Avrei molto da scrivere su Mont’e Prama (soprattutto dopo aver riletto molte dichiarazioni passate del Ministero dei Beni culturali e della Sovrintendenza archeologica, i due veri assenti ingiustificati di questa vicenda), ma siccome è chiaro che si tratta di una storia che risulterà comprensibile solo in un quadro più ampio (che coinvolge alcuni assessorati regionali – i quali non sono centri di legittimità, ma di spesa – e alcune Province – come dimenticare le celebrazioni deleddiane?) ce ne rioccuperemo quando avremo voglia di illuminare il quadro.
Oggi è molto urgente occuparci dell’ennesima retromarcia di Giorgia Meloni, la quale ha incontrato il ministro della Giustizia Nordio, gli ha confermato la sua fiducia ma gli ha anche detto che non vuole conflitti con i Magistrati.
Bisogna dirlo chiaro: in Italia non si fa la riforma della Giustizia senza conflitto con i magistrati, perché sono l’unica corporazione sopravvissuta che pretende di esercitare un immenso potere senza alcuna responsabilità per gli errori (che sono tanti e gravi) e senza alcun vero limite rispetto ai diritti altrui e agli altri poteri dello Stato.
È urgente farlo per l’utilizzo strumentale della cattura di Matteo Messina Denaro, usata da tutti i giustizialisti d’Italia per affermare che le intercettazioni servono.
Posto che nessuno ha mai messo in discussione che le intercettazioni servano nelle indagini, questo non vieta che si possa discutere di come le si fa e di come le si usa. Ma anche di dire che dietro l’uso delle intercettazioni c’è un costume psicologico perverso che andrebbe studiato: il piacere del dominio altrui attraverso la conoscenza della sua intimità. De Sade ha scritto pagine demoniache su questo tema.
Intanto bisognerebbe partire dall’art.15: La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.
Cominciamo col dire, dunque, che le intercettazioni e ogni iniziativa di qualsiasi potere dello Stato nell’attività comunicativa di un privato cittadino viola un principio costituzionale.
L’articolo prosegue dicendo: “La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria”.
Nelle università non si insegna più l’ermeneutica delle fonti e dunque in pochi legano il primo al secondo comma, viceversa semplicemente prendono atto che un magistrato se ne può fottere altamente del primo comma e disporre che si spii un cittadino sospettato di un reato.
Ma la norma non consente questa leggerezza.
Allo stesso modo in cui la Costituzione, nella sua forma attuale, non consente la separazione delle carriere, così non consente con un’alzata di spalle che un magistrato spii le conversazioni di un privato cittadino.
A questo punto tutti i giustizialisti della terra, che vedono nell’azione della magistratura, specie verso i politici, un’ipostasi della loro agognata vendetta sociale, dell’urgenza cioè di addebitare la loro insoddisfazione personale non all’infelicità della vita, come fanno tutte le persone normali, ma al sistema e a quei “porci” che lo gestiscono, saltano sulla sedia e accusano di ignoranza dicendo:
“Non è il PM a disporre le intercettazioni, ma il GIP”.
Verissimo, e il GIP in base a che cosa decide?
In base esclusivamente alle carte che gli sottopone il PM, il quale a sua volta si avvale dei rapporti della Polizia Giudiziaria.
Apro alcuni ricordi personali, con una premessa. A distanza di tempo, mi sono convinto che tutta la mia persecuzione giudiziaria (risoltasi in nulla perché priva di fondamento) nacque da una mia imprudenza: aver affrontato contemporaneamente la prepotenza di sinistra (e la sua impudica pretesa di purezza protetta da militanti in toga) e gli affari di Destra (si legga “massoneria”, “sanità”, “urbanistica”). C’è stata una magistratura osmotica in Sardegna con queste situazioni. Oggi mi pare che si sia in una fase di riflessione critica.
Fine della premessa. Passiamo ai ricordi diretti.
Un giorno parlo con un amico imprenditore di fatti di pubblico dominio, cioè riferiti a delibere di Giunta regionale già ampiamente pubblicate e commentate sui media. Egli dopo aver parlato con me, chiama un suo dipendente. È intercettato.
La PG, pur non avendo uno straccio di prova che si stesse commettendo alcun crimine, ma sospettandolo, unisce i puntini e propone al PM di indagarmi per Associazione e delinquere.
Il GIP, la cui ordinanza si rivelò un coacervo di errori giuridici prontamente sanzionati dai tribunali di riesame, autorizzò le intercettazioni.
Per quanto tempo sono stato intercettato? Ecco, questa è una bella domanda, perché dagli atti di diversi processi (nei quali non sono mai stato chiamato a rispondere di nulla) non è dato comprendere se finito un ‘turno’ di intercettazioni non ne iniziasse un altro con un altro capo di imputazione e così via. Per mesi. A mio avviso, per un anno e mezzo di sicuro.
Quanto è preparata la PG a svolgere questo delicato lavoro? Poco, pochissimo.
La PG è educata a cacciare la preda, cioè l’indagato, che è trattato non come colui della cui innocenza si deve essere certi fino a prova contraria, ma come colui di cui bisogna svelare la colpevolezza. Questo approccio produce errori significativi.
Ancora ricordi.
Un giorno, sull’onda di veleni politici mai sopiti, una procura si convinse che io ero una sorta di lobbista degli inceneritori e che da assessore avrei voluto favorire nuovi appalti e nuove forniture. Io ero assessore ai Lavori Pubblici e non partecipavo alle riunioni di Giunta che si occupavano di inceneritori (peraltro, io sono contrario agli inceneritori, ma sono anche convinto che non li si può spegnere da un giorno all’altro), proprio per non correre il rischio di dare adito alle accuse degli oppositori. Fatto è, invece, che in un’informativa della Polizia Giudiziaria su un inceneritore, io diventai Assessore dell’Ambiente, cioè l’Assessore competente in materia di inceneritori. Errore veniale? No, errore significativo, errore di costruzione del teorema.
Nel retrobottega della Polizia giudiziaria accadono poi cose incredibili.
Lasciando da parte il caso ben noto di quando venni raggiunto da un avviso di garanzia perché un membro della PG si era convinto che uno scarabocchio su un atto era la mia firma, sebbene io non avessi mai né firmato quella tipologia di atti né ricoperto la carica che mi avrebbe consentito di farlo, ve ne sono altri più curiosi. In un rapporto di PG accadde che l’ufficiale rivelasse al PM ciò che un testimone avrebbe messo a verbale soltanto una settimana dopo. Che cosa era successo? Difficile a dirsi. Probabilmente era successo che la PG aveva ascoltato senza autorizzazione il testimone, ne aveva utilizzato la conversazione per rafforzare l’ipotesi accusatoria, poi lo aveva chiamato a deporre sfilandolo dai potenziali indagati e riducendolo a semplice testimone.
Che rapporto esiste tra Gip e PM?
Il Dubbio tempo fa rivelò che il Pool Mani Pulite di fatto si era scelto il suo Gip. È lecito pensare che accada la stessa cosa dappertutto? E i Gip quanto tempo dedicano a leggere bene le carte? Poco, molto poco.
In Sardegna, tempo fa, è accaduto un fatto veramente spiacevole che denuncia un malcostume di superficialità intollerabile. È accaduto che un tribunale del riesame, investito di un appello per la revoca degli arresti disposti dal Gip, dopo una campagna bestiale di intercettazioni, abbia corroborato una mostruosità giuridica secondo la quale la disciplina di reclutamento dei lavoratori interinali doveva essere la stessa dei dipendenti pubblici. Successivamente è intervenuta la Cassazione a ripristinare il diritto, con una sentenza semplice, chiara e tranchant che avrebbe dovuto far vergognare il tribunale del riesame per la sicumera e la leggerezza con cui aveva agito. E invece nessun rossore verecondo ha imperlato il volto di chicchessia.
Tutto questo significa che non si può parlare di intercettazioni prescindendo dalla cultura e dall’esperienza che le realizza.
Ha ragione Caiazza quando scrive che le garanzie per l’attività della magistratura in materia id intercettazioni “proprio perché derogatorie rispetto ad un così forte principio costituzionale (“inviolabilità”), non potrebbero mai essere governate dal principio di utilità. Certo che ascoltare persone sospette di commettere reati torna utile agli investigatori; ma poiché questo di per sé ovvio interesse confligge con un diritto di libertà della persona di primario rango costituzionale, quell’interesse (alla sicurezza ed al perseguimento dei reati) dovrà necessariamente essere assistito da una tutela affievolita rispetto al primo. I tifosi della sicurezza come interesse sociale primario occorre se ne facciano una ragione, fino a quando si intenderà rispettare il patto costitutivo della nostra società. Ecco allora che le intercettazioni sono consentite solo per alcuni reati, considerati di maggiore allarme sociale, ma soprattutto solo quando già sussistano “gravi indizi” (non il mero sospetto, o la ipotetica probabilità) che quei reati siano commessi; hanno una durata limitata nel tempo; le proroghe devono essere rigorosamente motivate; possono essere utilizzate solo per i reati e nello stesso procedimento rispetto al quale i giudice le ha autorizzate; sono inutilizzabili se non pertinenti e rilevanti”.
Finchè non si introdurrà una regola che imponga una distanza fisica tra gli uffici del PM e quelli del GIP, e finché i magistrati verranno selezionati in base alla mera conoscenza del diritto senza pretenderr il possesso di una vera cultura giurisdizionale, non cambierà nulla.
Senz’altro le intercettazioni vanno regolate.
Ma non sono forse parte di un costume di quel chiacchiericcio assassino di cui parla Ratzinger?
A volte nella vita comune l’interpretazione malevola (e chi è in mala fede interpreta a modo suo) crea l’humus per la persecuzione. Quante domande fintamente innocenti per estorcere una frase che, estrapolata, può essere usata contro di te? Quanto chiacchiericcio assassino che nella pratica fa danni tanto quanto una giustizia del pettegolezzo. Quanti giudici incompetenti e asserviti a logiche di potere nelle nostre vite.