Premessa Ho seguito nei giorni scorsi la protesta del Comitato per l’ospedale Paolo Merlo, nonché le rimostranze del sindaco de La Maddalena, per l’ennesima riduzione dei medici di Pronto Soccorso all’Ospedale dell’isola.
Ho atteso di vedere quale attenzione i media potessero riservare alla questione. Pochina, quasi nessuna.
Tuttavia sono certo che nei giorni scorsi molti consiglieri regionali avranno chiamato il sindaco per solidarietà, come per liberarsi la coscienza e, soprattutto, per mantenere, nella tempesta, un contatto istituzionale e, sommessamente, elettorale, di cui il sindaco si sarà sentito onorato.
Il Comitato afferma nel suo documento che tutte le forze politiche si sono sempre comportate in modo infingardo con la questione “ospedale”. Non è vero.
Certamente può dirlo dei partiti del Centrosinistra italiano e di quelli del Centrodestra italiano e sardo che i maddalenini hanno votato massicciamente nelle ultime elezioni (58%). Ma non di tutti i partiti, perché nella scorsa legislatura e durante le elezioni vi fu chi fece proposte e difese politiche diverse da quelle che oggi colpiscono gli interessi dell’isola. Ma La Maddalena, come le tante periferie della Sardegna (Bosa, Ozieri, Tempio, Ghilarza ecc. ecc.), ammaliata dalle sirene dei partitoni italiani e dalla rete di relazioni di quelli della destra sarda, probabilmente manco si è accorta dell’esistenza di proposte alternative che potevano seriamente avvantaggiarla e adesso paga un prezzo salatissimo per il suo conformismo politico, senza riuscire neanche a trovare la forza per indurre coloro cui ha garantito la vittoria a rispettare gli impegni, ormai fasulli, della campagna elettorale.
L’ideologia urbana Dai tempi della Dirindin è in atto in Sardegna quella che possiamo chiamare l’urbanizzazione della sanità. Lo schema è il seguente.
Si parte dagli ospedali e non dal territorio, e nonostante questo sia illogico in una regione che ha più o meno metà della popolazione residente in città e l’altra metà in poco più di trecento paesi, sia la Destra che la Sinistra italiane non si schiodano da questa impostazione, il cui modello è metropolitano italiano ma non è per niente adatto alla Sardegna.
Il secondo passo è assumere gli accessi agli ospedali come parametri di efficienza ed è evidente che un certo numero di accessi è possibile solo in area urbana.
Il passo successivo è dichiarare inefficienti e pericolosi gli ospedali periferici e quindi chiuderli.
Poiché però non si dispone di una seria politica sanitaria territoriale, di fatto si abbandonano le periferie al loro destino, e si crea un mascheramento del tradimento, si inventa cioè che le connessioni (trasporti e reti) sono così efficienti tra città e periferia da consentire che la città si faccia carico anche della periferia. Falso, ma ben venduto. Ovviamente accade che sempre più medici vogliano andare negli ospedali urbani (dove c’è futuro) piuttosto che negli ospedali periferici.
Da questi diaboliche strategie non ci si difende da soli, cioè una periferia alla volta in occasione delle minacciate chiusure. Ci si difende insieme e dotandosi di un pensiero sulla Sardegna, non chiedendo il favore a Tizio o a Caio quando si è sotto attacco. Ma le perifierie sono egoistiche, solo localistiche, non pensano a fare rete, non pensano di far parte di una nazione che ha degli interessi, dei diritti. E la città trionfa, non per malevolenza, ma per assenza.
I fatti maddalenini La Maddalena è sicuramente zona disagiata, per la distanza che la separa da Olbia e per il tratto di mare che la difende, la caratterizza ma anche la isola.
Le zone disagiate devono avere un Pronto Soccorso per legge.
E invece, durante la pandemia, è accaduto che il Pronto Soccorso è stato declassato a Primo intervento. Provo a spiegare la differenza.
Il Pronto Soccorso è un reparto che dipende da un Dipartimento di Emergenza e Urgenza (in questo caso quello di Olbia). È costituito da medici specializzati in emergenza e urgenza. Si occupa di tutti i codici: dal bianco al rosso. Il Pronto Soccorso è H24 e richiede almeno 6 medici in organico, come tutti i reparti H24.
Il Primo intervento dipende invece dal 118, è un servizio e non un reparto, può reclutare personale non specializzato in emergenza urgenza, può trattare solo codici dal bianco al verde, non è un servizio H24.
Quindi da tempo a La Maddalena è vietato portare in ospedale gli infartuati che invece devono andare a Olbia. In ospedale solo le slogature, le bruciacchiature ecc. Si è liberi di morire, a Maddalena, come a Tempio, a Bosa, a Ozieri; ma è vietato ammalarsi gravemente e d’improvviso.
Ora i maddalenini si sono svegliati, ed è un fatto positivo, ma non hanno uno straccio di strategia se non quella di protestare e di chiedere la grazia.
Serve ben altro; serve pensiero, mobilitazione, impegno, serve un dissenso civile e civico che attivi anche le altre periferie, che collochi l’intera popolazione contro il governo regionale, che faccia sentire il peso dei numeri ai consiglieri regionali, che organizzi le azioni legali dei pazienti abbandonati.
Serve pensare come Ghandi non pensare di chiamare Quirico Sanna o Giagoni o Biancareddu.
I medici di città Poi c’è il problema dei medici e della loro concentrazione urbana. I maddalenini lamentano la carenza di anestesisti. Il problema viene certo da lontano (da una politica scellerata dell’Italia che per un lungo periodo ha laureato solo 10.000 medici all’anno e ne ha specializzato 6.000, provocando la crisi attuale di medici e di specialisti oltre che rovinando le tasche delle famiglie costrette a mandare all’estero i figli per studiare medicina), ma vi è anche un problema politico: i medici sono stati concentrati, soprattutto sotto la gestione Ats di Steri (ma non solo) a Cagliari e a Sassari e questo è accaduto perché gli attuali consiglieri regionali delle periferie non servono a nulla quanto a capacità di comprendere complessivamente la Sardegna e di intendere e difendere gli interessi dei loro concittadini. La dialettica città e campagna in Consiglio regionale ha prodotto dibattiti e scontri di altissimo livello negli anni passati; oggi non è interpretabile dal bassissimo livello culturale instauratosi.
Speriamo che le periferie reagiscano.
Speriamo, ma non c’è futuro per le periferie sarde senza un pensiero ‘nazionale’ sardo.
Se si continua a votare a seconda della popolarità televisiva dei leader anziché consapevoli dei propri interessi, allora non c’è speranza.
Se a La Maddalena è vietato ammalarsi, allora nei paesi dell’interno, dove non c’è il mare che isola da un lato e che arricchisce dall’altro grazie a madre natura, dove ad isolare sone le intollerabili distanze stradali dagli ospedali, da una semplice guardia medica o da un semplice medico di famiglia, la soluzione è direttamente l’eutanasia.
In più, se ti ammali, ma non sei da ricovero, e hai i soldi, non fa differenza andare a Cagliari o a Milano per visite ed eventuali cure.
Invece, se sei uno dei tanti sardi che dignitosamente tirano la cinghia fino a fine mese, ammalarsi è un lusso che non ti puoi permettere. Soluzione: di nuovo l’eutanasia!
Si possono scrivere milioni di righe, ma con l’esclusione di poche menti sensibili, gli unici che possono capire il disastro sanitario in corso sono i malati e i loro parenti, che giorno dopo giorno sperimentano l’odiosa impotenza, non tanto verso la malattia, ma piuttosto nei confronti di un sistema sanitario che non assicura da tempo il diritto costituzionale dei cittadini ad essere assistiti e curati.
Credo che oggi in Sardegna sia vietato ammalarsi anche a Cagliari o a Sassari, perché non tutti possono affrontare di petto le malattie rivolgendosi alla sanità privata che “miracolosamente” non ti fa aspettare per visitarti, per darti la diagnosi e suggerirti le cure.
Ogni legislatura realizza la sua “riforma” sanitaria, che sostituisce poltrone, o ne realizza di nuove, e che ogni volta riesce puntualmente ad aumentare la distanza tra l’ammalato e il medico.
Dunque quale partito o movimento o lista civica bisognerebbe votare? Bisognerebbe disertare le votazioni, precludendoci con ciò di manifestare le proprie idee ed esercitare un diritto?
A nàrrere custa chistione in manera prus séria e paghiosa de goi si morit!
E custu difatis za est, ca no la narant, no ndhe narant, e sos resurtados za los bident (totu cudhos chi tenent de… mòrrere o de si arranzare a sant’arranza!).
Ca sos chi tenent de bínchere… su chi contat est a bínchere! Dopo si vedrà. Ma sas gherras si faghent pro las bínchere, chentza mancu fàghere su contu, che a Benito bonànima, de cantos mortos lis bastat pro si sere al tavolo. Ai tavoli. O a tavola. Fossis sunt meda de bonugoro e lis bastat chi morzat sa Sardigna ebbia.
Za est abberu chi b’at ‘politici’ e ‘politici’ (e basi e chircàdelis sa diferéntzia, si no l’agatades a s’ischeda eletorale!) Ca una cosa los “unifica” totugantos: VINCERE e VINCEREMO, de colore niedhu, biancu, birde, ruju e fintzas in colore de cani fuendi, trainati dal locomotore vincente, totu tricolore, chi est cussu unificatore che a s’iscallatóriu chi iscazat totu che imbolant (fintzas sos cherbedhos, sa cusséntzia, sa dignidade e no pagas capatzidades) e iscazat a totugantos.
Si carchi borta bi ndh’at chi si ndhe ischidat… iscusade, no: si carchi borta calicunu o prus de unu abberit un’ogru (s’àteru nono: lu lassant pasare serradu, lu sunt risparmiendhe a s’ocasione bona), si carchi borta abberint un’ogru a bídere s’istampa suta de sas nàdiga ifundhíndhelis chentza si nhe pissiare sas mudandhas inue sunt sétidos ma mai sa barchita afunghendhe (a bídere custu est tropu ca lis guastat su tricolore) faghent una lampada, una fotografia, batallant unu pagu (a batallai za est cosa chi faghent sos bios) e… addeadhu, za sunt bios! Miracolo! Miracolo! Ci sono! Evviva!
E, si no ispetant chi una bomba atómica (cussa ca faghet tzocu mannu) che lis falet a conca pro si fàghere carchi dimandha, totu su prus, candho no ndhe podent prus, faghent acucadas de sa zenia “Arrogu totu!”, che a sa ‘rivoluzione’ chi su 2019 fint faghindhe medas pastores fuliendhe su late totue a rios isperendhe su miràculu salvinista de cudhu acudidu a… VINCERE! Ca sa politica, s’amministratzione, su guvernu, est cosa de acucadas candho, de oe a cras nos iscópiat su fele de s’arrennegu. Ma guai a istudiare e fàghere coment’e cosa de sa vida!
Dopo vinto si vedrà. Intanto abbiamo vinto e cussu est su chi contat!
Proite? Bi podet àere àteru puru chi depet contare?
Pro una política miseràbbile, chi abbàidat a unu prammu atesu dae su bicu de su nasu personale, chi no resessimus o no cherimus cambiare mancu pagu pagu, ite àteru b’at chi contat carchi cosa de prus die cun die?
Sono Dirigente Medico al Pronto Soccorso di La Maddalena da 19 anni e vorrei precisare che nonostante il declassamento a Punto di Primo Intervento noi continuiamo ad assistere i pazienti in codice giallo e rosso poiché trovandoci su un’isola e avendo delle ambulanze del 118 con a bordo volontari laici senza Medico né Infermiere i pazienti necessariamente vengono portati inel nostro Pronto Soccorso dove non abbiamo né Anestesista né Cardiologo .e/o altro specialista.
Il tutto nel totale disinteresse di chi ha la responsabilità di decidere.