre con urgenza definire il rapporto con le altre forze indipendentiste. Giungo a ipotizzare di fare con loro un grande congresso a settembre per la nascita oggi, non sotto elezioni, di un grande soggetto indipendentista democratico e libertario. Serve varare subito una delegazione trattante, costituita dagli ex consiglieri regionali, da Antonio Succu, ovviamente dal presidente del Partito, ma occorre agire in fretta, perché questa prospettiva ridarebbe speranza e coraggio. Io sono a disposizione per dare una mano, se serve;
3) abbiamo le amministrative, che per noi sono importantissime. Prendiamo voti dove abbiamo amministratori e ne consegue che dobbiamo allargare la rete della nostra presenza nelle amministrazioni locali. Anche in questo caso serve una delegazione trattante con gli altri partiti indipendentisti per verificare la possibilità di fare liste insieme dentro le alleanze che in sede locale si riterranno più opportune. Ovviamente, in luoghi come Sassari, Alghero e Quartu, serve sostenere i nostri organi esistenti, allargandoli ai candidati o sostituendoli con i candidati laddove non esistano, penso a Quartu. Proporrei Antonio Succu, che è coordinatore dell’assemblea degli amministratori, di coordinare questa importante e immediata iniziativa, valendosi della collaborazione di tutti;
4) serve che mentre prepariamo le liste e il Congresso e dialoghiamo con gli altri partiti indipendentisti si stia sul pezzo della comunicazione, dell’organizzazione interna, delle relazioni con i partiti e con il Consiglio regionale. Personalmente cancellerò la mia pagina Fb e trasformerò il sito di Sardegna e Libertà in un giornale on line e poi in un mensile cartaceo, da ricevere in abbonamento che fiancheggi, sul piano dei contenuti, l’azione del Partito. Serve che ci sia una sorta di portavoce che si occupi della pagina Fb e del sito del Partito e curi i rapporti con i media; mi pare che Gianfranco Congiu lo stesse già facendo e, se voi lo riterrete opportuno, possa continuare a farlo, chiedendo a Luciana Conigiu di continuare a supportare questa importante funzione.
Serve che mi si liberi da funzioni organizzative di relazione interna, di connessione tra noi. Vi chiederei di individuare uno tra noi che si occupi quotidianamente di curare i rapporti interni, di convocare le riunioni ogni volta che servono, di seguire da vicino chi avesse necessità di supporto, una sorta di segretario pro tempore che abbia buoni rapporti con tutti, che dialoghi con tutti e che svolga le funzioni organizzative necessarie da qui al congresso, ma che soprattutto esenti me da impegni quotidiani; può essere Augusto Cherchi coadiuvato dagli ex consiglieri regionali, da Antonio Succu e da chi ne ha voglia e disponibilità? Valutate;
5) serve un’attenzione particolare all’area cagliaritana. Io ripartirei dai candidati e dal loro lavoro, dalle nostre presenze, per poche che siano, nei consigli comunali e metropolitani, dalle loro relazioni sociali, da uno spirito di radicamento molto umile, popolare, di prossimità. Abbiamo le energie per farlo; serve razionalità e metodo, comunicazione e relazione sociale. Mi pare però urgente dare ruolo a chi ha dimostrato di avere radici sociali da sviluppare;
6) serve un’attenzione specifica alla questione dei pastori, che è la questione antropologica e economica più importante della Sardegna e che è stata manipolata in modo violento e volgare in questa campagna elettorale. Chiederei a Piermario, a Mario, a Sandro e a quanti volessero occuparsene, di coordinare in modo specifico l’elaborazione delle nostre posizioni, l’organizzazione degli eventi che occorrerà realizzare, i servizi che secondo me occorre mettere in campo, posto che ci sono tante persone e tante istituzioni che chiacchierano ma poche che sanno che cosa fare.
Ho concluso; non ho finito di militare e lavorare, ma, per cortesia, fatemelo fare di lato. Voglio dedicarmi al lavoro umile del radicamento paese per paese, al lavoro che più mi piace di produzione di contenuti e di formazione della persone. Voglio uscire dalle luci della ribalta e aiutare da dietro le quinte. So di essere un buon uomo di governo, ma voglio tornare a fare ciò che per natura è un professore: un militante della verità, un operaio della formazione altrui. Resto a disposizione per gli aspetti formali, ma ho bisogno di essere sostituito in quelli sostanziali.