Primo. Intanto, quanto è piovuto?
Prendiamo i dati alle 2 di stanotte. In un giorno, dalle 2 del 10 alle 2 del mattino dell’11 sono caduti 452 mm di pioggia. La media delle piogge in Sardegna è di 760 mm annui. Quindi a Capoterra è piovuto più o meno in un giorno quando piove in Sardegna in sette mesi.
Più o meno la stessa situazione si registra a Tertenia con 249 mm di pioggia caduti ieri e 359 oggi (dalle 2 alle 6).
Sono dati che devono far riflettere sui cambiamenti climatici.
C’è una gerarchia di importanza di fronte alle alluvioni.
Prima di tutto sta l’efficienza della protezione civile, che è valutabile dalla capacità di evitare che la gente si metta per strada quando c’è l’allerta meteo o che stia nei seminterrati.
Ieri, con tutte le difficoltà del caso (cioè il mutare repentino delle condizioni meteo) sembra che l’organizzazione abbia evitato che ci siano state vittime.
Non bisogna abbassare la guardia: oggi pare che ci sia un disperso nella zona di Cortexandra.
Come Sardi dobbiamo imparare almeno che cosa non fare durante le alluvioni.
Sembra poco, ma questo è invece moltissimo.
Non esiste infatti il rischio zero, cioè non è possibile mitigare interamente con opere il rischio idrogeologico; viceversa, è possibile renderlo sempre più impotente sulla vita delle persone con comportamenti razionali, coordinati, prudenti, vigilati.
Secondo. Detto questo, c’è da interrogarsi sui cambiamenti climatici. La Sardegna è sempre stata colpita da alluvioni nel corso dei secoli, ma il tempo di ritorno di questi eventi si è accorciato. Insomma, prima c’era, per esempio, un’alluvione ogni secolo, oggi ce n’è una ogni ventennio. Siamo di fronte alla globalizzazione dei danni ambientali per precisa responsabilità dei paesi indifferenti alla regolazione delle emissioni e al concorso all’aumento globale delle temperature. Si emettono grandi quantità di Co2 in Cina e piove in modo abnorme in Sardegna. Trump decide di inaugurare la deregulation su amianto, carbone e quant’altro, e piove in Sardegna. Noi, che continuiamo a bruciare combustibili fossili nelle centrali sarde concorriamo alla nostra disgrazia. Può anche non piacere questo discorso, ma è vero. L’uomo sta uccidendo la terra e lo sta facendo dolosamente. Nelle politiche internazionali, stare sempre con chi pompa petrolio, inquina, insegna a consumare e consumare senza criterio, avvelena le catene alimentari, inquina fiumi e aria, guerreggia per ogni contrasto, stare con questa internazionale del lento suicidio dell’umanità, significa concorrere alle catastrofi naturali.
Terzo Non voglio commentare i crolli sulla Strada Statale 195 perché perderei il controllo e non voglio perderlo (e peraltro ci sono crolli e crolli, crolli di cose vecchie e crolli di cose nuove). Ma c’è un solo nome da fare: Anas. Noi dobbiamo scrollarci di dosso questo mostro di Stato, inconcludente, pachidermicamente lento, che fa manutenzioni ridicole (quando le fa), che accentra ogni progetto a Roma, che ha procedure centralizzate interne che durano un’era geologica, che trattiene su ogni appalto il 12% di aggio, più le spese e i ribassi. Oggi esiste la società delle infrastrutture della Sardegna. Bisogna capitalizzarla e progressivamente fare entrare nel patrimonio della Regione le strade attualmente statali. Ovviamente si pone un problema: il costo delle manutenzioni delle infrastrutture regionali, cioè delle connessioni interne della Sardegna.
I partiti politici sardi sono restii ad ammettere che la Sardegna ha bisogno di circa 100 milioni di euro di manutenzioni all’anno. Non si vuole destinare questa cifra a questo scopo perché è uno scopo poco impattante sull’opinione pubblica rispetto alle politiche del lavoro, della ricerca, del turismo e della cultura.
Ma la cifra per tenere in ordine la Sardegna è quella ed è annuale.
Poi ci sono le manutenzioni delle infrastrutture comunali. Se si pensa che i comuni riescano a far fronte alla manutenzione di strade, alvei, ponti, illuminazione, strade rurali, edifici pubblici col gettito delle imposte comunali e col Fondo unico, si vive su Marte. Le strade sono due: o si destina una quota fissa del fondo unico alle manutenzioni, o si incrementa il fondo unico con una dotazione finalizzata.
Infine, non voglio ricordare la via crucis che ho patito per tre anni per realizzare le opere di mitigazione delle zone alluvionate. C’è il momento dell’emergenza nella quale tutti sono disposti a tutto; subito dopo iniziano mille difficoltà per la realizzazione delle opere. Mille esposti, mille segnalazioni, ovviamente tante spallucce da parte delle istituzioni statali, tanta solitudine e per di più anche tanto sospetto, tanti controlli, insomma, uno scenario nel quale una persona normale è messa nel tritacarne dal giorno alla notte. Mi ha fatto piacere leggere oggi le dichiarazioni del sindaco di Capoterra che ha confermato come le opere realizzate hanno funzionato. È piccola cosa, ma aiuta.
Quarto Il codice degli appalti è un nemico giurato dell’efficacia e tempestività delle manutenzioni infrastrutturali. La cultura del sospetto italiana, la corruzione presupposta piuttosto che accertata caso per caso, produce procedure irrazionali, nemiche del fare e del far bene. Ormai le grandi imprese hanno licenziato ingegneri e capomastri. Assumono stabilmente avvocati, sono interessate al procedimento, non all’opera. L’Italia è un paese di chiacchere e sotterfugi, non di attività. Questo i Sardi se lo devono ficcare in testa e cominciare a lottare con spirito nazionale contro l’insopportabile cappa burocratica che ci opprime.
Quinto L’urbanistica. Non riuscirò mai a capire perché in Sardegna si ragioni di urbanistica senza ragionare dell’avvenuto cambio climatico, della necessità di utilizzare il territorio senza consumarlo, di rendere l’utilizzo intelligente. Si diviene tutti parchi e francescani quando le emergenze sono in corso, per poi divenire peggio di Trump appena ne è passata la memoria. Io sono per spostare, riqualificare, funzionalizzare, piuttosto che per costruire ex novo. C’è un mare di lavoro per le imprese nell’adattamento dell’insediamento urbano a una nuova idea di paese e di città. Invece mi pare che sopravviva una vecchia mentalità del tutto e subito, del margine capitalistico tutto e subito, dell’indifferenza al contesto, del fascino del lusso anche quando si sa che è volgare e che viene praticato a discapito dell’umanità intera. La natura sollecita, con la sua brutalità indifferente, la nostra cultura, il modo con cui ci sentiamo e stiamo al mondo.