di Paolo Maninchedda
A Oristano sta succedendo che esiste un partito indipendentista, il Partito dei sardi, il nostro partito, e che questo partito ha costruito insieme ad altre forze politiche una proposta politica credibile per la città.
Abbiamo proposto alla carica di Sindaco l’urologo Vincenzo Pecoraro che da anni frequenta e anima le nostre iniziative. Un professionista apprezzato che interpreta la grande bandiera dell’indipendenza della Sardegna a partire dalla restituzione alle comunità cittadine del diritto di governarsi da sole, al posto della pena di subordinarsi a elites politiche oligarchiche e burocratiche.
Questa candidatura a Oristano è sotto il segno del simbolo della casata di Arborea, perché noi, non solo noi, grazie a Dio, ma certamente noi, conserviamo la memoria dell’essere stati un popolo che si è autogovernato.
Noi non abbiamo accettato la rimozione della memoria e la sua sostituzione con la frustrazione del passato e quindi con la debolezza del pensiero secondo cui la Sardegna può esistere solo se adottata dall’Italia.
Noi conosciamo uno per uno i sardi che, forti della loro libertà e delle loro competenze, cambiano la realtà, realizzano ricchezza e la distribuiscono sotto forma di reddito, di scambio, di servizi. Gente che sta insegnando ai giovani a non chiedere ad altri di compierli, ma a correre il rischio del libero compimento di sé.
A Oristano, lontano dalla politica, che distribuisce un miserrimo bilancio e parla spesso di cose ormai prive di senso o talmente ordinarie da non avere alcun merito, esistono imprenditori, professionisti, educatori, intellettuali, artigiani, sportivi, musicisti, insegnanti che sono l’ossatura di una nuova società fondata sulla responsabilità e sulla libertà. Noi frequentiamo queste persone. Vincenzo vuole rappresentare questo mondo. Un mondo educato, europeista, inclusivo, che non usa la violenza verbale, non giudica nessuno e educa alla convivenza, ma che sta in piedi, dritto, che non chiede ad altri di fare ciò che la storia ha affidato a noi stessi.
Ma accade anche che gli organi di informazione vecchio stile, i giornali (sempre più rionali e sempre meno letti) non aggiornino il vocabolario e anzi censurino i nomi altrui.
Oggi l’anuncio è che a Oristano è nato il polo civico, di cui faremo parte anche noi.
In un’altra fonte si parla di polo civico e identitario.
Non si riesce a dire la parola chiave: indipendenza.
Noi siamo indipendentisti e abbiamo sempre rifiutato i surrogati: identitari (che significa? il problema non è l’identità, ma il suo contenuto); sovranisti (e qui l’Italia ha dato una bella lezione a chi ha giocato con le parole, perché non basta parlare di sovranità, occorre riempirla di contenuti liberali, democratici e di giustizia, diversamente si sta parlando di potere, di nazionalismo vecchio stile, e il buon Salvini lo sa); autonomisti (il nome che ricorda l’esercizio solo ed eesclusivamente dei poteri delegati da un altro, cosa che noi riteniamo l’origine dell’educazione alla irresponsabilità di molti sardi incolpevoli).
La nostra peculiarità è che non mettiamo questo o quel problema al posto del vero problema. Non accettiamo che si parli in profondità che so io, del lavoro che manca in Sardegna, o dei trasporti inibiti dalla forza degli interessi dello Stato italiano, o della sanità che non funziona manco a picco e mangia un sacco di soldi, o della lingua non insegnata a scuola (la scuola per definizione deve essere poliglotta, ma la scuola unitarista italiana ha usato la lingua come una potentissima arma posta a presidio dell’inclusione/esclusione dei sardi. I giovani sardi oggi reagiscono: studiano sardo, catalano, sassarese e gallurese, ma anche spagnolo, francese, inglese e tedesco. Noi siamo costretti dalla natura ad essere poliglotti), o delle fogne che si rompono.
Noi vogliamo che prima di tutto si parli della nostra libertà di avere il potere di risolvere questi problemi. Prima la libertà di costruire uno Stato diverso, dopo la responsabilità di risolvere con tutti i poteri necessari, i problemi dello Stato.
Non accettiamo il giochetto di essere cavie sperimentali che prima devono dimostrare (a chi?) di saper usare la poca libertà concessa rispetto a temi specifici e poi, forse, essere ammessi a discutere dell’autodeterminazione di sé.
Mai più autonomisti; mai più criceti messi a macinare chilometri sulla ruota dell’ansia da prestazione e di accoglimento da parte degli italiani.
Questa lotta sta dietro Vincenzo Pecoraro.