di Paolo Maninchedda
La Banca d’Italia ha appena pubblicato un report molto istruttivo di 57 pagine. Eccolo. Si intitola: “Mercato immobiliare, imprese della filiera e credito: una valutazione degli effetti della lunga recessione”.
Che cosa dice?
Intanto, un’avvertenza: teniamo d’occhio le date.
Banca d’Italia dice che la crisi dell’immobiliare è iniziata prima della crisi del 2008-2009, generata invece dai sub prime statunitensi. Quindi la crisi immobiliare ha origini interne, prima che di contesto.
Quanto vale l’immobiliare in Italia?
A valori 2012 valeva più di un quinto del Pil, più o meno quanto valeva in Francia e molto di più di quanto valeva in Germania.
Quanto denaro e come veniva prestato agli immobiliaristi?
“Alla fine del 2013 il credito concesso alla filiera superava il 34 per cento dei finanziamenti alle imprese. Se consideriamo anche i finanziamenti alle famiglie per l’acquisto,la ristrutturazione, e la costruzione di abitazioni,i prestiti connessi con il settore immobiliare ammontavano a circa 700 miliardi di euro, il 43 per cento del credito erogato al settore privato non finanziario. Nel confronto internazionale, l’esposizione delle banche italiane appare molto inferiore a quelle degli altri principali paesi; la differenza è riconducibile in larga misura alle famiglie,mentre l’incidenza dei prestiti alle imprese del settore delle costruzioni è notevolmente più elevata”.
Quindi, il prestito diretto delle banche al sistema immobiliare è stato ed è notevolmente più elevato che negli altri paesi, ma l’esposizione delle imprese è ridotta dalle politiche dello Stato e delle Regioni che finanziano l’acquisto della casa. Banche e politica…
Quale è lo stato di salute del settore immobiliare?
“Il drastico ridimensionamento dei ricavi e il crescente accumulo di immobili invenduti hanno accresciuto la vulnerabilità delle imprese: la rischiosità del credito concesso al comparto ha raggiunto livelli storicamente elevati e superiori a quelli della media del sistema produttivo nonostante il progressivo irrigidimento dei criteri di offerta da parte degli intermediari”.
Detto in altri termini, le imprese immobiliari che ricevevano molti più prestiti bancari delle altre imprese, hanno perso capacità di generare ricchezza. Tutti i parametri che misurano la redditività di un’impresa sono sensibilmente peggiorati. In particolare il ROE (Return on equity) che misura sostanzialmente la redditività dei mezzi propri “a fronte di un incremento significativo tra il 2003 e il 2007, ha mostrato nella fase recessiva un calo rilevante, scendendo al di sotto della media dell’economia e divenendo negativa nell’ultimo biennio”.
Se questo accade in imprese iperfinanziate dalle banche (cioè dove l’apporto dei mezzi propri è notevolmente inferiore a quello registrabile e richiesto dalle stesse banche in altri settori) il MOL (Margine Operativo Lordo), che registra la capacità dell’impresa di generare ricchezza al netto del pagamento di interessi e imposte e prima degli accantonamenti (più rozzamente, il MOL misura un po’ a spanne se l’impresa ha liquidità), inevitabilmente vede crescere l’erosione operata dagli oneri finanziari, “salita dal 32,0 per cento del 2003 al 44,4 del 2008, ha registrato un calo tra il 2008 e il 2010 per poi tornare ad aumentare nel successivo biennio (al 46,9 per cento nel 2012, valore quasi doppio rispetto alla media del sistema;) per l’aumento del costo del finanziamento e la contrazione dei ricavi”.
Quindi, imprese iperfinanziate inevitabilmente pagavano più interessi degli altri, ma vendendo progressivamente di meno, il peso degli interessi aumentava; tuttavia tutto ciò accadeva anche perché mentre fino al 2006 i ricavi attivi (nuovi cantieri, ovviamnete finanziati dalle banche) superavano seppure di poco le rimanenze (l’invenduto); dal 2006 in poi le rimanenze superano i ricavi e non di poco.
In sostanza, le banche hanno continuato a finanziare le imprese immobiliari anche quando erano ben consapevoli che le rimanenze non erano cantieri che si avviavano alla conclusione, ma case belle che finite e non vendute. I nuovi cantieri hanno generato nuovo invenduto. Tutto comincia a fermarsi verso il 2011/2012.
Quale è stato l’andamento dei prezzi nel periodo della crisi?
1) Domanda e offerta: “Gli acquisti di abitazioni, aumentati di quasi il 75 per cento nella fase espansiva del mercato, a partire dal 2007 hanno cominciato a contrarsi e nel 2013 erano più che dimezzati rispetto al 2006 e inferiori di quasi un quinto rispetto a quelli dell’inizio della fase espansiva”.
2) Prezzi e valori:”Dopo essere aumentati di oltre il 60 per cento tra la fine del 1998 e la fine del 2006, i prezzi hanno continuato a crescere ancora fino al primo semestre del 2008 e hanno sostanzialmente ristagnato fino a tutto il 2011. Solo a partire dal 2012 hanno iniziato a calare in misura rilevante e nell’arco di un biennio hanno cumulato una riduzione del 9,5 per cento. La correzione è stata più prolungata e pronunciata in termini reali: al netto dell’inflazione al consumo, i prezzi hanno iniziato a ridursi dal primo semestre del 2008 e alla fine del 2013 risultavano inferiori di circa un quinto rispetto alla fine del 2007″.
3) Invenduto: “Il drastico calo del mercato dopo il 2006 ha portato all’accumulo di uno stock di abitazioni invendute molto elevato. In assenza di informazioni ufficiali, Gobbi e Zollino (2013) stimano che nel 2012 le abitazioni invendute fossero circa 500 mila unità, valore ben superiore all’equivalente di un anno di produzione”.
Perché si sono tenuti i prezzi troppo alti rispetto al mercato?
A questa domanda il report Banca d’Italia non risponde direttamente, ma fornisce qualche indizio. Un primo dato su cui riflettere è che gli immobili sono tutti fatti con pochi mezzi propri e molti finanziamenti bancari che hanno dietro di sé garanzie e stime. Sul prezzo degli immobili incidono, e non poco, i valori iscritti nei bilanci e nel sistema delle garanzie delle banche. Insomma, i costruttori possono aver scelto una strategia di attesa della ripresa del mercato. Questa politica, però, ha bisogno di accompagnarsi con la capacità di rinegoziare i mutui e di pagare i relativi ratei. Il report della Banca d’Italia rivela che le grandi banche italiane sono state più tempestive delle piccole nel cogliere i segnali di crisi delle imprese e nel correre ai ripari. Tuttavia, la bolla speculativa dell’immobiliare è attiva ed è fondata, finché vi è qualcuno che paga i ratei, sulla reciproca convenienza di banche e imprese a tenere iscritti a bilancio valori non più rispondenti alla realtà del mercato. Banche e imprese hanno un interesse comune a evitare che la bolla speculativa dell’immobiliare italiano scoppi.
Banche e mercato della Sardegna: quale è il quadro storico del sistema delle garanzie?
Come è noto, non è per niente facile ricostruire le politiche bancarie, ma la connessione tra banche e sistema immobiliare, dato ciò che abbiamo appena scritto, è un dato politico, prima che economico. Lo è in tutta Italia e lo è anche in Sardegna. Vuoi che sia stata vigente in Sardegna una sorta di consuetudine che ha privilegiato taluni piuttosto che altri; vuoi che vigessero relazioni privilegiate legate alla ricchezza (le banche devono conquistare i ricchi come loro clienti); vuoi che il conflitto degli interessi e le gerarchie di potere legate al credito e all’urbanistica si siano riverberate sul sistema delle garanzie bancarie; vuoi che a taluni sia stata richiesta come garanzia non l’immobile ma un’attività più redditizia e poi, invece, in procedura, la garanzia sia scivolata sul solito immobile e vuoi invece che per altri le garanzie siano state più severe e quindi negate; vuoi tutto questo, ma tutto questo pur avendo valore per la politica regionale, non è conoscibile. Per esempio: è conoscibile il nesso tra scelte urbanistiche e le aziende finanziate? Tra i ceti politici, i ceti bancari e le aziende finanziate? Perché un vecchio ceto egemone in tanti settori ha contestato la sua esclusione dai vertici bancari e mai ha concorso a illuminare le genealogie dei privilegiati del credito che sono inevitabilmente esistite anche in Sardegna? Dietro la quota sarda della bolla immobiliare c’è un pezzo della storia dell’egemonia politica sul risparmio dei sardi che neanche la Banca d’Italia ha mai illuminato fino in fondo, perché non sa o non può incrociare i dati.
Poniamo il caso dell’imprenditore Pippo che sta costruendo un suo palazzo. La Banca lo finanzia in modo eccessivo, come sempre hanno fatto le banche. Tuttavia, dal 2011, le banche tirano il freno: o Pippo consolida a medio-lungo termine o rientra. Pippo consolida, ma poiché non vende, deve pagare regolarmente un rateo. Ma ecco che le sue locazioni vengono rafforzate da una nuova locazione (un incremento delle locazioni attive per Pippo) prodotto dalla pubblica amministrazione. L’incremento gli consente di pagare agevolmente il rateo, di tenere ferme le rimanenze e fermi, o di poco diminuiti, i prezzi.
Altro caso, questa volta l’imprenditore è Topolino. Topolino costruisce un palazzo, anche lui grazie a generosi finanziamenti bancari. Deve pagare il mutuo. Mette dentro il palazzo un pezzo di Pubblica Amministrazione in affitto e paga il mutuo.
La Regione ha pubblicato il quadro delle proprie locazioni attive e passive (elenco continuamente aggiornato e a suo tempo già pubblicato da Sardiniapost). Queste ultime ammontano, senza considerare gli enti e le agenzie (di cui solo una, Sardegna It, ha pubblicato le proprie locazioni), ma solo considerando l’Amministrazione centrale, a circa 1,5 milioni di euro al netto di imposte e Iva (a cui va aggiunto un altro mezzo milione di Sardegna It, più imposte e Iva). Un altro milione abbondante deriva dagli affitti del Corpo Forestale per le casermette sparse un po’ in tutta la Sardegna. Incrociare questi dati consentirebbe di illuminare quelle che sono delle vere misure improprie di congelamento dei prezzi e del mercato immobiliare, misure che non sono certamente vantaggiose per la società sarda. Purtroppo è un lavoro impossibile da farsi, data l’inaccessibilità pubblica di gran parte delle istruttorie bancarie. Tuttavia, si ha anche l’altra strada: misurare l’incidenza del peso dei singgoli e delle banche sul totale degli affitti e ricavare le posizioni dominanti, verificare se sono visibili alleanze e capire come rompere l’egemonia. Per farlo bene, bisognerebbe farlo per parti e per aree geografiche, in modo da illuminare specifiche signorie locali.
Una terza attività da fare è monitorare come i privati reagiranno alla call per i privati dell’Housing scociale della Società Torre che gestisce in assoluta autonomia, come previsto dalla legge, i 37 milioni di euro del Fondo partecipato da Ras, Cassa depositi e prestiti e Fondazione Banco di Sardegna. L’andamento di quelle risposte misureranno il grado di flessibilità del mercato sardo, la sua capacità di perdere la sua natura parassitaria e oligopolistica e di trasformarsi in una vera area del libero confronto tra domanda e offerta della casa. Nel frattempo, nelle prossime riunioni di Giunta, approveremo la nuova legge sull’Area e la nuova legge sugli appalti. Proviamo ad aprire un’uscita a mare della situazione stagnante della Sardegna.
Leggendo attentamente il tuo intervento emerge che le imprese di costruzione non hanno “leve operativa” e “leva finanziaria” da sfruttare. In compenso, sono bene attrezzate nello sfruttare le leve delle amicizie…
Anche questo è fare impresa? O è una costante del modello imprenditoriale sardo?
Meno male abbiamo qualche esempio che dimostra che non è tutto cosi!
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