La sentenza della Corte di Cassazione, che ha riformato quella di appello sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia, è stata pubblicata a poca distanza dall’uscita in tutte le librerie del libro-intervista di Pino Corrias sul Capitano Ultimo: Fermate il capitano Ultimo!
I fatti sono noti. Sulla cosiddetta trattativa ci sono state tre sentenze: quella di primo grado di condanna, quella di secondo grado di assoluzione perché il fatto non costituisce reato e quella della Cassazione di assoluzione perché il fatto non sussiste. Gli assolti sono i vertici dei Carabinieri, in testa il generale Mori.
Il libro di Corrias ha un problema: Corrias. Bisogna farsi forza e leggere una prosa da cronista di nera che non ama la profondità, anzi, che non sa descriverla. Appena ci si abitua, però, se ne apprezza anche la forza: la narrazione riguarda fatti veri, nudi e crudi, raccontati in poche parole, spesso, sempre le stesse, ma fatti. Ma soprattutto racconta di come un grande investigatore, come De Caprio (Ultimo), che si colloca giustamente dentro la scia morale e storica del Generale Della Chiesa, sia stato, volendo servire lo Stato, progressivamente isolato e colpito dallo Stato, esattamente come Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino, con la differenza che lui ha badato ed è riuscito a rimanere in vita. Chi colpisce queste grandi personalità? Due fattori: l’indisponibilità di parti dello Stato a stare interamente sotto la sovranità della legge; l’invidia operosa dei colleghi. Conseguire risultati importanti significa in Italia esporsi alla fucilazione morale, soprattutto se non si fa parte dell’area benpensante e per definizione giusta del Paese.
Tuttavia, il libro di Corrias, letto in parallelo con la sentenza della Cassazione e con un altro bellissimo e densissimo libro, La mafia non ha vinto, di Giovanni Fiandaca e Salvatore Lupo, cambia radicalmente la vulgata di alcuni eventi. Faccio solo due esempi.
La cattura di Riina. La cattura di Riina non è stata il risultato di un’azione investigativa della Procura di Palermo. Anzi. Quando Mori dà l’incarico a De Caprio di trasferirsi col suo gruppo in Sicilia per catturare Riina, il fascicolo del capo della mafia è vuoto: solo una foto segnaletica di trent’anni prima. È il gruppo di De Caprio che, sconosciuto anche alla magistratura siciliana, si mimetizza a Palermo, esce di notte per imparare a girare per le vie delle città e di giorno pedina i sospettati. Stanno dentro una caserma dei Carabinieri senza indossare le divise e riunendosi quando gli altri vanno via, a fine giornata. Un giorno, uno dei sospettati, sfugge al pedinamento in via Bernini, dinanzi al cancello verde di un comprensorio di ville. Da quel momento, quel punto, comincia a essere monitorato. Viene arrestato nel Nord Italia Balduccio di Maggio, fino a poco tempo prima autista di Riina (poco importa adesso ricordare che, con ogni probabilità, si è fatto arrestare dal generale dei Carabinieri Delfino). Portato a Palermo, viene usato da De Caprio e dai suoi per identificare chi entra e chi esce dal celebre cancello verde, finché, per l’appunto, non è comparso Riina in persona. Ovviamente, dopo l’arresto, proprio dall’interno dell’Arma e dagli ambienti vicini alla magistratura, partì la calunnia secondo la quale Provenzano avrebbe consegnato Riina ai Carabinieri.
Subito dopo la cattura, Caselli (nominato da pochissimo Procuratore della Repubblica di Palermo) e i suoi magistrati si precipitano in caserma. C’è un magistrato che, volendo svolgere comunque un ruolo, ordina che si chiuda la finestra per ragioni di sicurezza. De Caprio e i suoi propongono di non perquisire, ma di monitorare gli ingressi e le uscite dalla casa di Riina (catturato per strada), in modo da individuare e arrestare chi l’avesse frequentata. Caselli non fece obiezioni. Il giorno dopo l’arresto, l’ufficiale responsabile dell’Ufficio stampa dell’Arma rivela ai giornalisti l’indirizzo della casa di Riina. Ogni attività investigativa viene bruciata. Ma sempre dall’Arma parte la seconda calunnia secondo la quale la mancata perquisizione è una scelta di Mori e altri per consentire la pulizia del covo, secondo un accordo con chi avrebbe consegnato Riina allo Stato. Balle invidiose, ma intossicanti.
L’isolamento di Ultimo Altro velo di mistero che cade è l’estromissione da ogni indagine di Ultimo e della sua squadra. Chi lo fece? Perché? Lo fece il governo Renzi; lo fecero i vertici dei Carabinieri nella persona del Comandante generale Del Sette su indicazione del Governo. Il perché è semplice: si riteneva che gli uomini di Ultimo avessero passato al Fatto Quotidiano l’intercettazione famosa tra Renzi e Adinolfi, nella quale Renzi annunciava il siluramento di Letta allora Presidente del Consiglio in carica. Poi si scoprì che ad aver passato l’intercettazione, per errore di una funzionaria del Palazzo di Giustizia non distrutta perché irrilevante, fu un avvocato difensore del presidente di Cpl Concordia. Dopo inizierà un altro coinvolgimento infondato di Ultimo e dei suoi uomini, quello nell’affaire Consip, nel quale Ultimo e i suoi non hanno niente a che fare, ma dire invece che c’entrano, serviva a farli fuori anche dall’Aise, il Servizio di intelligence italiano, dove si erano rifugiati. Oggi sono in pensione e l’Italia è molto più esposta ai nemici interni e esterni. Oggi si ribellano, cominciando a raccontare la loro verità. L’avesse potuto fare Dalla Chiesa, non saremmo nelle condizioni in cui siamo.
Quando il Colonnello Comandante Ultimo il 15 Gennaio 1993 a Palermo mise fine alla latitanza di Totò Riina, insieme al Gruppo della Crimor, rientrato in caserma lo pose sotto il quadro del Generale dei Carabinieri, Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Sembra quasi, che da lì, chiunque voglia garantire l’etica e i valori del Generale con la dovuta professionalità venga biasimato di essere controcorrente, di essere altro, di essere fuori da una logica naturale.
Anch’io posseggo un quadro del Generale.
Grazie!…-
Grazie Paolo. “Pezzo” stupendo, drammaticamente vero e molto attuale. Tant’è che, seguendo il fil rouge proposto, consiglierei di rivedere su Raiplay la puntata odierna di Spotlight andata in onda su Rainews 24. Il programma, con testimonianze e dati certi, parte da Portella della Ginestra, fa un’analisi cruda delle cosiddette “stragi di Stato”, rilegge un cliché che si ripete a stagioni politiche alterne e, guarda caso, segna un tracciato ben definito degli intrecci tra apparati paramilitari, mafia e forze dell’ordine, fino a delineare una linea retta che porta alla strage di Capaci.
Elinor Roosevelt una volta disse che non apprezzava un uomo che sapeva apprezzare il coraggio ma non sapeva essere coraggioso.
I pavidi e gli opportunisti senza un velo di pudore hanno giustiziato chi diceva la verita’.
Noi ci troviamo in questa situazione perche’ la maggioranza e’ pavida.