Mentre la Giunta sarda svela la sua fragilità di concetto e di metodo sui collegamenti aerei e i suoi piedi di argilla nelle difficoltà di composizione dell’esecutivo, sta accadendo che sul mare la Sardegna è già un’isola pressoché isolata, almeno per ciò che riguarda la ricchezza. La crisi profondissima del Porto Canale di Cagliari è una questione gravissima, ma ovviamente sottovalutata.
Resto convinto che la chiave di lettura più profonda della storia sarda sia il mare. I Sardi lo hanno praticato con successo solo in epoche antichissime; quando hanno perso, se non il dominio, almeno il controllo del quadrante strategico occidentale, sono diventati una realtà costretta a vivere di se stessa e non anche e soprattutto di relazioni.
Le politiche portuali di un’isola non possono essere le stesse dei porti connessi col continente europeo. Trieste e Genova sono porti europei, competono con Rotterdam e Amburgo; Cagliari no, non è un porto europeo, perché chi scarica un container a Cagliari deve ricaricarlo su un’altra nave per portarlo in Europa. Quindi, il primo problema da focalizzare è che non si tratta di scegliere bene il gestore dei porti, ma di avere strategie sulle rotte, sulle convenienza, sulla ricchezza che viaggia nel Mediterraneo e di avere il potere di intercettarle e farle proprie.
Abbiamo realizzato una piccola inchiesta che mettiamo a disposizione di chi volesse utilizzarla. Essa visualizza il volume dei traffici marittimi mondiali, il volume della ricchezza in entrata e in transito nel Mediterraneo, i porti che nel Mediterraneo lavorano di più e quelli che lavorano di meno.
La Sardegna ha una sola soluzione a portata di mano: rendere fiscalmente vantaggioso l’attracco non solo per il trasbordo merci ma soprattutto per la loro trasformazione, magari realizzata secondo procedure di qualità certificata. La si chiami Zona franca o Zes o con altri acronimi che l’ipocrisia burocratica italiana è sempre in grado di produrre, ma la sostanza non cambia: deve esserci una fase di trasformazione e un vantaggio fiscale. Tuttavia, se il vantaggio fiscale fosse solo delle aree portuali, si ripresenterebbe la stessa situazione che dal medioevo ad oggi ha distrutto la Sardegna: la città come luogo del privilegio fiscale, l’agro e i paesi come luoghi della pena fiscale. Come si vede, tutti i fattori della questione sarda riportano sempre al grande problema dei poteri, cioè a ciò che per noi è essenziale e di cui non disponiamo per resa e dimenticanza.