C’è una frase de I Viceré di Federico De Roberto che spiega l’Italia di ieri e di oggi: «Ora che l’Italia è fatta, dobbiamo fare gli affari nostri». Ecco, i Sardi devono diventare sempre più consapevoli che i fatti loro non sono i fatti nostri, cioè che i nostri interessi nazionali sono spesso in contrasto con quelli italiani. È una coscienza difficile da acquisire dopo anni di educazione a pensare che i nostri interessi sono quelli dell’Italia fino a scegliere di morire sulle frontiere dell’Italia, ma con calma e determinazione si può acquisire una coscienza nazionale più profonda e consapevole.
Oggi segnalo ai neoeletti deputati e senatori, ma spero che l’informazione arrivi anche alle vette con aria rarefatta, fitrata e depurata di Villa Devoto – che recentemente ha definito amico della Sardegna l’attuale ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio – il danno grave subito dai Sardi per le follie normative e burocratiche dell’Italia.
Mi riferisco alla perdita delle prenotazioni sul Trenino verde nelle tratte di Macomer-Bosa e Mandas-Sorgono e al rischio incombente sulle prenotazioni e sulla stagione turistica del 2018 che inizia ora, subito dopo Pasqua.
Che cosa sta succedendo?
Lo ha spiegato benissimo in una nota l’amministratore Unico dell’Arst Chicco Porcu.
Scrive Porcu:
«Come sapete l’attività del Trenino Verde è ancora bloccato dagli effetti della legge 128 dello scorso agosto 2017, che ha istituito le linee ferroviarie turistiche».
Quindi, prima notizia: il Trenino verde è bloccato da una legge fatta dal precedente Parlamento, una legge piena di buone intenzioni e, all’italiana, gravida di pessime conseguenze.
“L’impulso alla promulgazione di questa legge – che ha avuto un lungo iter approvativo – è stato alimentato dall’interesse nei confronti di queste ferrovie da parte di diverse associazioni che operano nel campo del turismo ferroviario e che hanno inteso così promuovere una norma di legge di settore in grado di salvare dal definitivo abbandono e smantellamento la gran parte delle ferrovie riportate nella legge”.
Per ragioni che non sono state ancora rappresentate, l’esercizio di queste infrastrutture ferroviarie di grande pregio storico e turistico, è stato riservato alle sole imprese ferroviarie ai sensi del decreto legislativo 15 luglio 2015 n° 112 (relativo alle sole ferrovie interconnesse)”.
Seconda notizia: l’Italia si considera uguale dappertutto e si fa i fatti propri. Non sa di chi siano le ferrovie, immagina che siano tutte dello Stato (mentre in Sardegna e in Calabria non lo sono), fa le leggi senza conoscere la realtà e le fa spesso con i piedi.
Da ciò è scaturita la paradossale conseguenza che nelle uniche ferrovie di proprietà regionale – non dismesse né sospese, già definite “turistiche” da una legge della Regione Sardegna e continuativamente in esercizio da oltre un secolo (!) e da circa 20 anni con programmazione esclusivamente turistiche – non possa più esercitare l’operatore storico in quanto privo della specifica licenza ferroviaria prevista dalla nuova norma.
A questo punto è partita la normale attività dell’assessorato dei Trasporti e dell’Arst per spiegare a Roma i suoi errori, con nessun risultato. Non solo, l’Arst capisce che occorre intervenire sul Ministero delle Infrastrutture e, a modo suo, chiama alla mobilitazione, chiedendo a chi ritiene di poterlo fare, di intervenire per ‘sensibilizzare’ il ministero:
“Ci siamo attivati insieme all’Assessorato dei Trasporti, per correggere l’evidente errore. Sembra che il rimedio possa essere una interpretazione estensiva delle aziende abilitate. Inutile dire che, su questa tema, ogni azione di sensibilizzazione verso il MIT è benvenuta”.
Quindi ci troviamo di fronte a un pezzo di Regione che si accorge di non essere sostenuta né da tutta la Regione né dai parlamentari sardi (gli stessi che si sono bevuti senza battere ciglio la mostro-fusione Anas-Ferrovie) né da alcun altro e che dunque si barcamena a cercare alleati. Serve un’ulteriore dimostrazione di come la nostra mancanza di coscienza nazionale unitaria ci indebolisca?
Ma non è finita. Continua Porcu:
«La legge ha, inoltre, messo la ferrovia turistica sotto vigilanza di ANSF a cui spetta il compito di definire le regole per il l’esercizio in sicurezza. ANSF ha prescritto una serie di obblighi (tipo automazione di tutti i PL) di fatto impossibili da rispettare senza investimenti ingenti. Lo scorso mese di gennaio abbiamo scritto ad ANSF proponendo una serie di misure mitigative equivalenti, ma non abbiamo ancora avuto risposta. Nelle ultime interlocuzioni ci è stato anticipato che le nostre proposte mitigative alternative dovrebbero essere essenzialmente accolte, ma al momento siamo ancora fermi».
Nel frattempo che il MInistero se la prende con tutta calma, noi Sardi perdiamo soldi e flussi turistici, mentre ciò che dovremmo perdere è la pessima abitudine di mendicare attenzione per incapacità di rappresentare dirittti. I diritti della Sardegna li rappresenta il Presidente della Regione, il quale non ha né amici né nemici, ha controparti e deve attivarle all’occorrenza.
Il caso del Trenino verde fa il paio con i casi dei rapporti con l’Anas, rispetto ai quali i fatti stanno progressivamente dimostrando che senza un forte scontro istituzionale non è possibile difendere gli interessi nazionali dei Sardi. Non si può affidare il completamento della Sassari-OLbia, il completamento della SS 195, la realizzazione della Olbia – San Giovanni (200 milioni di euro congelati per non dire intonsi) alla normale attività degli organi di controllo o alla capacità e dedizione di un singolo assessore. Serve un tavolo istituzionale, serve un Presidente della Regione che ponga i problemi della Sardegna di fronte al Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana se non di fronte al Presidente della Repubblica (che invece si è accettato di accogliere ossequiosi per una banale inaugurazione). Loro, gli italiani standard, sono educati secondo i valori dei Viceré, sono cioè portati a pensare che i fatti loro siano i fatti di tutti; noi Sardi dobbiamo ancora acquisire la coscienza dei fatti nostri. Questa sporporzione di coscienza e di difesa degli interessi tra noi e l’Italia ci sta danneggiando da secoli. L’unica nota positiva è rilevare che anche in settori della cultura e della politica sarda, prima refrattari a riflettere a partire dagli interessi dei Sardi, sta progressivamente montando una coscienza politica che sfocia almeno in una visione federalistica (penso ai Riformatori e all’ultima intervista di Paci) che è nettamente più avanzata dell’ossessione a ripetere l’autonomismo conosciuto che invece si rileva ad altre latitudini.