Come fa informazione in campagna elettorale la televisione di Stato?
Rinunciando all’informazione.
Vedere un telegiornale in questi giorni è disarmante per una persona normalmente attenta e civile.
Si è costretti a sentire i comizietti preconfezionati. I giornalisti fanno una piccola introduzione inutile poi cedono il microfono a un rappresentante di partito, il quale ha studiato una dichiarazione da trenta secondi netti, buttata a memoria e recitata di fronte ai microfoni televisivi.
Tutto qui.
Questa è l’informazione dello Stato italiano.
Siamo passati dall’informazione al festival delle dichiarazioni: ognuno dice un po’ quello che vuole, il giornalista non fa domande e il telespettatore è costretto a vedere e ascoltare questa passerella di frasi fatte.
Uno scempio etico (perché paghiamo il canone in bolletta non per subire dichiarazioni ma per capire) e estetico (perché questo festival di dichiaranti è brutto, ripetitivo, vagamente pubblicitario).
Nel frattempo nessuno dà le informazioni indispensabili per il cittadino (ma d’altra parte, quante cose si sono fatte in Italia all’insaputa degli italiani?). La domanda che dovrebbe essere ripetuta a tutti per esempio potrebbe essere: «Lei cosa farà per contenere e ridurre il debito pubblico dell’Italia?». Nessun candidato parla di ciò che incombe su tutti, ma tutti parlano di nuove assunzioni, di nuovi carabinieri e poliziotti assunti, di nuove pensioni, di nuovi sussidi, di nuovi assegni ad personam. Tutti promettono di spendere, nessuno fa domande.
Faccio un altro esempio.
Chi sa in Italia che la legge elettorale prevede che non vengano conteggiati migliaia di voti?
La legge elettorale prevede che le liste che non raggiungono il 3% dei voti espressi sul totale dei votanti della Repubblica non vengano ammessi al riparto dei seggi.
Questa regoletta ha una conseguenza: le liste presentate in una sola regione d’Italia, specie se spopolata come la Sardegna, non eleggono alcun rappresentante nei collegi proporzionali, cioè, in Sardegna, nei collegi dove si eleggono 16 parlamentari su 25. Questo è il motivo per cui il Partito dei Sardi, i Riformatori, Progress per citare tre partiti, non partecipano alle elezioni.
C’è invece chi ha fatto scelte diverse, presentando la lista soltanto in Sardegna sia nel collegio proporzionale del Senato (dove si assegnano 5 seggi) e nei due collegi della Camera (dove si eleggono 11 parlamentari).
Perché questi candidati siano ammessi al riparto dei seggi occorre per legge che prendano il 3% dei voti espressi. Secondo il verbale dell’Ufficio elettorale centrale italiano presso la Suprema Corte di Cassazione datato 5 marzo 2013, alle precedenti elezioni (2013) su base nazionale italiana vennero espressi 34.005.755 voti.
Calcoliamo il 3% su questa cifra: esso ammonta a 1.020.173 voti. Adesso veniamo in Sardegna.
Nel 2013 vennero espressi in Sardegna 925.794 voti.
Quindi, a dati 2013, perché una lista presentata solo in Sardegna possa ottenere seggi, non solo dovrebbe prendere tutti i voti espressi, ma gliene mancherebbero 94.379.
Chiaro per tutti? Impossibile eleggere.
Tutto questo non viene raccontato, gli elettori sardi votano inconsapevoli di tutto.
Nei prossimi giorni altre informazioni, per aumentare la coscienza di un meccanismo elettorale che tratta le persone come criceti sulla ruota.