Oggi è possibile leggere sui giornali dell’avvenuta richiesta di assoluzione per un gruppo di consiglieri regionali accusati a suo tempo di peculato per la gestione dei fondi destinati ai Gruppi del Consiglio regionale.
Di fronte a qualsiasi richiesta di assoluzione, personalmente gioisco. Tuttavia, adesso, serve fare molta chiarezza su un’inchiesta che ha decimato la classe dirigente sarda.
La recente richiesta di assoluzione sarebbe fondata sull’accertamento da un lato che tutte le spese fatte rientrerebbero in quelle autorizzate dalla legge, dall’altra sul fattore soggettivo dell’assenza di dolo.
Qualche giorno fa è poi giunta un’altra annuniciata assoluzione collettiva per avvenuta prescrizione.
Vorrei brevemente ragionare su entrambe le assoluzioni, perché come al solito i signorini di città stanno uscendo da questa tragica vicenda lindi e pinti, e i signorotti di paese, invece, col marchio indelebile dei condannati.
Iniziamo dalla prescrizione.
Invito chi di dovere a assumersi questa responsabilità: la pubblicazione del diario dell’inchiesta, dei suoi tempi, della sua movenza cronologica, per verificare perché un’inchiesta che sin dal principio era inevitabilmente da volgere a tutti i gruppi consiliari in quanto generata da una falla del sistema regolamentare e dal suo uso distorto, è stata invece gestita secondo un cronoprogramma che ha visto il tal gruppo essere indagato a quattro-cinque anni dopo il primo gruppo sottoposto a indagine.
Si può sapere il perché?
Si può sapere perché taluni sono già al secondo grado di giudizio e altri neanche al primo?
Ovviamente c’è una risposta per tutto, ma non per questo c’è una spiegazione credibile a tutto.
Poi c’è la bellissima mancanza di dolo (ho letto recentemente una bellissima sentenza della Cassazione su un’altra clamorosa e reiterata assenza di dolo di un potente sardo, amato e cullato, perché appunto nato senza dolo, dalla magistratura sarda).
Io penso che, escluse rarissime eccezioni, nessun consigliere regionale coinvolto in questa inchiesta, sapesse di commettere un reato utilizzando quel denaro. Molti possono essere stati imprudenti, molti grossolani, molti volgari, moltissimi crapuloni, ma che sapessero di violare la legge no, questo non è credibile.
Allora si pone un problema di catalogazione della conoscenza. Occorrerebbe pubblicare le carte, una per una, di tutti i processi, per verificare se a parità di giustificazione da parte degli imputati si è avuta dalla Giustizia una eguale valutazione. Per esempio; se nel processo A il denaro per pagare una sede politica è stato riconosciuto spesa ammissibile, bisognerebbe verificare se la stessa qualità di spesa è stata riconosciuta come ammissibile anche nel processo B a parità di condizioni, e così via. Bisognerebbe verificare se una dichiarazione di un soggetto A che afferma oggi di essere stato pagato allora, è stata riconosciuta come ammissibile sia nel processo A che nel processo B. Oppure ancora, se i compensi a un collaboratore collocato sul confine tra una collaborazione politica e una prestazione professionale, siano stati riconosciuti ammissibili sia nel processo A che nel processo B e così via.
Invece, tutto questo non sarà possibile. Nessun big data nella giustizia sarda; nessuna edizione sinottica dei processi; nessuna collatio delle prove e della loro valutazione.
Ci fu un tempo in cui mi fidavo dei magistrati; con uno, oggi quiescente, ho anche cenato (che per me è una cosa sacra, perché non mangio con chi non stimo). Oggi non mi fido più di nessuno e i fatti mi stanno dando ragione. Sto studiando molti casi giudiziari del passato remoto e prossimo: la storia è sempre la stessa. La Giustizia non è uguale per tutti, esiste una politica della Giustizia di cui ero, sono e sarò sempre fierissimo avversario perché inumana, cioè nemica della dignità umana, con una grandissima indulgenza verso i politici col pannolino arrotolato due volte dinanzi ai giudici.
Bah, intantu sa zustíssia in Sardigna (fintzas si est craru chei su sole chi mancu sos Sardos semus “stinchi di santo”) est de illo tempore cudha de “sa zustíssia los pregonet”, “ancu los currat sa zustíssia”, “sa giustítzia dhus abbruxit”, “sa giustítzia dhus catacumbit”, ‘paret’ chi no at fatu mai bene, sempre zustíssia mala, e, in prus, de magistrados bi ndh’at artos e bassos, cun e chentza ortzales o ulleras, o ponimus occhiali (e no totu pro sa matessi ‘virtude’ de sa vista) e si est cudho artis no est totue chi che colant, ma cudhus bàscius… nc’intrant in dónnia istampixedhu. E poi, custu de “due pesi e due misure” mica siamo tutti uguali!
Chi nos cherzat nàrrere carchi cosa chi b’at brunzitos nuràgicos cun bàtoro ogros? O at a èssere chi custa zustíssia est sempre fiza de su Buzinu de sos pregones de colonialística memória?
…mi pare di ricordare che ci avevi anticipato che per molti sarebbe andata così … mi pare eh !