di Paolo Maninchedda
Bisogna riconoscere al Pd di avere aperto un dibattito insidioso ma inevitabile.
Il Pd governa con il partito di Alfano che nel suo nome ha plasticamente il Centrodestra.
Il Pd ha varato l’importante riforma sulle unioni civili con i voti determinanti dei parlamentari che stanno con Denis Verdini.
Il Pd governa in diversi comuni della Sardegna con pezzi espliciti o impliciti di centrodestra o si regge da anni grazie al voto di consiglieri eletti nel centrodestra ma che poi hanno garantito la maggioranza alle Giunte di centrodinistra che nel frattempo avevano perso il sostegno di consiglieri comunali di sinistra.
Il segretario del Pd offre ai propri elettori un orizzonte ideologico che non è quello di rifondare la sinistra storica dell’Italia che fu, ma quello di fondare il Partito della Nazione. Renzi dichiara di non avere come interlocutore la ‘classe’ ma l’interesse dello Stato.
Questi presupposti avrebbero dovuto raccomandare una discussione più prudente rispetto ai perimetri delle alleanze verso le amministrative in Sardegna, al punto che Silvio Lai e Giampiero Scanu hanno raccomandato duttilità nella costruzione delle alleanze e hanno riportato la titolarità della composizione delle alleanze in capo ai candidati sindaci.
Luciano Uras si è inserito in questa discussione con una posizione da un lato più aperta rispetto a quella di altri esponenti politici, dall’altro più chiusa giacché ha usato la parola ‘impresentabili’.
Non so che cosa avesse in testa Luciano e pertanto non faccio la glossa alle sue parole.
Noto però un dato preoccupante: generalmente quando si fa dello schieramento il contenuto della propria offerta di governo significa che manca qualcosa proprio alla proposta; vuol dire che si è a corto di idee da proporre agli elettori, al punto da fare l’appello ai soli militanti. Noi chiediamo a chi si candida con noi di impegnarsi d’ora in poi per l’indipendenza della Sardegna. Poco o molto che sia, è il nostro criterio.
Ma la cosa peggiore è quando si scende sul personale. Chi è impresentabile?
Noi del Partito dei Sardi abbiamo un codice etico molto severo. In America si guarda tutto, dalla vita pubblica a quella privata, dalla dichiarazioni alla stampa alle abitudini private. Lì non avere pagato le tasse è motivo di esclusione quanto aver tradito la propria moglie o il proprio marito. Non avere un lavoro è motivo di sospetto; se si è fumato uno spinello in gioventù si viene scaraventati in prima pagina. Lì si sfidano gli avversari a fare l’analisi dei capelli per verificare le proprie abitudini. Questa è la ferocia dell’uso strumentale del moralismo. La morale è un percorso interiore, non uno strumento di lotta ad personam.
Gli impresentabili sono i condannati? E allora dopo la dichiarazione di Renzi alla scuola di politica del Pd che sancisce una questione di civiltà (e cioè che si è innocenti fino alla sentenza di terzo grado), qui in Sardegna, dove siamo stati molto più severi, a quale livello ci attestiamo? Gli impresentabili sono coloro che conducono una vita impresentabile perché si drogano, fanno una vita randagia ecc. ecc.? E chi accerta la qualità della loro vita? Chi si erge a loro giudice? Gli impresentabili sono coloro che hanno militato dall’altra parte? E allora perché chi a Olbia non vorrebbe votare Nizzi dovrebbe votare il candidato del Centrosinistra che dovrebbe dichiarare che non li vuole? O si vuol dire che si vogliono gli elettori ma non i leader d’ambiente che li organizzano?
Questi sono i paradossi del voler partire dalle esclusioni puttosto che dai programmi. Prima le idee, prima gli obiettivi, poi le inclusioni piuttosto che le esclusioni, e queste ultime sono da stabilire sul programma. Faccio un esempio: se un candidato dichiara di non contemplare nel proprio orizzonte neanche il processo dialettico e democratico verso l’indipendenza, noi indipendentisti non potremmo averci a che fare. Ma su questi temi è anche bello contrapporsi, perché sono i temi della politica, non della ferocia.