Il 19 Novembre, per decisione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, si è ricordato che un terzo della popolazione del pianeta non può usufruire di un adeguato semplice servizio igienico e che una persona su otto – in questa terra – è costretta letteralmente a “cagare fuori”, all’aperto.
Insomma, su 7 miliardi e mezzo di persone, 2,5 sono escluse talmente tanto da non avere l’accesso”, non dico possederne uno, ad un “gabinetto”.
Non possono usufruire di una “latrina”.
Non hanno un secchio di calce viva da usare come disinfettante.
Eppure avere servizi igienici disponibili è considerato un diritto del quale nessuno può essere privato.
Purtroppo i numeri sono veramente impietosi e ci dicono il contrario.
Due miliardi e mezzo tra bambini, donne e uomini, in ragione di dove nascono e dove crescono, non sono uguali agli altri in modo così intollerabile da essere privati anche di un minimo sistema igienico.
Da questo fatto si può percepire quale sia la condizione di vita alla quale sono sottoposte queste “persone”, lo scarso livello di nutrizione, anche infantile, la violenza delle malattie che si sviluppano e si diffondono, la debolezza di quelle esistenze davanti ad ogni abuso, davanti ad ogni crudeltà.
L’ONU – un’istituzione internazionale sorta per costruire la pace, ridurre le ragioni vere dei conflitti, battersi contro i grandi problemi planetari, a cominciare dalle profonde diseguaglianze – purtroppo è sempre più in contraddizione con se stessa, limitata spesso ad una centrale di tentativi di sensibilizzazione sui temi, che pure straordinariamente urgenti per qualità e dimensione non sono conosciuti, e quando lo sono, in via generale, difficilmente risultano percepiti nella loro preoccupante evoluzione.
Eppure l’ONU – della quale ci sarebbe veramente bisogno, oggi più che da sempre, a tutela dei diritti umani, a partire dal riconoscimento delle identità di popolo e di comunità – avverte nello specifico che l’accesso ai servizi di base e all’acqua pulita non solo sono un diritto, sono un grande investimento produttivo verso lo sviluppo eco-sostenibile.
Ci ricorda anche che la diarrea – dovuta a epidemie da situazioni igieniche a rischio – è la seconda causa di morte per i bambini sotto i 5 anni.
Pericolosissime malattie come colera, dissenteria, vermin, tracoma, pneumonia e malnutrizione, solo per nominarne alcune, possono essere eliminate grazie ai servizi igienici adeguati. E ci ricorda che un dollaro investito per migliorare le condizioni igieniche restituisce 5 volte tanto in termini di sanità e infrastrutture.
L’acqua che manca, il cibo che non c’è, lo stato di degrado non colpiscono solo aree geografiche lontane dalla civiltà industriale, sono anche interne a molte megalopoli moderne, gomito a gomito con il benessere borghese delle nazioni occidentali sviluppate. Accanto al lusso sfrenato la povertà senza respiro.
Mi chiedo quanto sia sopportabile una diseguaglianza così catastrofica, frutto di processi accumulativi infiniti e progressivamente accelerati. Se a 2,5 miliardi esseri umani non è consentito neppure un servizio igienico appena adeguato, come è possibile capire, e nel tempo ingoiare, l’amara verità che vede 26 individui possedere la stessa ricchezza di metà della popolazione mondiale? La diseguaglianza ha assunto un’ampiezza tale da essere, con la crisi ambientale planetaria, un rischio quasi risolutivo.
È la ragione esplicita di «Laudato si’», l’enciclica di Papa Francesco, che connette il tema dell’ecologia alla necessaria equità verso i poveri, e all’impegno nella società che restituisce alla “politica” la forza della responsabilità della quale, per il bene di tutti, non può essere espropriata.
S’ONU (chentza aferesi de b-, pro èssere BONU) sta a guardare, vede ma non tocca (ca, segundhu ite, CHI TOCCA I FILI MUORE!)
A realizare unu mínimu de cunditziones igiénicas assolutamente netzessàrias a duos miliardos e mesu de cristianos no est “lavoro” de fàghere a bulldozer pro ammuntonare milliones in sempre prus pagas manos (chi a sa fine si l’ant a brusiare in palas totu cussos dinaris), in custu mundhu in parte afoghendhe in su tropu e in parte morindhe a finigonis, cun d-una ‘economia’ assurda, de gherra, de isperdítziu de benes e fintzas de su mundhu fatu a muntonarzu.
NO, no est sa líbbera initziativa e nemmancu su profitu su de pònnere in discussione: est sa ‘libbertade’ infame, invasiva, invasora, de si fàghere meres de totu a costu de bochire o lassare mòrrere chentza nudha una parte de s’umanidade. Custa est no est una ‘economia’ de homo sapiens sapiens, ma de homo demens, de homo homini lupus, de leones e isciacallos “istitutzionales” abbramidos che irbariados.
Tocat chi s’ONU càmbiet funtzione e fortza de GUVERNU e currindhe puru pro chi sa vida e sa libbertade, ne de síngulos e ne de impresa de calesisiat zenia e istados no siat sa morte programmada, prozetata, pro síngulos e fintzas pópulos. Custa ‘economia’ est assurda e infame, no si podet e no si depet baliare!