Ieri non si sono contate le telefonate allarmate per la situazione in Italia.
Provo a consigliare un’impostazione culturale e politica per stare con la nostra visione ideale dentro la crisi della politica e delle istituzioni italiane di queste ore.
Prima di tutto occorre maturare una distanza realistica rispetto alla crisi in atto. Dobbiamo guardarla come la crisi della formazione del governo italiano, cioè come un processo che ci riguarda come sardi ma che è esterno non interno né interiore. Fare questo significa evitare coinvolgimenti emotivi, correre come spesso hanno fatto i sardi a soccorrere i vincitori o i vinti delle grandi partite italiane senza un’adeguata freddezza e lucidità di pensiero. Tutti i protagonisti della crisi in atto considerano e hanno considerato marginale, accessoria e ininfluente la Sardegna. Lo abbiamo detto durante la campagna elettorale e lo ripetiamo adesso: né nei programmi, né nelle schede elaborate per la formazione del Governo, i grandi interessi dei sardi hanno trovato spazio nelle carte dei partiti italiani, semplicemente perché l’Italia non è in grado in questo momento di soddisfare le soluzioni che questi problemi richiedono.
L’Italia è forse in grado di reggere un sistema fiscale sardo distinto da quello italiano? No, una piattaforma fiscale più giusta per i sardi richiederebbe, come ha detto Di Maio in campagna elettorale, di favorire la delocalizzazione delle imprese e l’Italia non potrebbe permetterselo.
L’Italia può forse permettersi che la Sardegna abbia propri hub aeroportuali in grado di connettere tutte le destinazioni possibili? No, perché Olbia e Cagliari sono troppo concorrenziali, come posizione geografica, con Roma e Milano.
L’Italia può permettersi un regime tariffario, ossia il costo dell’energia, dell’acqua, dei consumi elettrici, del ciclo dei rifiuti, delle imposte locali, diverso e più efficiente rispetto a quello italiano? No, perché un sistema tariffario più efficiente di quello italiano a un tiro di schioppo dall’Italia produrrebbe lo stesso effetto di svuotamento di cui ho detto per il regime fiscale.
L’Italia può permettersi di restituire alla Sardegna il miliardo e 400 milioni che deve alla Sardegna per il furto con destrezza degli accantonamenti? L’Italia è in grado di lasciare qui il miliardo circa di accise sugli idrocarburi che invece vanno prevalentemente in Veneto quando i prodotti della Saras escono dai depositi fiscali e entrano in quelli commerciali? No, l’Italia non può permettersi di onorare questi debiti, perché ha un debito pubblico di 2300 miliardi di lire e e perché il flusso delle accise è una forma di trasferimento di ricchezza molto funzionale alle regioni forti.
Porre all’Italia complessivamente la questione sarda, cioè far affermare la questione nazionale sarda, significa iscrivere problemi strutturali di cambiamento degli assetti dello Stato italiano. Il punto su cui forze progressiste, moderate e indipendentiste si stanno incontrando in questi mesi, vuoi col tema dell’insularità, vuoi sulla nostra proposta di convergenza nazionale, vuoi sulla confederazione politica proposta da Luciano Uras, è proprio questo: cambiare il sistema dei poteri e dei diritti, il sistema di regolazione degli interessi, il sistema dei tributi che oggi disciplinano il modo di stare della Sardegna dentro l’Italia.
Tutto questo comporta che la Sardegna stia unita di fronte alla crisi dell’Italia, questo è il primo obiettivo. Guai a schierarsi acriticamente per questo o quel contendente della disputa italiana: si ripeterebbe il solito errore dei sardi che muoiono sulle frontiere delle guerre italiane e non ne ricavano alcun vantaggio.
Dinanzi alle crisi italiane i Sardi devono stare uniti. Purtroppo non è un contegno diffuso, al contrario ieri sera già si vedevano e sentivano i sardi prendere cappello per l’uno o per l’altro non in virtù di un ragionamento, ma per una sorta di inerzia psicologica e di riflesso pavloviano a reagire su interessi non propri.
Proviamo dunque a educare alla tenuta psicologica della coscienza dei nostri interessi.
Fatta questa premessa, allora ci si può porre la domanda: ma quale è la posizione per i sardi più favorevole tra quelle in campo in Italia?
L’Italia sta arrivando a celebrare le elezioni politiche sul tema dell’integrazione europea.
L’Italia sta andando al voto come la Gran Bretagna è andata al voto sulla Brexit. E c’è da credere che siccome l’Italia è diventata una nazione di persone di mezza età, nostalgica del tempo in cui si finanziava il debito pubblico stampando moneta e svalutando la moneta per aumentare le esportazioni, l’Italia voterà dalla Toscana in giù per uscire dall’Europa.
L’uscita dall’Europa o soluzioni attenuate ma sostanzialmente allineate a questo obiettivo sarebbe devastante per i milioni di risparmiatori italiani e sardi, ma spiegarlo è troppo difficile. Il livello medio di istruzione degli italiani è paurosamente precipitato e i giornali, televisioni e social hanno ormai educato alla battuta e non al ragionamento, per cui l’europeismo appare come un imbroglio di chi sta bene che deve essere smontato. Insomma, un referendum di fatto sull’Europa vedrebbe brutalmente perdente la posizione più virtuosa. Subito dopo le elezioni, però, il parlamento e il governo italiani farebbero esattamnete come sta facendo il governo inglese sulla brexit: sterilizzerebbero gli effetti dell’antieuropeismo e inizierebbero un negoziato per rimanere dentro l’integrazione europea. Sapendo questo, i sardi dovrebbero partecipare da sardi uniti alla competizione elettorale in modo da avere una forza parlamentare utile da usare nel quadro difficile che si verrebbe a creare subito dopo le elezioni. Torno a dire che se la Sardegna eleggesse in un unico partito sardo 25 parlamentari, gli interessi sardi avrebbero un peso incredibile.
L’Italia sta rivivendo un suo vecchio incubo. Mattarella ha applicato pienamente per la prima volta nella storia repubblicana italiana i poteri che la Costituzione riconosce al Presidente della Repubblica. Il ragionamento di Mattarella è profondo, ma è sofisticato per i tempi in cui viviamo, difficile non tanto da spiegare ma proprio da capire per le modalità semplificate che il dibattito politico italiano ha ormai tragicamente assunto.
Per la stragrande maggioranza degli italiani chi vince le elezioni ha diritto di fare un po’ ciò che vuole e Mattarella dovrebbe solo ratificare le proposte che chi vince gli sottopone. Mattarella sarebbe in questo quadro un banale notaio, non un garante della Costituzione. Invece la Costituzione fa del Presidente della Repubblica italiana ciò che prima lo Statuto faceva del re e lo pone in questa posizione di forza (è anche il capo delle forze armate) proprio per impedire il ripetersi dell’egemonia fascista che una volta insediatisi proprio anche per la debolezza del re, svuotò completamente di sostanza lo stato liberale e insediò la dittatura. Il re recuperò ruolo solo nel settembre del 1943, ma troppo tardi e gli italiani cacciarono (per fortuna) i Savoia.
Mattarella conosce benissimo questa storia e personalmente sono sicuro che ha pensato al ruolo di Vittorio Emanuele III nell’affermarsi del fascismo.
Nella Costituzione italiana sta scritto che chi vince non rappresenta l’unità della Nazione, la quale è invece rappresentata proprio dal Presidente della Repubblica. Quindi Mattarella si sente interprete e garante degli interessi nazionali degli italiani.
Mattarella sa che lui non ha il potere di indirizzo politico che spetta a chi vince le elezioni, ma sa anche di avere il potere di nomina dei ministri, cioè di valutazione della coerenza del profilo di governo proposto
con gli interessi nazionali italiani. Mattarella ha visto nella proposta non negoziabile di Salvini su Savona una zeppa alla sopravvivenza dell’Italia. Che poi le cose stessero realmente così (Savona è stato un fervente cossighiano dopo essere stato un fervente lamalfiano, lo vedo più a fare l’eversivo nei salotti piuttosto che a farlo realmente nel campo di battaglia politico) è difficile da dirsi; certo è che i mercati internazionali credono davvero che chi dice certe cose poi le faccia e se si sente minacciato, come Mattarella ha pensato che sarebbe avvenuto se avesse nominato Savona, inevitabilmente si difende per annullare il pericolo, cioè vende i titoli italiani e e si allontana dal rischio Italia.
Oggi l’Italia sta in piedi grazie al quantitative easing di Draghi, cioè grazie all’acquisto di titoli di stato italiani da parte della Bce. Senza questa flebo trimestrale l’Italia precipiterebbe in una crisi mortale.
Salvini e Di Maio non avvertono il loro programma come minaccioso per gli interessi italiani e comunque lo ritengono legittimo perché votato (in realtà non lo è stato e sono stati votati due programmi diversi e per certi versi opposti). Salvini e Di Maio ritengono abusivo l’esercizio del potere di Mattarella (ma Salvini non intende percorrere il sentiero pericolosissimo dell’impeachment), cioè ritengono la forza dell’indirizzo elettorale superiore ai vincoli costituzionali. Le loro ragioni sono più facili da capire di quelle di Mattarella, ma presuppongono un’Italia ricca e virtuosa che non esiste, mentre esiste l’Italia debolissima e aggredibile dagli speculatori che tutti conosciamo.
Come si vede, l’Italia sta di fronte al sistema strutturale dei suoi poteri. Tutto ciò che è stato rinviato dopo il dopoguerra, è potentemente ritornato alla ribalta. Entrano in gioco i valori e su questo i sardi non si stanno confrontando da tempo. Il confronto politico è spesso sui poteri, ma non sui valori, perché il confine dei valori rimescolerebbe molto il sistema politico sardo. Basti vedere in queste ore la prossimità di posizioni tra il mondo progressista che votava Pd e quello moderato che vota Forza Italia. Ecco, la discussione sui valori va sviscerata ed è ineludibile. Se questi giorni riusciranno a riportare in auge la discussione sui valori, il sistema politico sardo ne guadagnerà in coscienza di sé.
Quindi, calma, impegno, maturità, unità.