di Paolo Maninchedda
Ieri una folta delegazione di dirigenti regionali ha incontrato alcuni top manager di Cassa Depositi e Prestiti, la banca dello Stato Italiano che gestisce i risparmi postali ed eroga crediti ai Comuni e alle Regioni.
Gli argomenti sono stati molti e vari, ma tra i fatti di casa nostra, ogni tanto, ha fatto capolino il disordine europeo di questi anni.
Per esempio, l’esistenza di tanto ‘reddito in nero’ in Germania che spesso i tedeschi, col pretesto del turismo, hanno portato nel nord-est dell’Italia; o ancora proprio la crisi del ‘nero’ nel nord-est italiano; o ancora la predilezione degli investitori per Torino come piazza burocratica efficiente e pulita, piuttosto che Milano o peggio Roma e Napoli; la crisi europea della casa di proprietà, incompatibile con l’estrema mobilità dei giovani e delle giovani famiglie; la dematerializzazione di tante imprese che ormai non hanno più bisogno né di uffici né di palazzi, ma solo di un tavolo e di un computer; i centri storici fantasma, popolati ormai solo da impiegati pubblici e solo al mattino; l’impossibilità di gestire i flussi migratori da sud e da est; la grande preoccupazione per la crisi turca.
Eravamo ospiti della Fondazione Sardegna (ex Banco di Sardegna). Abbiamo solo aperto una discussione con uno dei peggiori mostri burocratici della Repubblica italiana. Tuttavia a me è sembrato di averlo fatto con uno spirito nazionale sardo, cioè dimostrando di saper guardare a ciò che accade nel Mediterraneo, in Europa e nel mondo, consapevoli di come e di quanto sia difficile produrre ricchezza sostenibile ma anche di quanto sia facile consumarla in un attimo. Abbiamo dimostrato di rappresentare una società che si pensa come uno Stato, che si muove prestando attenzione al contesto, ponderando i propri impegni, valutando le opzioni. Non abbiamo chiesto né aiuti né elemosine: solo proposto e ascoltato buoni affari.