Sarà stato un caso, ma quando nelle settimane scorse il Garante della Privacy venne pesantemente attaccato dai 5Stelle per la sanzione inflitta alla Piattaforma Rousseau (sanzione, peraltro, largamente annunciata da mesi dal verbale, disponibile in rete, sull’indagine svolta proprio sulla piattaforma per un attacco hacker), ho subito pensato che fosse una reazione spropositata (comunque sempre meno acida e velenosa di quelle di marca Pd diffuse all’atto della sua nomina e mai ritirate nonostante un settennio di riconoscimenti di buone pratiche anche a livello europeo) rispetto a qualcos’altro.
E infatti, il qualcos’altro è venuto fuori ed è questa segnalazione del 30 aprile scorso ai Presidenti di Camera e Senato e al Presidente del Consiglio (Ubi est?) sulle falle della recente legislazione sulle intercettazioni sulla quale ho già riferito mesi fa (ma, come sempre, in perfetta solitudine sarda).
Cosa dice Soro? Dice che la falla è enorme perché la domanda dello Stato di servizi di intercettazione e di captazione ha generato una risposta dal mercato che ovviamente non è limitata alla sola domanda di Stato. Detto in parole povere, le piattaforme per spiare sono disponibili più o meno per tutti, o almeno per molti, e soprattutto ascoltano più cose di quelle che poi possono servire a un’indagine. Questi dati possono essere custoditi in server allocati non nel territorio della Repubblica italiana e quindi non facilmente raggiungibili. Il Fatto Quotidiano, il giornale più giustizialista d’Italia, il 1 e il 19 aprile aveva pubblicato un articolo che rivelava di un’indagine della Procura di Napoli a carico di una società di Catanzaro, che aveva vinto un appalto per la Polizia di Stato, e aveva poi venduto l’applicazione su Google Apple Store, incassando nel 2017 oltre 300.000 euro. Dopo una segnalazione, l’applicazione è stata rimossa, ma evidentemente è in giro per il mondo ed è ancora acquistabile. Il problema grave è che Soro aveva avvertito per tempo il legislatore che questo sarebbe potuto succedere, ma il legislatore se ne era caldamente impippato, tutto preso dal rendere retroattive le leggi, dal modificare le pensioni oggi per allora, dal perseguire la corruzione senza processo ma con diretta impiccagione pubblica (tanto tempo fa venne scritto un gustoso libretto intitolato Lo spettacolo della morte, nel quale in fin dei conti si diceva che il popolo non amava i processi ma le esecuzioni, cui ha sempre partecipato massivamente).
Avantieri il Procuratore di Roma Pignatone ha detto al Corriere della sera (faccio un po’ di rassegna stampa perché ormai nessuno legge più i giornali, anche perché non solo nessuno li compra – perché spesso dicono ciò che già tutti sanno – ma anche perché stanno chiudendo i posti nei quali venivano venduti, le edicole) che il problema delle intercettazioni è grave e invasivo e che lui vi ha posto rimedio con proprie circolari interne che disciplinano, tra l’altro, anche l’iscrizione al registro degli indagati, evidentemente perché spesso foriero di distruzioni di immagini pubbliche fondate sul nulla. Questa è l’Italia: ogni procura si regola come vuole e in Sardegna non si vivono giorni di luminosa e serena certezza.
Faccio solo un esempio per sorridere: in Sardegna, e non solo, le intercettazioni nei fascicoli di fine indagine vengono riassunte e intermezzate da giudizi e profili psicologici dei funzionari di Pg. In un caso gustosissimo, l’avvocato difensore ha potuto riscontrare che ogni volta che il suo assistito faceva una citazione in inglese, nella trascrizione veniva scritto “incomprensibile”. In questo dettaglio c’è tutto un mondo, che fa ridere e piangere.
Ma torniamo a Soro e al suo servizio verso lo Stato italiano. Il suo ruolino di servizio alla fine del settennato è quello di una persona che ha fatto molto bene il suo dovere, stimato dai colleghi europei e dai suoi predecessori. Tra i suoi detrattori della prima ora, che poi hanno dato vita al dileggio sistemico del ‘dermatologo Garante della Privacy’ c’era il mondo dell’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, da me mai particolarmente apprezzato anche perché da giovanissimo potei ascoltarlo in una riunione politica e notarne il tratto tutt’altro che pacioso, contenuto solo dalla forza intellettuale di Andreatta. Bene, questo mondo da sempre moraleggiante in palas anzenas (il maresciallo che mi spia quotidianamente scriva pure ‘incomprensibile’) è lo stesso che mi è capitato tra le mani per una lezione sulla filologia del Caso Moro che sto preparando per una summer school marchigiana (lo scrivo, così chi nota, spiando il mio computer, che sto leggendo molte cose sul terrorismo in Italia non si fa idee strane – suggerimento di mia moglie). Mi è capitato tra le mani il carteggio sulla seduta spiritica (ma come cavolo si è fatto a credere a queste baggianate!) dalla quale venne fuori il nome Gradoli. Tina Anselmi riferì che il nome ‘Gradoli’ venne fuori (senti senti) accompagnato dalle parole “Via Cassia Viterbo” e da due numeri che poi si rivelarono essere il civico di via Gradoli dove c’era il covo Br e la distanza tra Viterbo e il paese di Gradoli. Ora, anche un bambino capisce che gli spiriti non c’entrano un fico secco e che l’informazione proveniva da apparati dello Stato che l’avevano ‘un po’ sporcata’ col riferimento al paese di Gradoli, ma dando, per la corretta localizzazione a Roma il civico, 96, e la zona, Cassia. Tuttavia tutti ci bevemmo la panzana della seduta spiritica e l’allora portavoce del Ministro Cossiga, Luigi Zanda, segnalava il 5 aprile 1978 alle forze di polizia il solo paese di Gradoli, ma non la via Gradoli della città di Roma, cosa di cui si lamentò la moglie di Moro. Come è noto, il covo di via Gradoli, venne poi scoperto solo il 18 aprile, ormai abbandonato dalle BR.
Ora, chi ha commesso errori così grossolani ed è stato dentro storie così complesse e poi si è dilettato nel dileggio dermatologico penso dovrebbe praticare un esercizio spirituale molto utile: chiedere scusa allo Stato, ai morti e alle persone e poi tacere, perdonare e perdonarsi.