di Paolo Maninchedda
Stamattina alle 11 si svolgerà il primo degli incontri con le Procure della Repubblica della Sardegna attuativi del programma anticorruzione annunciato dal Presidente nell’incontro plenario svoltosi questa estate. Oggi l’analisi è dedicata al rischio idrogeologico e vedrà la partecipazione della Procura della Repubblica di Nuoro e delle direzioni generali dei Lavori Pubblici, della Protezione Civile e del Distretto Idrografico. L’incontro ha carattere tecnico e non sarà seguito né da conferenze stampa né da comunicati stampa.
Avantieri la Giunta ha approvato una delibera, proposta da me e dall’Assessore Gianmario Demuro, che consente il reclutamento di 17 persone, tra ingegneri e geologi, per rafforzare gli uffici del Genio civile della Regione. È un provvedimeno importante perché gli uffici del Genio sono quelli impegnati in prima fila nel presidio degli alvei (il cosiddetto servizio di piena) e nella prevenzione passiva (opere) del rischio idrogeologico. Attualmente questi uffici hanno una tale carenza di personale da non poter svolgere le funzioni loro assegnate. Il Presidente ha voluto rimarcare ieri in Giunta che questo è solo il primo dei rafforzamenti verso le parti dell’Amministrazione regionale più esposte e ha preteso un censimento dettagliato del fabbisogno complessivo di ingegneri, tra Regione e Enti (Enas, Area, ecc.)
Le procedure di reclutamento seguiranno i percorsi di legge e quindi: 1) mobilità interna; 2) cessione del contratto per i dipendenti ex Esaf che volessero rispondere alla chiamata della Ras; 3) concorso. Posto che in Regione non si abbonda di ingegneri e di ingegneri che vogliano impegnarsi in posti di responsabilità, immagino che si arriverà rapidamente al concorso esterno.
L’argomento dell’organizzazione degli enti di area vasta (chiamateli come vi pare, province, dipartimenti o quant’altro) sta finalmente animando il dibattito politico con temi di grande rilevanza. Io trovo un errore ricorrente in molti ragionamenti dei partiti politici, un errore di antropologia feudale.
Posto che un luogo di esercizio di funzioni sovracomunali e non regionali comunque serve e che il senso del referendum che ha abolito le province era quello di ridurre i meccanismi di moltiplicazione del ceto politico (gli elettori non avevano e non hanno niente contro le province, ma molto contro i consiglieri provinciali), il tema ha due vincoli: la semplificazione dell’assetto istituzionale (oggi abbiamo nell’ordine: Comuni, comunità montane, unioni dei comuni, province, aree vaste, distretti sanitari ecc. eccc.), l’equità della distribuzione delle risorse sul territorio regionale. Si scontrano due filosofie: una che pensa che la Sardegna sia la sommatoria dei Comuni della Sardegna e che, in ultima analisi, riterrebbe eliminabile anche il Consiglio Regionale, sostituendolo con l’assemblea dei sindaci; l’altra che continua ad avere una visione unitaria della Sardegna, ma non per questo centralistica. Sono temi di grande importanza, lasciati sul terreno dalla stagione autonomistica, tanto parassitaria e sprecona quanto magniloquente su se stessa.
Oggi il rischio però è rappresentato dalla tentazione di definire l’assetto istituzionale in funzione della divisione delle risorse anziché in funzione dell’efficacia del sistema istituzionale. Mi spiego: un pensiero semplificato potrebbe portare a creare due marchesati in Sardegna e poi a dire che le risorse si dividono in due. Prima i titoli poi le mercedes (rendite, non automobili), come accadeva ai tempi dei Castelvì che nessuno rimpiange. Una strategia di questo tipo porterebbe rapidamente a rendere attuale la vecchia proposta della divisione della Sardegna in due province autonome, sul modello di Trento e Bolzano, in sostanza al ripristino istituzionalizzato dell’antico dualismo Capo di Sopra contro Capo di Sotto. Viceversa, se si parlasse prima dei meccanismi di riparto e di utilizzo delle risorse derivanti dalle compartecipazioni, probabilmente si costuirebbe un assetto istituzionale più equilibrato, unitario e efficiente: uno Stato appunto, quale noi vorremmo.
Speriamo che il dibattito porti idee e non nuovi feudatari.
Incontri con le Procure.
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Nuovi posti di lavoro dalla sicurezza del territorio.
Le province e lo spettro della Sardegna divisa in due”
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Solo tre geologi, solo tre, eppure, pur tralasciando il comparto geomorfologico che compete al geologo e all’ingegnere “geotecnico”, l’art. 24 delle norme di attuazione del PAI parlano chiaro: “Lo studio di compatibilità idraulica è firmato da un ingegnere esperto nel settore idraulico e da un geologo, ciascuno per quanto di competenza, iscritti ai rispettivi albi professionali”.