Ieri il Parlamento sardo ha approvato il Piano straordinario del lavoro di 126 milioni di euro. I titoli dei giornali e le dichiarazioni di diversi esponenti politici sono un po’ sopra le righe.
Le modalità attuative, che sono tutto, sono ancora da definire. La struttura di coordinamento è la Cabina di regia che non innova le procedure e i soggetti delle politiche attive, ma le coordina.
La diminuzione dei disoccupati in Sardegna non è dimostrabile che sia legata alle politiche attive messe in campo finora, piuttosto che alla ripresa economica del sistema Italia.
Resta un punto: la manovra è uscita dalla Giunta senza il Piano straordinario del lavoro. Chi ha chiesto e ottenuto il Piano straordinario del lavoro sono stati il Partito dei Sardi, Liberi e Uguali e la CGIL.
Sarà un caso ma il Partito dei Sardi, artefice sia della rappresentazione del problema che di un emendamento orale che differenzia l’intervento per focalizzarlo nelle zone interne (dove da tempo la Giunta è consapevole di quanto sia difficile ricollocare gli espulsi dal sistema industriale in crisi) non giubila (tralasciamo il fatto che i media ormai non ricostruiscono i fatti, ma registrano solo gli squilli di tromba). Abbiamo troppa esperienza della delusione che passa tra gli annunci e le realizzazioni, i bandi pubblicati e le risorse erogate, la realtà auspicata e la realtà trasformata.
Noi vogliamo vedere quando si produrrà il primo occupato generato dal Piano straordinario del lavoro.
Rimaniamo convinti di un deficit di cultura e pratica laburista che attraversa l’area progressista sarda da quando ha subito l’egemonia del mondo della finanza. Si ha la sensazione che quest’area talvolta si vergogni delle sue radici socialiste, come pure della cultura solidaristica cattolica, inibite da una britannica visione darwinista dei rapporti sociali che noi, invece, rifiutiamo fermamente. Non è vero che la concorrenza migliora sempre la qualità e che la competizione migliora sempre le performance delle persone. Ma di queste cose importantissime, di queste culture citate e non praticate, non aggiornate e non discusse, in Sardegna non si parla, in ragione del clima politico italiano che non parla più di problemi e soluzioni, ma di persone e di invettive.
Infine anche oggi e per sempre ricordiamo l’Accordo sulle servitù militari, fulgido esempio di subordinazione acritica e di ignoranza della storia che macchiano di amarezza e indignazione questi giorni.