Ho aspettato qualche giorno prima di scrivere, per non ragionare di getto e per cercare di far decantare il dolore.
Oggi posso cominciare.
L’Unione Sarda, che continua ad essere un giornale centomila volte migliore e superiore a La Nuova Sardegna tinta di Rosa e veleno di questi ultimi anni, sta dedicando un numero crescente di pagine alla recensione di libri (a parte quelle sprecate per pessimi esercizi letterari di magistrati in pensione che hanno un rapporto con la lingua e la letteratura italiana quale quello che io ho con la fisica sub atomica).
Il 2 ottobre Massimiliano Rais ha raccontato l’avvenuta pubblicazione per Laterza dell’ultima fatica di Luciano Marrocu: Storia popolare dei sardi e della Sardegna, 20 euro di copertina, già scontato a 19 da Ibs, 11,99 come ebook.
A scorrerlo si riaprono antichissime ferite, personali e culturali. Ma di questo parlerò nel libro che da anni sto cercando di concludere e che ogni tanto devo abbandonare per soggiunto dolore.
È l’ultima espressione di una articolata corrente storiografica di sinistra, che vede nel pessimo libro a tesi di Girolamo Sotgiu, La Sardegna sabauda (Sotgiu era e sempre resterà un ex segretario politico del Pci dalla forte connotazione stalinista) l’espressione peggiore (Marrocu è molto più raffinato di Sotgiu e con lui ha poco a che fare) ma soprattutto nel durissimo e inverecondo (nel senso che è il libretto nel quale le tesi dei marxisti e post marxisti si esplicitano con più chiarezza, fino alla sfontatezza) Etnia, lingua, cultura. Un dibattito aperto in Sardegna del 1977, nel quale la Sinistra di allora diede proprio sfogo del prorpio odio e della propria paura verso il pensiero politico che ruota intorno alla Nazione Sarda, il suo punto di esplicitazione non mediata. L’accusa del mondo marxista ai sostenitori della Nazione sarda è duplice: da una parte quella più semplice di essere un’espressione in sedicesimo del nazionalismo, e quindi di una corrente dipensiero di destra, fortemente bellicista e inevitabilmente esposta allo scontro etnico e razziale, conservatrice sul piano sociale; dall’altra quella di essere un pensiero isolazionista, provinciale e pericoloso per la Sardegna perché capace di isolarla dalle grandi correnti della modernità. La più sofisticata delle elaborazioni in questo senso fu quella prodotta da Salvatore Mannuzzu in Finis Sardiniae, vero manifesto del disprezzo di sinistra verso il neo-sardismo e verso l’indipendentismo, mai contestato da alcuno per l’indubbia grandezza della scrittura (non del pensiero) di chi la vergò.
Tuttavia il tempo ha mostrato che l’indipendentismo si è innervato di nuovi valori, di nuovi concetti, di maggiore robustezza e duttilità, e invece l’autonomismo ha mostrato tutto il suo volto parassitario, burocratico, incapace di creare coesione sociale e sviluppo sostenibile.
Qui la Sinistra ha perso la testa e ha dichiarato che finita l’autonomia è finita la Sardegna, finis Sardiniae.
È un po’ lo schema di Pietro Soddu di qualche hanno fa: la Sardegna sarebbe finita con lui, con uno spiraglio concesso per l’esperimento Soru e poi subito richiuso.
Il senso di questa stizza e di questa crisi è leggibile in La Sardegna contemporanea. Idee, luoghi e processi culturale, dove è chiarissimo che i giovani studiosi (a differenza dei vecchi stizziti) sono attratti dal nuovo pensiero indipendentista, che rifiuta l’insurrezionalismo, che non è nazionalista, che è democratico e parlamentarista, che non è neanche di striscio eversivo, ma che è in grado, finalmente, di creare una cornice che unisca la Sardegna, primo grande e ineludibile obiettivo. Non voglio approfondire adesso, perché ho un altro scopo, ma era necessaria questa lunga premessa.
Ciò che voglio segnalare ai tanti intellettuali di Sinistra (alcuni con partito e altri senza) è il supporto inconsapevole che essi danno agli analisti dei servizi segreti.
Per i Servizi segreti italiani, lo aveva già capito Mario melis, chiunque ragioni di indipendenza della Sardegna è eversivo. Essere marchiati dai Servizi come una minaccia per lo Stato ha delle conseguenze non banali. Chi ha costruito il vestito ideologico dell’eversione su chiunque ragioni in modo indipendente sulla Sardegna? Certamente nei tempi andati i fascisti; ma nei tempi recenti molto i comunisti (non cito alcuni esponenti dei Riformatori perché privi dell’alafabetizzazione necessaria per partecipare a questa discussione). Fu Il Pci a legittimare democraticamente Mario Melis e anche a salvarlo da alcuni ragionamenti che serpeggiarono in modo neanche tanto occulto tra le forze di polizia e la magistratura della fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta, ai tempi del processo a Bainzu Piliu e sodali. Da allora il Psd’az, sebbene abbia nel suo statuto l’indipendenza della Sardegna, è stato declassificato dai Servizi segreti come eversivo e iscritto invece come forza parlamentare.
Esercizio critico
Marrocu dichiara all’Unione: «Io non mi sono assunto il compito di celebrare, ma in fondo neppure quello di respingere, una visione in chiave nazionale della storia sarda, bensì di esercitare intorno a essa un approccio critico». Benissimo, e da ciò che ho letto mi pare che il tormento critico sia evidente e anche faticosamente declinato (sebben con una predilezione per la storiografia ‘amica’), ma ciò che mi preme sottolineare è che Luciano non si accorge che analogo esercizio critico andrebbe sviluppato rispetto alla corrente storiografica e politica che ha criminalizzato l’indipendentismo, tacciandolo, per paura, di eversivismo. Non è la Nazione sarda a patire un difetto di esercizio critico, anzi! essa è l’ideologema più criticato. È il suo contrario a mancare di critica, è il pensiero che nega a priori che i Sardi si sentano uniti da concetti, valori, interessi e diritti, a non essere mai stato sottoposto con adeguata cura a esercizio critico. E da qui al passo successivo, cioè dall’ipercriticismo verso l’indipendentismo all’accusa ingiusta e grave di eversivismo il passo è brevissimo. È la cultura di sinistra impaurita dal pensiero, che io definisco post azionista e post socialista del nuovo indipendentismo sardo a fornire agli analisti dei servizi segreti gli argomenti per schedarci tutti e buttarci tutti in un mare di guai immeritati, ingiusti e folli.
Se solo il capo dei Servizi avesse mai parlato con un indipendentista moderno anziché leggere solo i rapporti dei capi dipartimento, probabilmente avrebbe scoperto più rispetto della legge, della Costituzione italiana e della legalità in noi che in tanti farabutti che si alzano in piedi dinanzi al tricolore e poi fottono il popolo italiano a ogni pie’ sospinto. Speriamo che la storia ci dia il modo di spiegarci, ma intanto, di grazia, compagni, non fornite i ferri ai torturatori.
un’insegnante di lettere di mia figlia, autodefinitasi “di sinistra”, saputo che io avevo idee indipendentiste, le disse con aria irridente, forse mandandomelo a dire, qualcosa tipo “ma se la Sardegna fosse indipendente, chi li pagherebbe gli insegnanti, chi le pagherebbe le pensioni?”.
era un’insegnante di liceo che parlava, con la pretesa di dare istruzione e formazione civica, a studenti di quinta liceo, quindi cittadini maggiorenni.
questo lo dico per dare un’idea del livello di approfondimento e di consapevolezza sul tema dell’indipendentismo che permea il dibattito politico, anche a livello non troppo popolare
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Gratzie professo’, ca faghes onore a totu sos sardos ki dae semper ant katzau samben e ingurtiu benenu. Su ki at fatu male a sa Sardinna sun sos rinnegaos e sos traitores de sa natzione non sos indipendentista.
S’acusa de natzionalismu a sos indipendhentistas sardos, ischindhe it’est su natzionalismu, si no chi sa peràula est una derivada de natzione, est cretina e istúpida: un’àtera definitzione rechedit peràulas peus.
Isolatzionistas sos indipendhentistas? Tocat a èssere zeunos de istória de sa Sardigna o de l’abbaidare a ogros serrados o iscartare su chi e chie l’at fatu s’isolamentu nostru, e chentza fàghere perunu contu chi s’unionismu de s’Itàlia s’at leadu su sàmbene de sos Sardos pro fàghere sas tres gherras suas de indipendhéntzia e che at frundhidu chentinas de mizas de Sardos de sa menzus zoventude a sas gherras suas colonialistas, natzionalistas e nazifascistas: chie cheret assumancu abbèrrere sos ogros si lezat númenes e sambenados de assumancu sos mortos nostros in sa prima e in sa segundha gherra mundiale iscritos in sos “monumento ai caduti” chi fossis agatant in totu sas bidhas.
Ajó, zughindhe ogros e bonos puru no bi cheret chi fatemus fintzas sos tzegos e ne sos tontos de professione!!! Si sèberent una professione prus modesta, fintzas a marrai sa terra e prantai sa cibudha chi seus comporendi de importatzioni, e gei si ndi agatat e tenint capacidadis po una professioni prus dignitosa.