di Paolo Maninchedda
Sono stati diffusi i dati sulla disoccupazione in Sardegna. In totale i disoccupati sono 117.000, per un tasso di disoccupazione pari al 17,5%. Un dato disaggregato svela che un giovane su due è disoccupato.
Dinanzi a questi dati si possono prendere due strade: quella degli interventi correttivi (che porterebbe qualcuno a usare toni trionfalistici sui giornali se magari si riuscisse a diminuire il tasso di disoccupazione di uno 0,7% o addirittura di un punto) o quella degli interventi coraggiosi e strutturali.
Io sono per questi ultimi, solo che per realizzarli ci vuole molto coraggio e bisogna percorrere strade completamente nuove per le imprese e per i sindacati.
Un esempio? Un esempio.
Nel 2006 la Volkswagen era drammaticamente in crisi. I sindacati, guidati da Bernd Osterloh firmarono un accordo storico. Allora gli operai tedeschi lavoravano 4 giorni alla settimana. Decisero di lavorare cinque giorni, quindi un giorno in più, con lo stesso salario. Praticamente ‘regalarono’ all’azienda una giornata di lavoro. Poi, negli anni successivi, questo regalo venne restituito parzialmente. Nei cinque anni successivi, un terzo del valore di quella giornata di lavoro venne restituito come una tantum; un altro terzo venne restituito perché si raggiunsero gli obiettivi di produttività; solo l’ultimo terzo venne effettivamente regalato dagli operai all’azienda, ma gli operai ebbero la possibilità di partecipare alla divisione del 10% dell’utile operativo lordo dell’azienda prodotto in Germania. Risultati immediati? Mantenimento dei livelli occupativi; aumento della produttività; riduzione per l’azienda del 20% del costo per unità prodotta. Risultati a lungo termine? Nel 2011 è stato rinnovato il contratto: i salari sono saliti del 3,2% più una una tantum variabile da un minimo di 500 euro a un massimo di 1000 euro; 2000 euro sono stati erogati perché legati alla partecipazione al 10% dell’utile operativo lordo; riduzione al 10-11% dell’incidenza del costo del personale sul costo complessivo del prodotto.
A Ottana e a Tossilo, le due zone industriali che ho più frequentato, o si fa così o non si riparte. Non solo: Ottana chiude; la chimica non regge il confronto coi mercati in queste condizioni. Il tessile può ripartire solo se cambiano le condizioni sull produttività.
Ovviamente adesso mi aspetto facili sputi e insulti da parte di chi crede che invece si combatta la disoccupazione a chiacchiere. Tirino fuori un’altra proposta. La lotta agli sprechi non è una risposta, è un dovere. Ricordo inoltre che le risorse che si possono ricavare dalla lotta agli sprechi della Pubblica Amministrazione ci servono per sostenere il welfare nella fase di transizione. Mi spiego: un rilancio, un nuovo sviluppo, non avviene immediatamente. Se vogliamo far ripartire la macchina e nel frattempo non morire di fame, bisogna trovare i soldi per pagare gli assegni del welfare, l’assistenza in una parola, per dare da mangiare – in cambio di lavoro pubblicamente utile – mentre riapriamo le fabbriche.
Astenersi dalle repliche perditempo malpancisti rassegnati o specialisti dell’assistenza militante.
Lavorare di più, lavorare tutti.
Comments on “Lavorare di più, lavorare tutti.
O abbiamo coraggio o Ottana, Tossilo, Porto Torres ecc. chiudono”
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Nessun problema ad avanzare la proposta in fabbrica. Proprio nessuna, neanche di fronte ai suoi toni minacciosi. Dove era Lei quando io lottavo con Terna per tenere aperta la fabbrica? Non ricordo una sua mail, in quei mesi, quando Terna minacciava di denunciarmi un giorno sì e l’altro pure. Lei dov’era? Io sono per tenerle aperte le fabbriche. Voi? Le sembra un insulto far partecipare gli operai al 10% dell’utile netto? Le sembra un insulto poter ottenere risultati come quelli che hanno ottenuto gli operai tedeschi? E comunque guardi, io la faccia riesco sempre a metterla e mai a nasconderla. Quanto alle poltrone d’oro, io ho concorso molto a trasformarle da oro in ferro, ma ho anche dimostrato di saperci rinunciare. Comunque, quando chiuderanno la fabbrica, tenga lei la macchina in moto.
Salve, sono un lavoratore di ottana energia, tra qualche mese vado in pensione!
Certo che a voi politici vengono proprio delle belle idee, dall’alto delle vostre poltrone d’oro le pensate proprio tutte! Rinunciate voi a qualcosa!
Le consiglio di avvicinarsi in fabbrica e di fare la proposta direttamente ai lavoratori.
Si porti un elmetto e lasci la macchina in moto. Conosco i vertici aziendali, le organizzo un’assemblea.
Angelo C.
Ecco, MaQuanteStronzateSpari è il killer tipico della rete. Nessuna questione di merito, nessun esame, nessuna proposta, solo insulti. È il nuovo ceto politico che si sta preparando.
Oh Paullu…ma ti pagano a cotimo in base alla quantità (e alla qualitã) delle cazzate che spari?
Mi sa che dalle rue frequentazioni nelle ZIR di Ottana e Tossilo non ci hai capito proprio “una cipolla” tantu po t’istrocchere.
E questi sarebbero “i migliori che abbiamo” figuratevi il resto… a bellu puntu,ma salvaesì!
John, non mi ricordo una cipolla e non ho voglia di rompermi la testa. Usa il nome che vuoi.
Paolo, non è vigliaccheria, è buon senso. Aspetto sempre da te quello che in tempi passati mi promettesti in quall’interessante riunione privata. Ma poi non dicesti in un tuo post precedente che mi avevi smacherato, allora basta che lo sappiamo io e tu chi sono.
Nel frattempo, John, smetti di fare il vigliaccone e firmati.
John, perché no?
La ritengo una buona proposta, e credo che anche i dipendenti delle fabbriche siano d’accordo . Tutto sta nel prospettare un approccio diverso nei confronti delle aziende. Una azienda nel Vercellese, vende ai dipendenti una quota azionaria, in cambio di un giorno non pagato ,questo permette a quel prodotto di restare sul mercato, impedire licenziamenti e far sentire i dipendenti più responsabili.
L’esempio tedesco è certamente un modello di riferimento importante, anche sul piano concettuale, che, con le opportune modulazioni, ben potrebbe essere riproposto anche nell’ambito delle nostre realtà in difficoltà ma ancora virtuose, non vedo limiti normativi. Piuttosto rifletto su un dato nel domandarmi come mai alcune aziende del nord-est, riconducibili per dimensioni e tipologia, agli agglomerati industriali citati da Paolo e costituite in forma di società di capitali – con enormi perdite in bilancio, ampiamente decotte e dichiarate fallite – riprendano a camminare realizzando consistenti fatturati una volta rilevate dai dipendenti costituiti in cooperativa ? Coogestione o cooperativa, è vero che, a mio avviso, la crisi per molti sta diventando un alibi, rispetto a politiche gestionali scellerate, non accompagnate da un’adeguata programmazione e spesso dolosamente preordinate alla truffa commerciale e contrattuale.
Proposta:
Sardegna via dall’Italia, diventa “Canton Marittimo” della Svizzera
http://www.repubblica.it/economia/2014/02/28/news/sardegna_svizzera_canton_marittimo-79874193/
Tutto ok Paolo, adesso fai i nomi delle aziende che secondo te potrebbero attuare questa “novità”. Ne propongo una per tutte l’Azienda del sig. Agelico?
Ricordavo vagamente di aver sentito dell'”accordo Wolkswagen”… quello che so con certezza, è che in questo spazio si fanno proposte concrete.
Perché no,sarei d’accordo imitare la soluzione tedesca,anche se, per pura ipotesi non portasse i risultati sperati,nessuno,e dico nessuno ne morirebbe.D’altro canto, ci aspettano prove durissime se vogliamo uscire da questo pantano dell’immobilismo.Aldilà di tante chiàcchere questa è una proposta concreta.
A patto che le aziende siano veramente in crisi, non come in certi casi dove per pilotare un fallimento, si mettono nella merda gli operai e loro si sistemano con un bel gruzzolone di soldi. Io personalmente certa gente l avrei fatta sofrire per rendersi veramente conto cosa vuol dire nella vita non riuscire a comprarsi il pane, e tu Paolo che queste realtà le conosci perchè ti sei sempre imedesimato ma sopratutto sei stato sempre vicino ai poveri con grande umiltà penso che le capisca.