(L’Unione Sarda ospita oggi a pag.11 questo mio articolo)
di Paolo Maninchedda
L’acqua (da quella che beviamo a quella che mandiamo nei depuratori) in Sardegna è un bene pubblico che deve rimanere pubblico.
Abbanoa è un pezzo di questo patrimonio e perciò la Regione si oppone con forza all’ipotesi di fallimento che è stata presentata al Tribunale di Nuoro prima e di Cagliari poi.
La Giunta regionale ha capitalizzato la società e continuerà a farlo: intanto la ex Autorità d’Ambito ha aggiornato le tariffe e determinato i conguagli, Enas ha rateizzato il suo credito, l’Autorità d’Ambito ha avvallato la legittimità della capitalizzazione, i Comuni e i Consorzi industriali hanno compensato i propri debiti e crediti. Da parte sua, Abbanoa ha un nuovo manager e sta cambiando il suo modello gestionale con una forte responsabilizzazione dei dirigenti ed una maggiore aderenza ai territori.
Questo è il presente, ma un po’ di storia non guasta.
Voluta e imposta dalla Regione ai Comuni, Abbanoa è essenzialmente la Regione, ma troppo a lungo è stata trattata come una società di privati o una società di nessuno. I documenti fondativi certificavano che le aziende poi confluite in Abbanoa perdevano 74 milioni di euro all’anno. Sin da allora era indispensabile il calcolo corretto delle tariffe e una capitalizzazione a carico degli azionisti di oltre 100 milioni.
La Regione non l’ha mai capitalizzata, se non per qualche rata occasionale.
Perché?
Perché la società è stata al centro di una guerra fra partiti e pezzi di partiti (che mi auguro non si rianimi per un sussulto di bramosia) e tra settori dell’Amministrazione pubblica. Guerra che ha creato gravi problemi, ma che ora è finita.
Stiamo ricostruendo una pratica degna di uno Stato (quello sardo) fondato sul rapporto corretto tra istituzioni e cittadini.
Qui sta il punto: i cittadini possono avere ancora fiducia in Abbanoa?
La Regione ha chiesto alla società una nuova gestione e un nuovo rapporto con i clienti: essa deve spiegarsi, praticare la cortesia, decentrare, rateizzare il più possibile, premiare gli onesti e sanzionare gli abusivi e i morosi.
La Regione deve sostenere gli investimenti.
Se si pensa che Abbanoa possa mettere a posto il sistema idrico di carta pesta della Sardegna, si pensa veramente male, a meno che non si vogliano tariffe da 3 euro a metro cubo. Le reti idriche sono come le strade sarde: un patrimonio in disordine e abbandonato che richiede impegno, dedizione e molto denaro.
La Regione ora deve garantire progetti di qualità, programmazione strategica e finanziamenti, pubblici o privati. Se riuscirà a essere rapida, innovativa e efficiente, riuscirà anche a produrre dall’acqua una parte di quell’aumento di ricchezza sostenibile che serve ai sardi per vivere meglio.
Per cogliere al meglio la portata e l’importanza primaria della questione proporrei ad ognuno di noi – cittadini, fruitori a vario titolo, amministratori, politici, manager – di restare senza bere per due o tre giorni. Sarebbe utile per comprendere che ció che è scontato, tanto da essere sprecato, dev’essere preservato e tutelato con ben altre misure e premure. Solo il pubblico può – anzi deve – garantire una copertura idrica equa ed efficiente, a costi contenuti alla portata di tutti. Il dilemma, tanto dibattuto, del migliore sistema di gestione resterà tale. Dice bene Evelina nel sostenere che “Il punto chiave è appunto il controllo di gestione e qualora subentrino esterne, il controllo delle transazioni pubblico-privato. Né il settore pubblico né privato hanno il monopolio della buona gestione, molti sistemi pubblici sono ragionevolmente ben gestiti, altri no”. Per quanto mi riguarda il pubblico in generale, fortunatamente con le dovute eccezioni, è sinonimo di inefficienza. Sarebbe necessaria al riguardo una metamorfosi. In Italia è stato votato a maggioranza assoluta un recente referendum (nel giugno 2011) in base al quale l’acqua, essendo un bene indispensabile per la vita umana, debba essere e debba rimanere a gestione pubblica. La direttiva europea n.60/2000 del 23 ottobre 2000 stabilisce, inoltre, che ciascuno stato membro deve effettuare un’oculata analisi economica dell’uso dell’acqua (art.5). A tali principi e dichiarazioni d’intenti devono seguire persone responsabili, capaci, moralmente integerrime e oneste, disinteressate, che non utilizzino la cosa pubblica come merce di scambio per favori e tornaconti o per il perseguimento di interessi propri, diretti o indiretti. Il resto sono chiacchiere.
“L’acqua deve rimanere pubblica”, speriamo che la ricapitalizzata Abbanoa ce la faccia e sconfessi intanto la fama di cattivo controllore della Regione e in secondo luogo che la distanza tra pubblico e privato stia nella linea che separa inefficiente dall’efficiente!!! Gran passo avanti che la Regione sia tornata titolare delle concessioni idriche, abbia deverticalizzato Abbanoa e responsabilizzato con potere di firma i dirigenti. Se Abbanoa non è altra cosa rispetto alla Regione e ai Comuni ce la farà, diversamente no. La Regione deve assicurare un management di qualità dell’acqua, deve mantenere la proprietà pubblica e il controllo delle fonti, deve vigilare sul costo-efficacia dei servizi offerti e soprattutto dev’essere l’unico pilota di comando delle infrastrutture ad alta intensità di capitale che possono generare economie, come appunto quelle idriche, che non devono perdersi in mille rivoli. Ma la domanda è questa: se la governance dell’acqua è un progetto congiunto di sviluppo, a quali livelli è cauto escludere il privato e a quali livelli è responsabile e doveroso coinvolgerlo? Ai diversi livelli servono competenze diverse, non sempre reperibili nel pubblico, per migliorare l’efficienza dell’uso dell’acqua attraverso ricerca e tecnologia, per reingegnerizzare i processi, per rendere affidabili i prezzi dell’acqua alla consegna, per la supervisione efficace delle tariffe delle eventuali utilities. Si sa, E’ difficile forgiare partenariati pubblico-privato di successo, modelli accoppiati di gestione della cosa pubblica, che in genere – anche in un contesto regolamentato di gestione e controllo – sono buoni all’inizio sulla carta, ma non reggono a lungo termine… Il punto chiave è appunto il controllo di gestione e qualora subentrino esterne, il controllo delle transazioni pubblico-privato. Né il settore pubblico né privato hanno il monopolio della buona gestione, molti sistemi pubblici sono ragionevolmente ben gestiti, altri no. E viceversa. Crediamo tutti che le soluzioni reali implicano innanzitutto la necessità di creare un “sistema di condizioni” (o ci stai o te ne vai), in base alle quali la gestione efficiente e socialmente responsabile dell’acqua possa essere anche affidata all’esterno, essendo premiata l’efficienza e punita l’inefficienza socialmente irresponsabile. La politica, anche ricorrendo all’esterno, deve combinare l’obiettivo sociale con quello economico della gestione dell’acqua. E i principi sono riuniti in base ai bisogni umani, che rispondono alle esigenze dell’ambiente. Da qui la necessità di incentivi per la protezione e la conservazione delle risorse idriche. La Regione, detto più in generale, può competere nel mercato, ma non per il mercato. E per questo ha bisogno di innovazione, ricerca e quant’altro che non passa solo per il sistema pubblico. “La Regione deve sostenere gli investimenti”.
Ah ah ah ah :)
La pagina 11 dell’Unione on line stamattina non si leggeva!
Ora capisco perché.
Il potere dell’informazione (si fa per dire) in Sardegna.
Come siamo soliti fare, si gioca a fare tutt’uno del bene pubblico e della sua gestione da parte dello Stato (una chicca quel “sardo” fra parentesi) o delle sue ramificazioni periferiche. E tutto questo sofistico esercizio passa sotto il nome di riforme.”La Regione deve sostenere gli investimenti”, si scrive. Il cittadino, chi sa perché, legge: “La Regione deve sostenere il Carrozzone”. La vogliamo capire che non ci può essere più il benché minimo sospetto di commistione? La “gestione” datela ai privati e fategli un culo così quando fanno i disonesti. Il “bene” non smetterà di essere pubblico e i cittadini ci guadagneranno.
Hai fatto tuo il principio che sostengo e per cui lotto da 20 anni. L’acqua è il primo vero volano di sviluppo socio economico e bene inalienabile dell’essere umano.
Avanti così.
Sono assolutamente convinto e d’accordo che l’acqua sia un bene pubblico e tale debba rimanere, ma non concordo che questo concetto venga riferito solamente al”L’acqua (da quella che beviamo a quella che mandiamo nei depuratori) in Sardegna è un bene pubblico che deve rimanere pubblico.”
TUTTA l’acqua deve essere considerata un bene pubblico, anche l’acqua per l’agricoltura, per l’industria, per l’uso idroelettrico, quella che piove, quella che scorre sul suolo e quella che scorre nel sottosuolo e perché no anche quella del mare.
Tutta l’acqua è tutta nostra, riprendiamocela, ecco perché occorre un governo dell’acqua.