Ieri è stata una giornata drammatica. L’Italia si è persa e le forze politiche della Sardegna non riescono neanche a concepire di usare la crisi italiana per affermare la questione nazionale sarda; in Sardegna, poi, un ragazzo è stato ucciso per una banale lite e un altro è stato picchiato a sangue in un parcheggio da una gang.
Sarà che per me tutto si tiene, dalla natura allo spirito, dalla politica all’amore, ma il quadro della società in cui viviamo mi appare afflitto da una malattia terribile: la crisi dell’educazione.
O una società dà un peso ai suoi valori, li iscrive nelle sue istituzioni, li pratica nelle sue famiglie, premia chi li interpreta e sanziona chi li viola, oppure è destinata a perdersi, come per l’appunto si sta perdendo.
Nessuno che eserciti una responsabilità è apprezzato.
Nessuno che svolga un ragionamento è ascoltato.
Nessuno che senta l’urgenza di una resistenza sarda al degrado.
La Sardegna dovrebbe fare ‘Resistenza’, perché diversamente la sua gioventù si perderà nella violenza, nel degrado, nello scontro.
Vorrei proprio confrontarmi in un’aula universitaria sul vuoto culturale che sta ammorbando l’Isola, sarei curioso di sentire le ricette di Destra e di Sinistra o dei Movimenti sul morbo che sta consumando il cuore di giovani e vecchi.
L’unica ricetta vera parte dalla radice più profonda dell’uomo che è la sua invincibile libertà. Oggi in Sardegna i modelli educativi sono di imitazione, di tragica ricerca del riconoscimento e dell’identificazione nei modelli dell’uomo forte, dell’uomo vincente, qualunque sia la sua targa politica, qualunque sia la sua storia, qualunque sia la sua affidabilità.
Tutto pur di stare con chi vince e comanda; si danno pugni e coltellate come in un film perché si vive come personaggi e non come persone.
Vorrei resistere a questo scempio, resistere con la vita, con l’esercizio quotidiano dell’onestà e della giustizia, con l’insegnamento di ciò che so e del perché vivo come vivo. Noi possiamo resistere se decidiamo di non avere paura e di non stare comodi. Ma se non lo facciamo tutti insieme, anche i migliori cercheranno un campo in cui ritirarsi a perdersi nell’universo dell’interiorità, l’unico e sacro luogo dove nessuna violenza può entrare, dove nessun potere può agire, dove nessuna malattia può aggredire.