Qualche settimana fa don Francesco Mariani ha pubblicato questo bell’articolo sul giornale della diocesi di Nuoro, L’Ortobene. Ho risposto con l’articolo che segue, pubblicato a pagina 4 dello stesso settimanale. In calce riporto la controreplica di don Mariani, che mi invita alla misericordia verso la Chiesa sarda, cioè, in sostanza, mi dice che ho ragione sulla Nazione Sarda ma che dovrei curarmi l’anima. In Catalogna i cattolici hanno fatto grande la Nazione, spero lo facciano anche in Sardegna, votando per la Nazione sarda a dicembre, nonostante il peso delle gerarchie (e d’altra parte, su 11 arcivescovi di Cagliari del Novecento, solo due sono sardi).
Caro direttore,
il tuo ultimo editoriale sul valore politico e culturale dell’identità sarda apre finalmente, anche nell’anemizzato mondo cattolico sardo, una riflessione che accetta il rischio del parlare chiaramente, cioè non con parole tali da poter significare contemporaneamente tutto e il contrario di tutto. È questo invece lo stile general-generico di molti tuoi vescovi, indistinguibili quando parlano di temi politici e sociali dai sindacalisti anni Novanta, incomprensibili quando parlano di Gesù Cristo, di Lui dico, non della dottrina cattolica (ma so bene che per i cattolici le due cose coincidono e invece non coincidono).
E dunque riproviamo, Francesco, a riaccendere il nostro dialogo politico pubblico che dura ormai da trent’anni (perché, in fin dei conti, ti scrivo per l’affetto che da tempo ti porto), animati dalla diversa fede che abbiamo in Lui; io facendo lo sforzo di non farmi fuorviare da sottane, colori, poteri, ignoranze istituzionalizzate, pompe e pigrizie mondane, tu accettando le mie parole dure come forma di difesa della dignità umana contro alcuni (molti) tuoi colleghi che vorrebbero zittirla ricordando sempre e costantemente il peccato, la colpa, la miseria e la debolezza. Come sai, sono contro l’eroismo dei titani, ma anche radicalmente contro il dominio delle coscienze, il dominio dell’uomo sull’uomo fondato sulla paura e sui suoi surrogati, contro i preti ignoranti che oggi rimettono la sottana per sembrare più autorevoli e prepotenti.
Entrambi sappiamo di essere uniti dal saper sempre dire Grazie per tutto.
Tu poni chiaramente il tema dell’identità politica sarda nel quadro del rapporto tra libertà individuale e mondo globalizzato.
Partiamo da qui perché è un punto fondamentale.
Dove sta andando il mondo?
Se io leggo Avvenire, soprattutto nei resoconti dagli esteri, trovo l’unico punto di vista divergente dai luoghi comuni italiani rinvenibili negli altri quotidiani italiani.
Il giornale dei vescovi, ma non i vescovi, sta raccontando di come la globalizzazione dei mercati, la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochissimi, l’alterazione delle catene alimentari operata dalla grande distribuzione organizzata, la società della comunicazione trasformata in società della manipolazione, la deriva autoritaria dei poteri pubblici giustificata dal dovere della concentrazione del potere per governare la complessità, l’assenza di libertà in tre quarti degli stati del mondo, tutto questo sta minacciando seriamente le libertà individuali. Oggi è paradossale che la Chiesa, la più acerrima nemica nell’Ottocento del pensiero liberale sui diritti dei singoli contro il potere dei re e degli stati, sia diventata nel mondo (meno in Italia, in virtù di quella comodità delle curie di cui parlavo prima) l’unico baluardo della difesa della dignità e della libertà umana di fronte al potere. Per questo stanno morendo come mosche, e nel silenzio, non so se imbarazzato o compiaciuto dell’Europa antipapista, i nuovi martiri cristiani, preti, suore e laici che vengono uccisi per la fede e per la difesa del nome più nobile dell’uomo, la sua libertà. Se oggi Garibaldi fosse in vita, non sarebbe il massone rivoluzionario che è stato, ma forse un missionario alla Angelo Pansa.
La questione sarda sta dentro questi avvenimenti.
Oggi avere una identità significa sottrarsi alla manipolazione, avere coscienza della propria responsabilità, dei propri diritti, della legittimità dei propri desideri.
Tu scrivi bene quando ricordi che l’identità non è folklore, non è celebrazione spettacolare del passato, non è prestarsi al turismo del buon selvaggio e esibirsi in spettacoli di rievocazione dell’arcaicità.
Giusto, Francesco, ma chi è che ha folklorizzato l’identità civile dei sardi? Chi ha concesso loro i costumi tradizionali, i canti e i balli, ma mai la facoltà di decidere autonomamente sul proprio futuro?
Chi ha concesso ai sardi di parlare di tutto fuorché di potere?
Rispondo io: l’Italia, col concorso di classi dirigenti sarde che attratte dal miraggio di essere integrate nelle classi dirigenti italiane hanno percorso la strada del successo personale pensando in questo modo di portare al successo anche la Sardegna. Niente di più sbagliato: Cossiga, Segni e quanti altri hanno certamente fatto carriera ma non hanno servito la Sardegna, come constatano tutti coloro che fanno ricerca storica.
Chi è che insegnando a scuola l’inno nazionale Fratelli d’Italia ha impedito a intere generazioni di chiedersi se sia giusto o sbagliato che la Sardegna abbia lo stesso sistema fiscale della Lombardia, se sia giusto o sbagliato che le infrastrutture in Italia siano pagate con le tasse di tutti e in Sardegna con quelle pagate dai sardi (è così dai tempi della costruzione delle ferrovie e continua ad esserlo tutt’oggi)?
Chi ha impedito di chiedersi se sia giusto o sbagliato che i collegamenti da e per la Sardegna siano regolati dall’Italia (un territorio continentale) e non dalla Sardegna (il vero territorio insulare di questa vicenda)?
Mi do la risposta: l’Italia.
L’Italia ha deciso di non notificare mai all’Europa che la Sardegna è un’isola. Ti rendi conto? In questo mondo ingiusto, anche l’evidenza può essere negata pur di impedire che un territorio prossimo all’Italia possa diventare una sorta di zona franca integrale troppo concorrenziale con l’Italia.
Chi ha impedito ogni forma di bilinguismo in Sardegna, con i conseguenti disastri di rendimenti scolastici che io e te ben conosciamo?
Chi ha distrutto la scuola sarda nei paesi dell’interno con la presunta ‘Buona scuola’ e con i celeberrimi dimensionamenti? L’Italia, l’Italia ha distrutto il residuo di efficienza presente nei nostri territori.
E dunque il problema dell’identità è il problema del potere dei sardi di poter decidere su se stessi. Chi decide per noi? Questa è la domanda, e tu hai ragione di sospettare che sia una domanda che fa paura alla maggioranza dei sardi, abituati sempre a chiedere che qualcuno decida per loro.
Ma, mi chiedo, che cosa ha voluto dire il cardinal Becciu (lasciamo ad altra occasione la discussione su che cosa siano i cardinali) quando a Ozieri ha richiamato i politici sardi a difendere in primo luogo gli interessi dei sardi e a ricostruire un forte livello di unità intorno a questi obiettivi? Ha chiamato la politica a riconoscere che esitono interessi nazionali sardi concorrenti con quelli italiani? A me pare di sì, però con i cardinali non si sa mai.
In ogni caso, dopo un richiamo così forte alla responsabilità dei sardi, come fanno i tuoi vescovi a tacere quando il più forte partito di governo italiano, la Lega, manda un duca longobardo in Sardegna a decidere il candidato alla presidenza della Regione?
Non stride l’appello cardinalizio alla responsabilità con l’esplicita iniziativa leghista di subordinazione?
E come la mette la Chiesa sarda con il contrasto tra le parole del Papa sui rapporti tra i popoli del mondo e le esplicite alleanze autoritarie tracciate da Salvini con Orbàn e Putin?
Noi sardi condividiamo il destino delle piccole patrie del mondo che hanno nei regimi autoritari i loro più grandi e temibili nemici.
Da che parte sta la chiesa sarda? Tu mi dirai: “Da nessuna parte”.
E io ti rispondo: “Dio vomiterà i tiepidi”.
La questione sarda è una questione politica. Quando Gramsci chiese a Lussu se i sardi avrebbero potuto opporre al fascismo una loro questione nazionale, Lussu ripose che la Sardegna è una nazione fallita.
Questo grande errore di pensiero politico è stato istituzionalizzato. Noi abbiamo classi dirigenti col fallimento radicato nel cuore.
La tua riflessione è uno stimolo a estirpare una frustrazione e a sostituirla con la responsabilità della domanda: “Chi ha diritto a decidere per noi se non noi?”.
Sicuro di esserti stato inopportuno e fastidioso, ti abbraccio come sempre
Caro Paolo, da anni non condivido i toni e spesso il contenuto del giudizio molto duro che dai sulla Chiesa sarda, sovente facendo un fascio unico delle sue gerarchie. Il famoso convegno di Aritzo sulla Chiesa alla melassa ci trovò dalla stessa parte e riproponi in sostanza le riflessioni di allora. Avevi però più misericordia. Spero che questo tuo intervento serva a suscitare un proficuo confronto con tutti.
Francesco Mariani