Ieri si è svolta a Donigala Fenughedu l’assemblea di Repùblica il nuovo soggetto politico sardo che riunisce alcune fratture del mondo indipendentista, in particolare (e forse solo) quelle nate dalla diaspora di Irs (e non tutte).
Cominciamo dall’intenzione: riunirsi. Già questo è un buon segno.
Non ho mai visto tanto odio politico quanto tra le famiglie dell’area sardista e indipendentista (il prossimo passo dovrebbe poter essere rendere sinonimi le due espressioni).
Resta enormemente aperta la questione dei rapporti col Psd’az, di cui dirò alla fine.
Resta aperta la questione storica di A manca pro s’indipendentzia e quella politica di Liberu. Non sono questioni banali.
Nel primo caso, si tratta di dire definitivamente la verità su una vicenda politica e giudiziaria silenziata da troppi se non da tutti. A manca voleva fare la rivoluzione davvero? Forse. I suoi membri, però, sono finiti in galera ingiustamente (come hanno sancito più tribunali) non per atti compiuti, ma per chiacchiere intercettate. Che cosa dovrebbe allora fare oggi lo Stato con le chiacchiere intercettate da Fanpage nel movimento giovanile del principale partito di governo? A me pare che nelle forze dell’ordine si faccia un po’ di confusione tra anarchismo e indipendentismo. Ma anche nel mondo politico si considerano appestate persone che non lo sono.
Nel secondo caso, si tratta di un soggetto politico che ha dimostrato longevità e organizzazione. Che si fa, lo si ignora?
In generale, si tratta di chiarire definitivamente il metodo del rapporto con l’ordinamento giuridico della Repubblica italiana. Le proposte sono due: l’eversivismo o il parlamentarismo.
Nella coscienza dei Sardi, l’indipendentismo puzza di insurrezione.
Sarà il fatto che esso cominciò a farsi strada negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, in parallelo con le lotte di decolonizzazione di molti stati africani, ma l’analogia coniata allora tra le colonie degli imperi europei (francese e inglese, soprattutto, ma non solo, si pensi a Angola e Mozambico) e la Sardegna, ha forgiato molto del lessico indipendentista sardo. Se si analizza, per esempio, la campagna in corso dell’Unione Sarda contro la speculazione dell’eolico, si può scoprire da un lato un’intenzione di difesa che sembra autentica (più nell’editore che nei vati e nelle vate che hanno preso possesso del giornale), dall’altro, però, l’utilizzo di un linguaggio e di ideologemi tragicamente invecchiati, della cui senescenza non ci si avvede. Diciamolo chiaro: sull’eolico il popolo non c’è. Quella contro la speculazione energetica promossa dalla Stato italiano è una giustissima battaglia politica, ma il popolo sardo non c’è, come non c’è sulle servitù militari, e non c’è perché un popolo non nasce quando viene convocato, semmai il contrario: è convocabile se già esiste. Il popolo sardo non esiste: è un’invenzione storica o, nel migliore dei casi, una profezia consolatoria. In questo contesto, l’indipendentismo non è la nobile coscienza di un popolo, è solo un progetto politico inattuale: in questo contesto, l’indipendentismo puzza di eversione.
Se l’indipendentismo è un progetto politico attuale, esso è in contrasto con la Costituzione italiana e prima o poi porta a fare la fine dei Catalani: provoca la forzatura e produce lo scontro militare. È stato il dilemma di Mazzini (ai suoi tempi più popolare in Europa di quanto non fosse Marx) e lo è stato anche di Lussu che, alla fine della Prima Guerra mondiale non volle guidare la guerra civile sarda sul modello irlandese. Non c’è alternativa: o lo scontro o la mediazione della democrazia rappresentativa. Io sto con la seconda.
Se l’indipendentismo è un progetto culturale che si declina in un progetto politico di conquista del potere di governare la Sardegna secondo le regole dello Stato italiano, allora può essere un progetto legittimo e interessante non solo per noi che ne siamo convinti, ma anche per tutti. Può essere lievito di popolo. Se oggi è vero che l’Europa non è pronta manco un po’ a segmentazioni degli Stati aderenti, se è vero che dopo il fallimento del tentativo di darle una Costituzione, si è trasformata nell’Europa degli Stati e non delle nazioni, è anche vero che il federalismo sta diventando una necessità europea più di quanto non lo sia mai stato. C’è spazio per conquistare ampi poteri senza essere percepiti come separatisti. La borghesia sarda sa che quanto più ci si è allontanati da ampi poteri , tanto più in Sardegna si è sempre regredito verso forme di potere cantonale, feudale, signorile, arretrato e liberticida o, peggio, verso egemonie oligarchiche di cui qualche cenno si avverte anche ora.
Nella riunione di Donigala è comparsa, mi pare significativamente, la parola ‘federalismo’, sia in chiave interna che esterna. Mi pare un passo in avanti. E mi pare anche che si sia invertita l’agenda: in prima posizione i problemi sociali, in seconda gli obiettivi istituzionali, come dire: “Prima la ricchezza, il lavoro, la salute, dopo i poteri”. Non so se logicamente funzioni, ma ne capisco la necessità in termini di radicamento e di propaganda. Ma allora farei uno sforzo di semplificazione: scegliamo i temi principali e facciamone una grande bandiera. Per me, questi temi sono la potestà primaria sul territorio (trasporti, paesaggio, ambiente, urbanistica ecc.) e l’autonomia impositiva. In sanità, possiamo fare quasi quello che ci pare, ma non sappiamo farlo.
O i Sardi conquistano il potere di regolare il proprio territorio e di regolare le tasse secondo il bisogno del loro sviluppo, o qualsiasi disegno di libertà è monco.
Infine c’è un fatto ineludibile. Se si accetta fino in fondo, e non obtorto collo, il sistema liberal-democratico, ci si deve confrontare con il bipolarismo. Il bipolarismo sta alla questione sarda come l’acqua sta all’adulterazione del vino. Non è un caso che, quanto più il bipolarismo si è affermato, in particolare con la follia della legge elettorale che i Sardi si sono dati (la quale prevede un turno unico con premio di maggioranza e soglie di sbarramento, cioè una follia democratica), tanto più il pensiero autonomista/indipendentista è entrato in crisi: Solinas, presidente della Regione non ha fatto nulla di sardista, un po’ perché è rimasto nel cuore un centrista democristiano, un po’ per un difetto profondo di pensiero e di visione, dovuto proprio al contesto bipolare in cui ha operato. È chiaro che Solinas segretario del Psd’az è un problema. Capisco tutti i problemi umani (ma un uomo non si vede quando è debole, ma quando è potente, e Solinas, da potente, è stato feroce), però il Psd’az che si stringe intorno a Solinas, si candida al soffocamento.
Abbiamo provato in diversi a creare terze posizioni, a costruire una iniziale testa di ponte. Tutti abbiamo sperimentato che l’ultima settimana della campagna elettorale polarizza gli elettori e svuota di intensità le buone intenzioni.
Il Psd’az ha reagito a questa presa di coscienza, oscillando da Destra a Sinistra, accampando il suo non essere né di Destra né di Sinistra. Questa posizione, che fa dell’identità un fattore di sola differenza e non anche e soprattutto di sostanza, non funziona quando si hanno consensi a una cifra. Ormai è chiaro che per egemonizzare una delle due formazioni che la legge elettorale premia, bisogna avvicinarsi molto alle due cifre. Solo così si può negoziare da posizioni di forza e non apparire dei mercenari in vendita. I periodi tra un’elezione e l’altra dovrebbero servire proprio a costruire le due cifre unendo, in termini federalistici, più soggetti (sia di centrodestra che di centrosinistra) e evitando la malattia della leadership egemone (che è il contrario del federalismo e che è una malattia delle formazioni indipendentiste sarde, sempre ossessionate dall’estetica del ‘comandante’ e della disciplina di atti e pensieri). In questo senso, Donigala sembra un buon inizio. Staremo a vedere.
Invece tu SSE non sei autoreferenziale, no vero. Almeno il PdS partecipò a elezioni, elesse consiglieri, fece battaglie politiche, accettò il rischio della realtà. Invece, quale è stata la tua opera SSE? La tua opera è te stesso e niente piu. Chi è autoreferenziale?
Il Partito dei Sardi iniziò come partito indipendentista. Moderato. Finì come finì ovvero come gli altri gruppuscoli creati per l’occasione da soggetti autoreferenziali.
Il 3 e il 4 dicembre 2017 , all’ hotel Catalunya di Alghero io ero presente. Grande discussione tra indipendentisti ( uno l’avrei preso a calci allora come ora , traidore ) . Paolo avevi visto giusto.
Anche oggi ci sono tanti indipendentisti.
Bisogna intercettarli. Facciamo finalmente una sigla unica. Servono leader . Soru e Maninchedda
possono essere un nuovo inizio.
@Disterru
Ecco bravo non perdere tempo.
@ Paolo, perdona il tono confidenziale, personalmente ho dubbi e persino tanti. Se può interessare non sono neppure anarchico (attesa vana), avendo votato indipendentista poco prima che iRS avesse i problemi di leadership a tutti noti. Seguru no nc-apu mandau nemus a Roma. Ho scritto soltanto di “coscienza anarchica”. Anarchia ha un significato per me positivo, anzitutto in senso ideologico prima che politico (non credo alla realizzazione dell’anarchia, sempre che gli anarchici – quali? – abbiano mai teorizzato veramente la società anarchica).
@ Enrico. Non perdo tempo a chiarirti i tuoi pregiudizi, considerato che non hai avuto la pazienza di leggere con un minimo di attenzione ciò che critichi. Tu certamente hai notato benissimo il tono “dispregiativo” del termine “anarchici”. Mi pare abbia una modalità asimmetrica di giudizio, esattamente discriminatoria come quella razzistica che stigmatizzi.
mi viene in mente Guccini: “dai manichei che urlano o con noi o traditore, libera nos Domine!”
anni fa definisti il “leaderismo” uno dei principali limiti della politica indipendentista
oggi parli di evitare la “malattia della leadership egemone” che impone “disciplina di atti e pensieri”
ergo, se Donigala sembra un buon inizio, si assiste ad un momento di confronto dove non esistono assiomi e nessuno viene demonizzato… (neanche chi parla di borghesia serva e coscienza anarchica….)
è così?
è così?
Quando leggo il termine “questurini” rivolto alle forze dell’ordine mi nvengono i brividi. Chi lo usa per me non dovrebbe avere voce in una discussione al pari di razzisti, xenofobi, anti semiti e di tutti quelli che classificano per categorie gli altri in tono dispregiativo.
Buongiorno Paolo,
apprezzo molto la tua lettura positiva sulla nascita di Republica, il nuovo soggetto politico e attendo come molti di saperne un po’ di più.
Non mi cimenterò in disquisizioni ideologiche, non sono capace.
Ciò che io faccio è cercare di essere operativa in un’area che troppo spesso si attarda sui ragionamenti, ma poi alla fine dei conti è dura a concludere, a muoversi, perfino fa fatica ad uscire da casa per andare a votare quando arriva il momento.
Io capisco per carità, l’offerta non è mai l’ideale che noi abbiamo in testa.
Tuttavia cercare convergenze, adattarsi, costruire un percorso insieme, aprirsi al confronto anche con territori storici dell’autonomismo italiano (piuttosto che srotolare tappeti rossi agli amici catalani a volte immeritatamente) credo sia la strada per plasmare una nuova proposta politica, che ci faccia superare la fase rivendicazionista, che proponga un autonomismo moderno, sicuramente dentro un discorso federativo.
Chissai proite abarro galu cumbintu chi sa risposta a sos problemas nostros, de sos Sardos totus, chi sunt poi sa rispostas de dare a sos temas centrales chi su PSd’Az da ‘e semper at postu a innantis.
S’arrejonu peroe est ateru e de importu mannu, sunt sos fomines chi custu partitu ant rappresentatu e rapresentant mascamente oje, e tando naro su chi apo semper natu, duncas no serbint ateros partitos ma serbit sa zente chi torrent a bintrare, “Omines” de gabale pro picare in mannos custu partitu chi betzu no est!
@ Bustianu Come sai, io non condivido il tuo esclusivismo etnico (endogeno) che scivola moltissimo verso un nuovo pensiero autarchico. Quanto alle posizioni impiastricciate di personalismo, la tua è tra le principali, non credi? Io darò una mano a chiunque esca dal proprio recinto, rispettando chi vuole rimanere nei propri, ma non facendomi dare lezioni proprio da loro.
Custu arresonu no mi at cumbintu meda. Si sighit a mirare sa chistione dae casteddos personales fraigados cun carchina endogena e esogena ammisturadas.
@ Disterru Eccovi, gli anarchici, vi aspettavo. Mai un dubbio eh?
Borghesia? È la borghesia sarda, serva di altri interessi, il più grande problema politico della Sardegna. Storicamente esiste (è mai esistita) una borghesia sardista di un qualche rilievo? No.
Il popolo, invenzione abbastanza recente, è soltanto strumento delle oligarchie che si contendono il potere politico; ieri e ancora oggi. Oggi nella forma della democrazia rappresentativa. Se la persona non ha coscienza anarchica (manca di consapevolezza politica autonoma) è strumento di quello o quell’altro potere.
Non è un dilemma, ovviamente, ma è un doppio problema, ben noto, tra l’altro in ambito indipendentista. Forse, io ne sono persuaso, nell’indipendentismo è mancato lo spirito libertario, emancipatore, internazionalista, federalista (non soltanto nello specifico delle entità politiche statuali), proprio di quel pensiero, quindi, tanto stigmatizzato dai questurini di tutti i Regni e dai suoi giudici.
…«il popolo sardo non c’è», «il popolo sardo non esiste» e po calecun’àteru depet èssere una cosa “lapalissiana”, narada «con estrema chiarezza», e issu dha bàtiat «sacrosanta verità».
No apo a pèrdere s’istima po Paulu Manichedda e ne po nemos (fintzes si no cundivido su chi nant, mescamente, mancari, e prus a propósitu, de sa chistione de is Sardos, po su chi faent (e po su chi no faent). Ispero solu de arrennèssere a no fossilizare a nemos in d-una eticheta ca nemos est… merce in scatola chi bastat a bìere s’eticheta po ischire it’est. Donniunu est, ia a nàrrere, unu mundhu, o po nàrrere che is mannos chi apo connotu “duos si che mànigant paris una soma de sale [150 chilos, po cundhire su papare!] chentza si connòschere». Ma bosi at a pràghere de prus su chi naràt John Dewey: sa persona est unu «divenire».
E nos’iaus méngius a pregontare e caricare de ischire ite seus diventaos is Sardos in séculos de domìniu ‘guvernaos’ a manu angena po afàrios istràngios, e ancora deasi e malepeus iscagiaos in totu is ‘termovalorizadores’ de su domìniu, e ite seus dispostos a diventare o si seus apenas apenas dispostos a éssere gente. Ma sa “sentenza” de Paulu e sa “conferma” de Stefano (no isco cale, ma no importat) iat a bòllere nàrrere chi in Sardigna che at unu muntone de ‘cosas’ (naraus de su regnu animale, sinono depeus pentzare a unu muntone de rena chentza ciumentu che a sa chi si agatat in is errios) ‘cosa’ chi in parte (naraus unu millione e mesu) camminat a duas cambas e in parte prus manna (naraus tres milliones e mesu) camminat a bàtoro cambas a su puntu chi podeus nàrrere ca custa ‘cosa’ de regnu animale faet unos chimbe milliones de ‘cosa’/pegos’, ma… in Sardigna, pópulu nudha?!
Seus totu pantàsimas/fantasmi o mamutones e merdules e turpos?
E, a parte chi in sardu naraus GENTE, si podet ischire ite lampu est custu “populu” si no dh’aus cunfùndiu cun “populus alba” s’àrbure arta chi in sardu naraus fustiarbu e seus cunfundhendho una conca de àgiu cun d-una conca de chibudha? E at a èssere chi, poneus mancu in s’Istivale, fache a su 1861 dhue iat unu pópulu italianu si fintzes cudhu Massimo D’Azeglio proponiat coment’e programma de su regnu apenas naschiu de pentzare a «fare gl’Italiani»?
E, tanti po arregodare calecuna cosa chi ais istudiau candho in s’América setentrionale su 1775 ant fatu s’indipendhéntzia dhue iat unu regnu animale, mancari de bùfalos (e no foedheus de is Indianos chi fiant… is Indianos), ma no dhue iat unu pópulu americanu?
Intanti bosi ia a incumandhare de bosi pigare assumancu duas dies de pàusu. Ma pruschetotu, a s’ischidada, de provare a fàere is contos cun boso etotu, is Sardos totu cun noso etotu, si seus gente (pópulu no isco: naraidhu bosàteros) e a pentzare ca su domíniu nos at cracau e pistau comente mancu su furesi magiaiant deasi in is cracheras, e coltivau, allenau, istùdiau, diplomau e laureau a sacu prenu de IGNORANTZIA, PREUNTZIONE e MENISPRÉSIU PO NOSO ETOTU a su puntu chi fintzes sa limba nosta e su nùmene nostu etotu e de Sardigna portaus che ispudu in petorras mancu dispràghiios ca dhu portaus apitzu.
E iaus a dèpere ispiegare, no naro s’indipendhéntzia, ma apenas apenas sa autonomia, si e ite sensu tenet e poita. Chentza arrépitere chi is Sardos seus «pocos, locos e male unidos» chentza mancu ischire si Carlo V dh’at nau po is Sardos o po is Aragonesos suos a trivas meres in Sardigna cunfundhendho is Aragonesos cun is Sardos comente oe, abbistos meda…, cunfundheus is Sardos cun ís Italianos. E iat a èssere ca sa cura e disunione dha portaus in su DNA e no est invece meda prus efetu de su domíniu?
Sa serrada de Pàulu, poi, ojamomia: «Staremo a vedere.» Male, Pàulu! Pausadi, ma sa chistione nosta no est de “spettatori”. Totu su chi aus bistu (e no creo chi tue apas ibertau s’ignoràntzia laureada de s’iscola italiana po ischire ite istória teneus is Sardos) nosi narat a fàere is contos cun noso etotu po fàere fintzes is contos necessários cun s’Istadu italianu. Si no sigheus a regno animale.
A mio avviso, non c’e` alternativa alla “mediazione della democrazia rappresentativa”, D’altro canto, ci deve essere un atteggiamento concorrenziale, una conseguenza, come ben evidenziato in una famosa scena della “maschera di Zorro”, dove Don Alexandro invita Don Diego a non mancare alla riunione ristretta dei majores, perche è li che si decidono gli esiti dei futuri “arrangiamenti”, ovvero, è nella “stanza dei bottoni”, che si fanno le scelte politiche e se ne determinano gli esiti. E, senza dilungarmi eccessivamente, ritengo sia pacifico che, interventi adeguati alla domanda in temi sostanziali, quali, fisco, lavoro, salute etc., determinano la presenza nei luoghi decisionali, così come, la presenza in quei luoghi, dà la possibilità di poter essere protagonisti in positivo di scelte determinanti per la collettività!
Egregio, sul tema indipedentista mi limito ad imparare leggendo i suoi interventi e quelli degli altri interlocutori.
Una Sua affermazione però mi ha colpito per l’estrema chiarezza e per il coraggio da Ella manifestato nell’esprimerla: il popolo Sardo non esiste. So che tanti la criticheranno per questa affermazione perché lesiva di una dignità che potrà essere individuale ma non collettiva ma è la sacrosanta verità. E l’affermazione “pocos, locos y mal unidos” riferita ai Sardi è quantomai attuale.
Con tutto il rispetto verso chi dell’indipendentismo ne fa un impegno, basterebbe ridurre al minimo il mal unidos (ed anche il locos delle lotte di campanile) per far valere l’unica vera conquista di cui i Sardi dispongono: lo Statuto Speciale della Sardegna.
Ma il mio è un auspicio che temo rimarrà tale.
Saluti.
Ma… nella foto chi sta’ seduto dietro chi parla è il suo “esercito” o il suo pubblico?🤔🤨
La frammentazione e la moltiplicazione di gruppi e gruppetti che sforzandosi di trovare differenze tra un ‘ autonomismo ,un sardismo diversamente coniugato ,fino all’indipendentismo alla Doddore Meloni buon’anima ,senza dimenticarci di alcuni rigurgiti di eversione ,mascherati intellettualmente ,che altro non sono che l’espressione di volontà differenziali indirizzate alla ricerca di piccole porzioni di potere personale . Fin tanto che esisteranno tutte queste sfumature ,simil-cultural-ideologiche,nulla si potrà costruire e la Sardegna ed i Sardi rimarranno in balia dell’arrogante oppresiva occupazione dei partiti nazionali , presenti nei circoli culturali di alcuni baronetti , interessati a mantenere lo status quo ,attivati per impedire qualsiasi cambiamento in senso autonomistico o peggio in senso indipendentistico .
Renato, sarà che sto invecchiando, ma io capisco sempre meno le tue allusioni e non da oggi.
Da tempo penso che sia meglio pensare e vivere da indipendentisti, che sbandierare una volontà di indipendenza
…staremo a vedere. Si, credo che sia la soluzione migliore : stare a vedere. Con simpatia e attenzione … benché, personalmente ne abbia già “assaggiato i primi calcetti sugli stinchi ” . Era inevitabile e ne sono pure compiaciuto. Staremo a vedere esattamente come con Sardegna Chiama Sardegna, già terzo incomodo non citato(?) e che oggi si riunisce in quel fortino indipendentista che è stato Bauladu . E lo fa su un tema di non poco conto come la fascistissima legge elettorale in vigore in Sardegna (…e ci sarebbe da affrontare anche quella italianissima). Ci sono anche loro, che riescono anche a eleggere nei Comuni . E NOI, nel frattempo che stiamo ad osservare le giuste evoluzioni di crescita di Repubrica, posto che A Manca e Liberu hanno ormai segnati i loro destini verso l’insignificanza elettorale se non addirittura l’oblio proprio dalla nascita di Repubrica, cosa facciamo di sostanziale , nel frattempo che il PSDAZ si liberi fra qualche anno di tutte le tossine leghiste … ci vediamo e ne parliamo ?
“In sanità, possiamo fare quasi quello che ci pare, ma non sappiamo farlo”.
Valesse solo per la sanità, potremmo ancora dirci fortunati.
La classe dirigente sarda è generalmente lenta e incapace in troppi campi.