La recente nota di Tore Cherchi, nella sua veste di rappresentante del Ministero dello Sviluppo economico per l’attuazione del Piano Sulcis, ha messo in evidenza, se mai ce ne fosse bisogno, il pericolo reale che questa iniziativa, così come si sta sviluppando, rischi di trasformarsi in una delle ennesime incompiute. Senza entrare nel merito delle ragioni di questo stallo, che ha comunque dei responsabili che dovrebbero rispondere del loro operato, è arrivato il momento in cui occorre fare il punto preciso della situazione, soprattutto riguardo le diverse competenze degli enti, forse troppo numerosi, coinvolti nell’operazione.
La ripartizione di “pezzi” di Piano Sulcis tra governo centrale italiano, Regione, Comuni e altri soggetti agevola la deresponsabilizzazione, e aumenta l’impressione, soprattutto nelle amministrazioni comunali, di essere solo una ruota in un ingranaggio senza motore; avere competenze ma non poter mettere in campo le risorse per attuarle crea una frustrazione continua, che non aiuta nel portare a termine quanto affidato. Lo stato di immobilismo che caratterizza i livelli più alti della macchina attuativa si riverbera, a cascata, su tutti gli altri soggetti. Quello che sembra più difficile, ad oggi, è proprio avere un quadro preciso degli snodi burocratici che bloccano il processo, l’unico modo per rendere conto a chi, anche senza la precisa volontà di remare contro, non sta evidentemente svolgendo il proprio lavoro. Unica nota positiva, la Zona Franca Urbana, la cui attuazione, non a caso, era in capo ad un unico ente, e che ha beneficiato numerosi imprenditori del territorio tra cui, per inciso, molti di quelli che irridevano la misura e che erano disposti a liquidarla per rincorrere altre fole ed amenità.
Il paradosso, a mesi di distanza, è che sembra che i veri destinatari del Piano, ossia cittadini, lavoratori ed imprese del territorio, siano rimasti totalmente esclusi da ogni processo decisionale, ed anche le competenze effettive degli amministratori locali siano sostanzialmente residuali. Il caso più eclatante, che lascia davvero l’amaro in bocca, è il bando 99ideas, in cui è stato chiaro che non è stata neanche presa in considerazione la possibilità per le imprese e gli amministratori del territorio di determinare il proprio percorso di sviluppo, perché le loro esigenze sarebbero state soddisfatte solo grazie al fondamentale apporto di un deus ex machina “internazionale”.
Sarebbe forse il caso, invece, di cambiare completamente la prospettiva del Piano Sulcis, ed affidarne in toto l’applicazione, magari sotto la supervisione di una regia unica espressa dalla Regione, proprio agli enti locali, che sarebbero spinti ad una rapida attuazione da pressioni dal basso che potrebbero facilmente verificare lo stato di attuazione delle singole misure, e per evitare il proverbiale “manca solo un timbro” che domina minaccioso su qualsiasi provvedimento che coinvolga i ministeri centrali. Una bella iniezione di sovranismo, in cui ognuno si assume le proprie responsabilità e ne risponde direttamente all’unico datore di lavoro che la politica dovrebbe riconoscere: il cittadino. Oppure, come proposto da qualcuno, possiamo affidare la gestione ad un commissario, nella migliore tradizione sulcitana. Il modo più efficace, e lo vediamo da anni, per poter continuare a fregiarci del prestigioso titolo di “Provincia più povera d’Italia”.
Luca Sarriu – Coordinatore provinciale del Partito dei Sardi per il Sulcis Iglesiente