C’è una vicenda tutta sarda, che non ha ancora trovato soluzione e che mostra quanto sia perverso il rapporto in Italia tra il potere e la cultura. Si tratta dei tirocinanti giudiziari.
Detto in soldoni, si tratta di un centinaio di persone che nel 2019, rispondendo a un bando dell’Aspal, e a seguito di un accordo tra la Giunta Pigliaru e il ministero della Giustizia, fecero un tirocinio di sei mesi rinnovabili nei Palazzi di Giustizia sardi, svolgendo funzioni amministrative.
Puntualmente, sono stati poi banditi concorsi per operatori giudiziari e per cancellieri. Punteggio attribuito per il tirocinio svolto? 21 punti per tirocini per attività diverse da quelle per il profilo messo a concorso, 9 per quello congruente, come nel caso sardo. La Regione Sarda finanzia i tirocini che lo Stato disprezza. E adesso non si dica che io sono eversivo; semplicemente non sono scemo.
Ovviamente non sono mancate le interrogazioni, puntualmente appese nel chiodo del gabinetto esterno del Ministero della Giustizia.
È una novità? Ma assolutamente no!
Pensate che il Cun (non una rappresentazione apocopata dell’origine della vita sarda, ma il Consiglio Universitario Nazionale) continuamente pretende dai Dipartimenti una valutazione della pertinenza dei corsi di studio impartiti con le esigenze del territorio (così da cristallizzare in eterno che a Milano, città cosmopolita con offerta e domanda di lavoro diversificata, stiano legittimamente le università aperte al mondo, mentre a Sassari o a Cagliari dovrebbero stare le università del solo turismo, o del solo agroalimentare e così via dicendo), ma al tempo stesso non esige dalla Pubblica amministrazione, con la stessa determinazione, bandi che riconoscano i titoli e le esperienze che la stessa Pubblica Amministrazione produce (sto cercando di capire, per esempio, quali concorsi pubblici abbiano riconosciuto i titoli conseguiti presso gli Its o quali professioni siano specificamente aperte alle lauree triennali, le lauree finte di berlingueriana memoria).
E allora, perché studiare? Suvvia giovani, fingete di studiare, ma soprattutto dedicatevi alle public relations, quelle che consentono di avere l’informazione giusta al momento giusto. È l’unico bene prezioso che ci sia in un mondo disordinato a tavolino, immerso in una brodaglia di fuochi di artificio e scaltrezza, di strade principali celebrate e di svincoli, accessi laterali, hotel virtuali, tutti accuratamente dissimulati e presidiati da guardie occhiute o cieche a seconda di chi varca l’ingresso, di chi entra nel vicoletto riservato.
Gramsci scriveva nel 1919: “Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza”. Dobbiamo correggerlo: “Istruitevi, perché non avremo bisogno della vostra intelligenza. Non serve capire, serve seguire l’onda. Imparate a nuotare”.
Professore, il titolo provocatorio di questo articolo e, aggiungo, le sue continue accorate denunce sul progressivo sgretolarsi delle istituzioni, frutto di una politica sempre più amorale, semprechè esista la morale in politica, rendono ancora più attuale l’appello di Gramsci.
Quanto pesa, oggi e soprattutto in Sardegna, l’assenza di cittadini virtuosamente democratici tra i quelli democraticamente eletti.
Finora ho pensato che alcune storture fossero frutto di sciatteria normativa. Ora penso altro, molto peggio….
Zoghendhe a su fura fura, a s’aferra aferra, tocat a èssere lestros furbos e fortes o acotzados a sos prus fortes, e no èssere cumpetentes e bonos a fàghere carchi faina mancari de bonu.
Ca si est a VINCERE e VINCEREMO si faghet gai (e, a nàrrere sa veridade, de mortos ndhe lis serbit pagos, bontà loro, e in su contu no bi ant mai postu a issos etotu, sinono a ite a VINCERE?).
Cercate di (non) essere tra gli invitati di Sardara 😏