di Paolo Maninchedda
La Sardegna ha fatto uno sforzo enorme per accogliere il Giro d’Italia e trasformarlo in un evento europeo di promozione del territorio. Il lavoro fatto prima da Francesco Morandi e ora da Barbara Argiolas (raro caso di assessori che si alternano e non si annullano reciprocamente, dando corpo alla tanto celebrata e poco praticata continuità amministrativa) ha fatto sì che durante lo svolgimento della gara la complessità estetica della Sardegna emergesse in tutta la sua bellezza.
Ebbene ieri il Tg1 delle 20 fa un’operazione non giornalistica ma letteraria che rasenta il razzismo.
Voi, quando il Tg1 parla di Firenze, non sentite il bisogno che vi ricordino i luoghi del Mostro di Firenze, o no? Non sentite il bisogno, quando parla il Papa che, subito dopo qualcuno faccia un servizio per ricordare i preti pedofili, o no? Se il Tg1 parla di Renzi, non sentite il bisogno che un altro servizio ricordi la Banca Etruria. Se un servizio parla di Milano, non sentite il bisogno che il servizio successivo vi ricordi le infiltrazioni mafiose all’Expo?
Quando c’è di mezzo la Sardegna c’è sempre l’italiano standard che fa la facile equazione Barbagia = Banditismo, per cui mentre lo speaker del Tg1 annuncia che subito dopo la cronaca sportiva del Giro ci sarebbe stato un altro servizio sui luoghi del giro, il servizio ‘dei luogi’ li declina nell’immagine del cartello di Orune sforacchiato a pallettoni, nella memoria dell’ultimo delitto di Orune e in una visita a Orgosolo e ai suoi murales, con un’intervista al bibliotecario (bravo a rispondere alla domanda originalissima sul ‘sardo chiuso’ con una battuta intelligente: tutti appaiono chiusi finché non li conosci). Forse il giornalista voleva evocare Cagnetta, ma ha solo evocato una gran figura da cani.
Al giornalista italiota poco importa che io gli ricordi che aveva, a proposito di luoghi, a un tiro di schioppo Su Tempiesu, che a Orgosolo aveva il Supramonte sotto i piedi con alberi, rocce, pozzi, fenomeni endemici e carsici unici al mondo, che a Mamoiada aveva le maschere che evocano una delle pochissime sopravvivenze del mondo pagano antico, che a Nuoro aveva la casa di un premio Nobel per la letteratura, che a Dorgali aveva l’accesso a Tiscali e a Gorroppu, e sotto, lungo la costa, le bellissime spiagge e grotte barbaricine e ogliastrine. Questi e altri sono i luoghi del Giro (tra i quali metterei anche la fierezza dello sguardo di Caterina Murino) di cui il servizio pubblico avrebbe potuto parlare nell’edizione di punta. La Sardegna terra di banditi raccontata a ‘freddo’ nel giro d’Italia è un luogo del pregiudizio non della cronaca, è un luogo della narrazione connotativa non denotativa. In sostanza è la giustapposizione dei contenuti, a produrre l’effetto della distorsione, della deformazione della realtà. E la narrazione è sempre un atto di volontà, non di impulso; i penalisti direbbero che è dolosa e non colposa, tanto più che la redazione Rai disponeva già dei materiali per descrivere i luoghi significativi della Sardegna, perché in più di un caso ne aveva parlato durante la cronaca della tappa. Queste narrazioni negativamente selettive applicano tecniche della disinformazione che studiamo all’università, ma vederle introdotte ostilmente dalla televisione di Stato italiana dovrebbe far riflettere non me, che mi sono emancipato dall’educazione italiana ricevuta, ma i sardi che continuano a ostinarsi a pensare la Sardegna secondo modelli italiani, cioè secondo un modello di inibizione, marginalizzazione e deformazione.
Ma che lo dica io, poco importa, perché la Rai, che incassa il canone a prescindere da ciò che fa, se ne frega delle opinioni di un professore indipendentista, ma deputati e senatori sardi possono considerare l’ipotesi di addebitare alla Rai un danno di immagine alla loro Regione (per me, la mia Patria), proprio nel momento in cui si stanno facendo enormi sforzi per intercettare correttamente la domanda turistica, si sta promuovendo il territorio in tutto il mondo, si stanno migliorando i servizi senza per questo produrre un solo metro cubo in più di cemento? Ieri il Presidente del Governo sardo, se avesse potuto, alle ore 22 avrebbe licenziato il direttore del Tg1. Tutta la Giunta ieri notte è scesa sul piede di guerra, ma non ha strumenti reali per sanzionare il servizio pubblico (che in Sardegna non esiste) e non può sempre protestare, parlando per dare fiato ai denti. Il servizio pubblico per la Sardegna è svolto da un’altra nazione, l’Italia, che ufficializza, standardizza e volgarizza i peggiori pregiudizi italioti riversandone i costi sui cittadini e i costi, in questo caso, sui sardi. In pochi minuti si è annullato il lavoro di promozione di mesi, in nome del pregiudizio e dell’ignoranza. Eccellenze parlamentari sarde, di grazia, fatevi sentire, voi siete azionisti della Rai!
Comments on “La Rai sta alla Sardegna come un insulto a una persona perbene”
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Per Francesca e per la cronaca, riporto le note autobiografiche del giornalista autore del servizio, Alessio Zucchini, dal suo blog (la zucca bacata):
“Sono umbro, sono nato ad Umbertide nel 1973. A 19 anni ho preso alla lettera Lou Reed che cantava ‘quando nasci in un piccolo paese c’è soltanto una cosa che puoi fare… andartene’. Torino, Madrid, Milano, ora Roma, ma quando posso torno sempre lì, dove sono cresciuto. Perché in fondo se vuoi scappare da un posto di quindicimila abitanti significa che vuoi scappare da te stesso. E da te stesso non ci scappi nemmeno se sei Eddy Merckx. Cronista del Tg1, blogger, ogni tanto provo anche a scrivere qualcosa.”
E mica ora ce l’avremo con gli umbri …
Indignazione condivisibile, e poi? Intendo dire che indignarsi è umano e giusto, è il concime del risentimento verso “il continente” e la rivendicazione dell’ennesimo torto subito dall’ultimo colonizzatore della lista. Nulla di nuovo, a cui siamo abituati fin da bambini e da diverse generazioni. Non vedo il delinearsi delle basi di una prospettiva diversa all’orizzonte. Alla nostra indignazione si contrappone la percezione dei sardi permalosi inclini al vittimismo, incapaci di fare i conti con la propria storia, fatta anche di banditismo, di cui si vergognano e che dunque preferirebbero occultare. Come se i siciliani pretendessero di escludere la mafia dall’immaginario collettivo che pregiudizialmente permea ogni servizio televisivo sulla loro isola.
Proviamo a ribaltare il punto di vista.
Se noi leggiamo il banditismo solo in chiave negativa facciamo torto alla storia e a noi stessi.
Affrontiamola con coraggio e a viso aperto la nostra storia, quella vera però, non quella edulcorata e ammantata di orpelli che non ci appartengono. Chissà che non sia contenuta proprio lì la soluzione alla questione sarda.