Ieri ero a Bologna per lavoro. Sono arrivato all’ora di pranzo in aeroporto e volevo acquistare un panino con la mortadella: costo 6.90 euro.
Adesso ragioniamo.
Siamo tutti consapevoli che in questo mondo impazzito che va dietro alla logica del profitto come supremo valore, come principio guida non solo dell’efficienza aziendale, ma anche di quella sociale, il prezzo non è più dato dai costi di produzione più il margine dell’azienda (per esprimerci in termini semplici), ma è dato dal mercato, cioè dal fatto che un concorrente riesca o a farsi pagare la stessa qualità di meno, o a farsela pagare molto di più (si pensi alla pizza di Briatore o a tutti quelli che vendono non un prodotto, ma uno status symbol), o a farsi pagare molto un prodotto non proprio sano e di qualità inferiore (noi tutti compriamo l’ovetto kinder a un prezzo assurdo pari quasi a 55 euro, pur non essendo tutto di cioccolato).
Siamo tutti consapevoli che il consumatore viene ormai da decenni di schiavitù che lo portano a adirarsi se vede esposto un latte di qualità a un costo superiore all’euro al litro, ma ad essere ben disposto a pagarne 10 per uno spritz in un locale alla moda.
Siamo tutti consapevoli di questo, ma un panino (peraltro all’aspetto piuttosto gommoso) a quasi 7 euro in aeroporto è il segnale di qualcos’altro.
Secondo il Rapporto sulla Ristorazione nel 2021 i prezzi dei panini in Italia sono questi. Come si può leggere si va da un minimo di 2 euro a un massimo di 4,78 (Lecco). Ad arrivare a poco meno di 7 ce ne passa.
Ma sicuramente si dirà che per colpa della guerra tutto è diventato più caro.
Ecco, questo non è vero. Non è la guerra. È l’avidità.
La guerra è un pretesto per l’avidità e per l’ossessione della ricchezza. Io provo un disprezzo profondissimo per queste azioni e per queste ossessioni. Le trovo devastanti per il mondo, avvilenti per l’umanità.
Trovo impudente chi cerca pretesti per diventare sempre più ricco e sono felice che nessuna ricchezza ci accompagni nell’ultima ora, cioè in quella che decide chi siamo.
Perché raccontare tutto questo?
Per cercare compagnia; per cercare compagni che non comprino e avvalorino ciò che sta distruggendo il mondo.
Cerco compagni di equilibrio, buon senso, moderazione e ribellione civica.
Non rendiamo i ricchi ulteriormente più ricchi. Non assecondiamo i loro pessimi disegni di aumentare i profitti ad ogni costo, aumentando i prezzi, licenziando i cinquantenni e assumendo i giovani con stipendi da fame.
I panini, facciamoceli in drogheria.
Gli spritz, facciamoceli da noi.
Liberiamoci da questa ossessione del denaro. Combattiamo.
Carissimo Michele, se si fosse soffermato a leggere meglio avrebbe capito che il problema non è assolutamente Bologna, ma qualsiasi posto speculi sui disagi dei viagGiatori o dei turisti e che pertanto il suo punto di vista conferma ciò che tenta di contestare. Che siano i sardi o i bolognesi a speculare sempre di furto si tratta…two wrongs don’t make a right.
Gentile Tania, se da studente universitario fuorisede avessi comprato una rosetta con mortadella a 6,90 con i soldi sudati da mio padre, questi mi avrebbe costretto ad andare a lavorare. Se gli avessi detto che era il simbolo di Bologna mi avrebbe fatto sentire sulla schiena ben altro simbolo.
Cordialmente
L’unica arma che abbiamo è non comprare da chi chiaramente vuole approfittare della situazione. Forza ce la possiamo fare, boicottiamo gli speculatori anche con un po’ di sacrificio
Egregio sig. Paolo, mi spiace contraddirla. Lavoro con svariati studenti internazionali. Quel panino per loro, a Bologna, è un simbolo della “bolognesità”. Lo è persino per alcuni studenti italiani di regioni più lontane (sia del nord, che del sud), che le prime volte ai banchi dei supermercati non capivano perchè venissero guardati male quando chiedono “due etti di Bologna” al banco dei freschi.
Forse i nostri sono solo punti di vista differenti, oppure il suo è più accademico e lavorativo che non sul polso effettivo della gioventù, e il mio è più settoriale sui giovani e su Bologna.
Egregia Tania, io mi occupo per mestiere di linguaggi e di simboli. Quel panino non è e non sarà mai un simbolo di alcunché che promette un’esperienza sensoriale. È banalmente un imbroglio da monopolisti della fame ai gate di imbarco. Tutto qui.
Egregio Michele, perché dovrei cancellare un commento come il tuo? È qualificante di ciò che sei e dice soprattutto, visto che non ti firmi, che riesci ad essere l’uomo vile che sei solo dietro l’anonimato. Non cancello il commento, pubblico il mio disprezzo.
Tutti a puntare il dito contro tutti, ma nessuno che si azzardi a farlo verso gli autogrill in autostrada, dove paghi un Camogli 8 euro, e una coca in barattolo 5..€
Da secoli….😂😂😂
😂😂😂😂😂😂
In Sardegna, nel posto più sdozzo o il migliore (che fuori per entrare ti impolveri piedi, scarpe pantaloni… 4 gelati in coppetta 20 euro…
Se non è speculazione quella… Infatti quest’anno la vacanza me la sono fatta pagare da tutti i clienti e dipendenti sardi… La Sardegna mi è scesa sotto le scarpe, i sardi sotto ancora.. Adesso puoi anche rimuovere il commento, importante che continui a pagare 6,90 per un panino che ti meriti
Mi è comparso questo articolo “a caso”. Forse perché sono di Bologna, e ultimamente ho fatto qualche ricerca sull’aeroporto e il suo traffico.
Pur condividendo la passione per il piccolo negozio “di quartiere” e andandoci quando possibile, trovo molto fuoriluogo lamentarsi perché un oggetto da turisti costa 7€. Perché è abbastanza chiaro che QUELLA rosetta con la mortadella è un simbolo turistico, ancor prima di essere un pranzo (o uno spuntino).
Anche volendo non valutare i costi di affitto altissimi dell’aeroporto, anche volendo non valutare i costi cresciuti delle materie prime, anche volendo non valutare i costi cresciuti delle utenze (e già sono tutte cose che è strano non valutare…..), anche volendo non valutare la differenza tra le varie “piazze”, quindi sul costo della vita nelle varie città e zone d’Italia e d’Europa, mi sembra davvero poco logico far tutto questo discorso su quello che è LAMPANTEMENTE un “acchiappa turisti”. Perché quella rosetta alla mortadella ha un target, che sono quei turisti stranieri che chiamano la mortadella “Bolognia” con la g dura separata dalla n, che sono venuti in vacanza in Italia consapevoli di spendere. Sono gli stessi che pranzano nella zona dell’ex Mercato Vecchio e che pagano un piatto di “Spagetti Bolog-naise” (come ho sentito 2 giorni fa passandoci) 15€ senza preoccuparsi o stupirsi.
Davvero, non vedo il bisogno di prendersela con un panino da turisti, tanto da scriverci su un articolo… ma forse è perché io il panino con la mortadella lo faccio con il pane comune tagliato a fette e l’Alcisa (come mortadella), comprati in ipercoop, e, quando vado in ferie, se devo pagare di più per quello che riconosco essere “turistico” (come il Fish&Chip al porto di Howt, davanti ai moli, o il Guiness’ Stew accanto alle Cliff of Moher), so che sto pagando un’esperienza turistica, e non il pranzo dell’operaio.
L’aeroporto di Bologna è sempre stato imbarazzante. Prezzi da galera soprattutto in quel bar.
Una vergogna senza fine, vorrei sapere il prezzo per la concessione e la fantastica gara di appalto.. immagino sisi
Evabbe’ perché la bottiglietta d acqua 3,50? Almeno il panino se lo porti da fuori al controllo non lo devi buttare, l’acqua o bevi come cammello prima o paghi con molta cammelli dopo il controllo…
È una pura vergogna… per non parlare del costo della bottiglia di acqua minerale a 1.5euro che siamo costretti a pagare una volta passato i controlli x l’imbarco… botttiglie che costano circa 20 centesimi….! Vendute in regime di assoluto monopolio… e nessuno dice nulla….
Lavoro in aeroporto a Bologna da 8 anni, la guerra e l’inflazione non c’entrano nulla. Quel panino è sempre costato 6,5euro, dalla pandemia 6,9. L’avidità c’entra eccome perché conosco il proprietario di quel sottoscalamobile, i suoi valori sono:
-macchinoni (meglio SUV così sembra che ce l’ho grosso) cambiati ogni sei mesi
-f**a giovane (di vent’anni più giovane, assunta come cameriera e dopo lo scoppio del grande amore(sei mesi) messa a dirigere i 6-7 punti vendita all’interno dell’aeroporto)
-viaggi rigorosamente solo di lusso.
Poi c’è la questione prettamente imprenditoriale, in aeroporto c’è un oligopolio della ristorazione. 6/7 sono suoi, 6/7 di Autogrill (detta Aviogrill) e 3 di altri tre (uno ciascuno). Come può esserci una sana concorrenza di libero mercato alla caccia del miglior rapporto qualità/prezzo? In un luogo dove passano 8milioni di persone all’anno e dove oltre all’affitto devi vincere l’appalto a colpi di royalties, che altro non è che un pizzo legalizzato?
Non vorrei che il mio commento fosse percepito come “benaltrismo”, per cui le dirò innanzitutto che penso anch’io che si tratti di speculazione eccessiva e concordo in toto quando dice che è l’avidità il motore della nostra società. È giusto puntare il dito perché la cultura consumistica tende a glissare sul problema, e, ancora prima del consumismo, la nostra scala di valori ha derubricato l’avidità da peccato capitale a veniale, sostituendola con il termine “avarizia”, che in realtà è tutt’altra cosa.
Tuttavia vorrei farle notare che nel settore della ristorazione, che molto mi interessa (ho appena sostenuto l’esame di stato per la maturità in un Istituto alberghiero), l’avidità si esprime in modi ben più subdoli e arroganti. Mi riferisco allo sfruttamento del lavoro subordinato, ai dipendenti sottopagati, demansionati da contratto ma che svolgono ruoli che richiedono grande professionalità e comportano notevoli responsabilità, che fanno straordinari non retribuiti (fino a 14-16 ore di fila); lavoratori sfruttati, ricattabili e ricattati, di fatto schiavi. Perché in fondo il mercato è libero, significa che in linea teorica ogni esercente può stabilire il prezzo che vuole, anche un prezzo folle, d’altronde nessuno obbliga il malcapitato consumatore all’acquisto. Nessuno muore di fame se non compra il panino sul momento e aspetta il prossimo autogrill e nessuno è obbligato a mangiare la pizza di Briatore che applica un marketing di scrematura, almeno finché esisteranno le pizzerie con prezzi allineati o di penetrazione. Invece la necessità spinge il lavoratore ad accettare di tutto per sopravvivere e questo è il futuro che si configura per me e tutti quelli che volessero entrare a lavorare nel settore, a meno di non diventare chef stellato e strapagato, ma non fingiamo di non sapere che per ogni chef ci sono decine di sottoposti necessari al funzionamento del settore.
Occorrerebbe una sorta di certificazione etica del settore, una trasparenza sui contratti applicati e le reali condizioni di lavoro, che permetta al cliente di decidere da chi mangiare e quali prodotti acquistare. Serve un’alleanza fra lavoratori e consumatori, visto che quasi tutti apparteniamo ad entrambe le categorie, per porre un freno a questa avidità intollerabile.
Con la scusa della guerra si vogliono arricchire alle nostre spalle. Lasciamoli morire di fame che cosa se ne faranno dei soldi quando questo mondo è destinato a sparire.!!!
Il problema di questi ultimi anni è che il consumatore si è allontanato troppo dalla realtà, o meglio: non ha più idea di cosa sia un prodotto alimentare.
Come si produce un bicchiere di vino? Cosa significa produrre 1 kg di farina? Cosa c’è dietro un’arancia?
Cosa comporta allevare un maiale per farne 2 prosciutti?
Lo sanno davvero in pochi. I produttori sono diventati l’anello più debole della catena e nel processo di vendita sono gli unici che devono “concedere” il proprio lavoro a basso costo ad un distributore. Il distributore aggiunge il suo ricarico per cederlo ad un venditore (horeca o gdo). Questi ultimi fissano il prezzo al consumatore. Sono questi ultimi che oggi hanno il potere di innescare il meccanismo di creazione di valore o di percezione di valore di un prodotto. Lo fanno con diversi metodi: marketing, packaging, posizionamento, promozioni, ecc..
Non nego che ci siano tante speculazioni (forse oggi più che mai), ma c’è soprattutto la totale assenza di coscienza nella scelta di un prodotto alimentare, perché il consumatore ha demandato al venditore il potere di fissare un valore. Nel 90% dei casi è il prezzo del singolo pezzo che guida la scelta ed è per questo che spopola il fenomeno della shrinkflation (prezzo e packaging invariato, ma quantità ridotta). Ma il costo al kg nei mercati è sempre disponibile, però noi consumatori siamo fessi e compriamo ciò che ha un prezzo più basso. Non fa nulla se ne prendo meno e magari non è nemmeno il massimo della salute. Anche quest’ultimo punto è fondamentale per tornare al discorso della mancanza di coscienza del consumatore. Un formaggio è fatto di latte, caglio e sale. Il pane di farina, acqua, sale e lievito. E così via. Ogni altro ingrediente in più sulla lista serve solo per dare più sapore ad ingredienti già di loro scadenti, oppure a rendere le materie prime industrialmente processabili, oppure ad aumentarne la durata sugli scaffali. Ma sulla base della mia piccola esperienza, il molente (mi si scusi il termine tecnico) non è solo il consumatore finale, ma anche il primo anello della catena: il produttore. Perché? Spesso e volentieri per poter entrare nel magico mondo del commercio l’unico valore aggiunto da proporre al distributore è il prezzo. Triste eh? Ma è la realtà. Faccio un esempio. In Sardegna alcuni dei nostri artigiani (lascio da parte gli industriali) producono formaggi ovini di altissima qualità e lo cedono a 8€/kg. Per un kg di formaggio servono circa 5-6 litri di latte. Un latte di buona qualità oggi viene pagato minimo 1,5 €/litro. Con una semplice moltiplicazione abbiamo un costo di produzione per la sola materia prima di 7,5-9€ per kg di formaggio. Energia, materiali, caglio, ammortamenti, costi del lavoro, burocrazia, ecc.? Regalati. Perché?
Perché se l’artigiano vende il suo pecorino a 20€/kg “est troppu caru”, ma se il consumatore compra la sua fettina di pecorino industriale da 250g incellofanata a 5 € allora è un buon prezzo.
Forse sarebbe meglio iniziare ad insegnare ai bambini cosa è il pane, una mela, una fetta di prosciutto per tornare a parlare più di valore e meno di prezzo.
La guerra e gli aumenti non c’entrano nulla trattasi di corda al collo. Io mi sono indispettito e non lho comprato . Se il punto vendite fosse rimasto aperto notte e giorno avrei anche capito ma alle 21 tutto chiude e nessuno offre piu alcun servizio trattasi di pura speculazione. Non compriamoli ed anzi diciamogli di metterseli in quel posto e poi di mangiarsi loro. Ciao
Ho sempre osservato quei panini, non per il prezzo ma per quanto poco alettanti siamo alla vista.
Però sono rimasto scioKKKCCato all’aereoporto di Gran Canaria, livello molto più basso rispetto al continente, con agevolazioni fiscali da isolani e via dicendo, prendo un panino pensando di pagarlo 7 euro circa e invece è costato 14 euro…ma che diamine 14 euro assurdo. Però era buono
Ti invito a venire a mangiare un panino a San Donato Milanese, zona dove lavoro e dove sono costretta al pranzo fuori. 6 90 euro è un prezzo da discount!! Magari!!
Schiscetta tutt i di’ e se fa frecc te se ranget, se no te paghet i press de Milan nela part industrial de la periferia, a dir des (10) euro per un (1) panin cunt la roba del supermerca’…
Noi, qui a Bologna, non acquistiamo quei panini. Quella è una “operazione speciale” di tipo economica. Sono le reti a strascico simili e presenti in tutti quei luoghi di forte passaggio: Venezia, Roma, Firenze, Napoli, le spiagge in , ristoranti stellati , discoteche alla moda. Dipende tutto dalla cultura del consumatore.
E dunque, Max, la catena sarebbe questa: il proprietario è avidissmo e fa pagare troppo al gestore, il quale per inseguire in avidità il proprietario è legittimato a spennare il consumatore. Voi legittimate i consumatori a odiarvi.
No, no, signor Vignola, io vado per lavoro in molte piazze che giocano secondo le regole e incontro onestissimi imprenditori che non fissano prezzi da monopolisti dello spazio. Mai chiesto niente gratis, dato molto, sì. E lei?
Grazie Paolo per questa riflessione. Io da tempo, almeno due anni, non compro niente dai grandi gruppi, stile Amazon, vado in libreria, in edicola, nel piccolo negozio di elettrodomestici e via discorrendo. Per non parlare della Grande Distribuzione…
Nella stessa città un noto bar si lamentava che non riusciva a trovare baristi esperti proponendo uno stipendio di 1300 euro mensili…in una città dove gli affitti medi sono di oltre 800 euro mensili.
Non mi meraviglio: chi propone tali prezzi di vendita e stipendi da fame sono quasi sempre proprietari di buona famiglia borghese con casa di proprietà ereditata da generazioni e lavoro sicuro, anche quello spesso ereditato o, in alternativa, mai per merito. Persone che non hanno mai dovuto sbarcare il lunario con in mano una calcolatrice per arrivare a fine mese. È la realtà di una società classista (Bologna la rossa non fa differenza, purtroppo) senza speranze e senza futuro
Si effettivamente 7 euro per un panino con una mortedalle di qualità, in un locale che a Bologna è un brand, all’interno degli spazi dell’aeroporto con i relativi canoni di locazione, con i dipendenti in regola, haccp in regola, sicurezza sul lavoro in regola dovremmo pagarlo 0.9€ che meno l’Iva fa circa 80 cent e con quelli potremmo evitare di buttare lo scontrino, in una baracca sudicia con i dipendenti non in regola e schiavizzati. Questa sì che sarebbe giustizia sociale! Vi lamentate, poi quando venite in una piazza che gioca secondo le regole volete il prodotto gratis?
Forse non sapete che la ristorazione in concessione (ovvero gestita all’interno di spazi concessi da un ente concessionario, per esempio un’aeroporto, una stazione, un tratto autostradale o di tangenziale) prevede un affitto al concessionario normalmente legato ad una percentuale sul fatturato che arriva tranquillamente al 40%. Quindi non è speculazione del ristoratore perché tolta l’Iva e la royaltie a lui restano 3,70 circa.
Allora è l’aeroporto l’approfittatore? Non proprio, ma è complesso: pensate davvero che pagando un volo 19,90 o anche 49,90 stiamo pagando tutti i servizi di terra necessari e i veri costi dell’aereo che ci trasporta?
Il panino venduto a 7€-0,e10€ in aeroporto, a mio parere è la sintesi dell’economia speculativa sulla quale è incardinato da circa 60 anni il turismo (stagionale e balneare) della Sardegna. Del quale si seguita, del tutto apologeticamente, a non voler mai considerare i costi (commerciali, sociali, demografici, urbanistici, idrogeologici e ambientali), spesa pubblica compresa, a fronte dei soli benefici. Questi, prima ancora che in fatturati, sono tradotti banalmente, stucchevolmente e retoricamente (aggiungerei anche -colpevolmente-) in soli termini di BOOM DI PRESENZE o BOOM DI ARRIVI nelle prime pagine dei quotidiani più venduti. Ciò è quanto di solito si dà in pasto alla pubblica opinione distratta dall’ estate stessa per tranquillizzarla con la narrazione del bene collettivo e dei redditi che si spalmano nella società.
Ma questo Turismo è, fateci caso, sempre e puntualmente rimandato a Settembre o Maggio, in ragione del calendario dei ponti, del clima (o, negli ultimi 2 anni, in ragione inversa alla severità dei protocolli Covid), checché ne dica, non appena insediato, il povero assessore di turno (non prima di aver appreso il significato di “mesi spalla” dal dirigente di turno).
Anche a voler trascurare altre implicazioni del tutto critiche (trasporti; overdose di erogazione culturale stagionale, asservita a sua volta alle masse balneari), pretendere di incardinare sul turismo stagionale speculativo lo sviluppo della Sardegna è inganno OSCENO e, per come sono andate e vanno le cose sui litorali, fino ad oggi, DEL TUTTO INSOSTENIBILE sul piano ambientale (per quel che mi riguarda, anche su quello etico). E anche di questo non si tratta con la necessaria attenzione e la dovuta sensibilità nei riguardi di una risorsa molto vulnerabile (mi limito a scrivere che “il numero chiuso” sulle spiagge è una misura davvero bizantina per chi acclama arrivi e presenze).
Anche il prezzo del panino alla mortadella dell’aeroporto di Bologna (e non solo) è osceno, sono d’ accordo. Detto prezzo, più che il panino in sé, è metafora di questi fenomeni economici che sottolineano tanto il momentaneo vantaggio competitivo dell’esercente (cioè concorrenza zero o cartello) quanto il terrore della precarietà associata alla Stagionalità turistica balneare da sfruttare coi grandi numeri concentrati vuoi nel tempo di una stagione, vuoi nello spazio di un terminal.
Purtroppo i prezzi di aeroporti e stazioni ferroviarie sono sempre stati più alti, ma il punto è che siamo “in Italia” cioè zero controlli e li lasciano fare!!!
senza dimenticare che alla mortadella, prodotta non so bene con quali materie prime e di che qualità, è preferibile un paio di sane fette di “ganga” (grandula nell’interno Sardegna, guanciale in italia) ricavata dalla lavorazione domestica del suino invernale.
allo spritz è senz’altro preferibile un buon bicchiere di rosso anch’esso di “magasinu” domestico (volendo anche due, ma senza esagerare)
Prezzi sempre più alti, confezioni sempre più piccole, cioè con meno prodotto.
Ogni volta che vado a Sassari pranzo con un panino con mortadella. Spendo, quasi sempre, 80 centesimi. Se arrivo all’euro, ho l’impressione che mi abbiano imbrogliato
La logica del profitto è il punto dell’articolo. L’imperare di questa logica avvelena tutto e, di fatto, ostacola una politica sana e volta al futuro. Il guadagno del momento è l’obiettivo non la costruzione di un’ economia in salute. Meraviglioso il passo citato da G.
No Marco, il fatto che un’esagerazione sia attestata già dal 2016 non significa che sia ‘normale’, significa solo che da tempo si è affermata una cultura e una pratica del sopruso commerciale capace di individuare e imporre soglie di profitto così alte da resistere nel tempo.
Condivido in pieno. Sempre più frequentemente preferisco al carrello della spesa la borsa della spesa, da riempire con il necessario acquistato nei sempre più rari negozi di quartiere, dove il prodotto costa un pochino di più ma spendi meno perché ne acquisti il tanto giusto, dove resistono ancora la cordialità e il rapporto umano tra negoziante e cliente.
Se me lo concede, su questo tema vorrei proporre l’estratto di un’intervista a José Mujica sulla sobrietà.
“La mia idea di vita è la sobrietà.
Concetto ben diverso da austerità,
termine che avete prostituito in Europa,
tagliando tutto e lasciando la gente
senza lavoro. Io consumo il necessario
ma non accetto lo spreco. Perché
quando compro qualcosa non la compro
con i soldi, ma con il tempo della mia vita
che è servito per guadagnarli. E il tempo
della vita è un bene nei confronti del
quale bisogna essere avari. Bisogna
conservarlo per le cose che ci piacciono
e ci motivano. Questo tempo per se
stessi io lo chiamo libertà. E se vuoi
essere libero devi essere sobrio nei
consumi. L’alternativa è farti schiavizzare
dal lavoro per permetterti consumi
cospicui, che però ti tolgono il tempo per
vivere”.
José Mujica.
Con i soldi possiamo comprare, buttare e ricomprare, se una cosa non ci è piaciuta. Il tempo di vita speso per guadagnare quei soldi è l”unica cosa che non possiamo recuperare.
La guerra e l’inflazione c’entrano poco. I prezzi in aeroporto sono sempre stati fuori mercato, come dimostra questo articolo sul fatto quotidiano del 2016 (https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07/11/fiumicino-in-aeroporto-un-panino-vale-quanto-unora-di-lavoro-di-un-impiegato/2896782/).
Nel 2016 un panino con mortadella costava all’aeroporto di Fiumicino 6,50€. Se oggi dopo 6 anni costa “solo” 6,90€ possiamo dirci fortunati (!!)
E pagu male si fit solu chistione de paninos e ‘cosighedhas’ gai (si si podet nàrrere “pagu” unu maluvàghere generalizadu!)
Custa est una ‘economia’ infame de gherra chi cun su matessi ‘critériu’ e iscopu de aprofitamentu pro ammuntonare cantu prus dinari produit e bendhet bombas atómicas, naves e ariopranos de gherra, míssiles e sutamarinos, programmat, preparat e faghet sas gherras, est una ‘economia’ a VINCERE E VINCEREMO sos àteros, sos “avversari”, sos “nemici”, nazista e assurda, preparendhe e faghindhe s’iferru mescamente pro sas generatziones noas, malevadas issas!, isperdindhe zente, benes e logu, ponindhe sas capatzidades umanas e sos istùdios no a bínchere sa miséria, sas maladias, nessi sos bisonzos elementares prus mannos e apretoso de una parte manna de s’Umanidade ma a dominare s’Umanidade, a si l’acabarrare e acabarrare una fita prus manna de su mundhu. Bella ”economia’ ponindhe sa zente, canta e cantu ispecializada, a si campare triballendhe pro produire armamentos e donzi raju de distrutzione de zente, de risorsas e de su matessi logu. Cosa de assassinos irbariados.
No est male chentza rimédiu, ma deabberu zente meda abbóghinat o fintzas cundividit su “Vogliamo la pace” ma est impreada in custa ‘economia’ assurda mandhendhe su mundhu e s’Umanidade innoromala. Sa paghe la pedimus a sos àteros ma nois triballamus e faghimus a “Facciamo la guerra”? Cantu de su fàghere nostru est in custa ‘lógica’, in custa ‘prospetiva’ assurda bàrbara disumana? Currimus totugantos a nos pònnere in ‘lista’ pro nos leare e impreare in custa faina maca?
Presente 🙋🏿♂️
Già fatto …da molto tempo
Un po’ come si faceva un tempo, al mare ti portavi il panino fatto nella bottega. Così come in viaggio avevi un angolo della valigia che sapeva di cose buone pagate il giusto per far lavorare una famiglia (non credo torneranno più la Signora Maria o Nico perché oggi ci sono solo negozi di delicatessen o gourmet)