Caro professore,
sono un suo ex allievo del lontano anno accademico 1997/98, oggi impiegato in Regione e iscritto a un sindacato.
Le scrivo per sottoporLe un caso, non prima di aver ricordato una sua restata celebre lezione sui pronomi.
Era dicembre e Lei aveva dedicato i primi venti minuti a commentare un editoriale sull’istruzione universitaria, apparso su un noto quotidiano italiano, firmato da una importante personalità politica.
Ci disse:
“L’uso dei pronomi rivela aspetti profondi della personalità.
Un uso eccessivo di “io” rivela una profonda incertezza interiore.
Un uso eccessivo del “noi” rivela un fraintendimento ottimista su se stessi.
Un uso eccessivo del voi, una vocazione alla manipolazione…” E così via, con dovizia di esempi e di nomi e cognomi, della storia e del presente, che ci divertì moltissimo.
Ora Le chiedo: cosa pensa di un assessore regionale che in una banale lettera per lo spostamento della data di una riunione si dà del “codesto”?
Cosa significa darsi del “codesto”?
“Codesto assessore” è una locuzione da lettino psichiatrico; è come se una persona si desse del “lei”, cioè usasse per sé un pronome allocutivo di cortesia. Non che non esistano figure così piene di sé da scivolare in questa pratica. Pensi che qui a Sassari c’è un noto professionista, così convinto della propria bellezza e del proprio valore da darsi del “minchia mia a me!”. Tutto è possibile, come Lei ci insegnava quando diceva che l’uomo senza vizi è una pietanza senza sale.
Darsi del “codesto”, però, mi turba. Si vuole designare se stessi, ma si pone una distanza da sé e dall’interlocutore, cose se da sé gemmasse un ologramma cui rivolgersi con opportuno ossequio. Mi sono dato una spiegazione.
Capita a coloro che hanno poche letture, di rimanere fascinati dal burocratese, come se le geometrie pronominali degli uffici pubblici conferiscano a ciò che si dice e si scrive maggiore autorevolezza.
Fu così che l’assessore fascinato, o chi per lui, sentendo il raro “codesto”, lo abbia avvertito come speciale, come distintivo, e allora se lo abbia appiccicato come se fosse un titolo, come dott. e come on. Ma se qui in Sardegna, oltre che copiare il peggio, ci mettiamo anche a confondere gli aggettivi con i titoli, finisce che ci diamo dello scatologico pensando di parlare di religione.
Intervenga prof., chiami qualcuno e ricordi il rasoio di Occam: la pratica più semplice è sempre la migliore.
La saluto con tanto codesto
Giovanni Tregatti
“se lo abbia” è provocazione pura…
Sig. Tregatti/cani?, a proposito di metodologie semplici, credo che semplificando semplificando si è giunti alla situazione attuale, con la classe dirigente troppo improvvisata, da matita rossa.
Così come è la vita, anche la Politica è una struttura complessa che non può essere sforbiciata, saltando passaggi essenziali…e poi ci ritroviamo ad essere ammininistrati dai variopinti personaggi che oggi occupano scranni troppo importanti per essere assegnati a tassinari, pizzicagnoli, cavadenti ….troppi di incerto mestiere e di improbabili corsi di studio, se si vuole che nel vergare una nota sappiano usare a prosito i pronomi e saper coniugare i verbi e non prendere a pedate la grammatica e pure la consecutio temporum.
Il titolo onorifico piu appropriato all’assessore in oggetto comincia per co.. ma non è codesto
É stato chiamato in causa il il rasoio di Occam. Proprio sulla base di questo richiamo è molto probabile che la lettera non sia stata scritta dall’Assessore in questione ma da un funzionario del suo ufficio di staff