Ricevo molte sollecitazioni a darmi da fare per riconvocare tutte le forze politiche che il 7 luglio scorso si impegnarono per dar vita a una larga coalizione contro il centrodestra sardo, nella sua formazione attuale al governo della Regione.
Premesso che io feci solo una piccola parte del lavoro necessario alla buona riuscita di quella riunione e che le forze politiche partecipanti non furono convocate da nessuno, ma decisero autonomamente, e dialogando tra loro, di provare a produrre un primo momento di contatto, io non penso che sia il momento di un nuovo incontro. Ancora le tensioni successive alle elezioni politiche italiane non sono spente e si sono aperte vere e proprie competizioni tra alcune delle forze oggi all’opposizione nel Consiglio regionale della Sardegna. Se c’è una cosa che è necessaria per fare coalizioni forti questa è la pazienza e il rispetto dei tempi altrui.
C’è comunque un elemento molto nocivo in circolazione: la riproduzione tal quale del sistema politico nazionale italiano. Ai tempi della Guerra Fredda, Democristiani, Socialisti e Comunisti sardi provarono, ben prima della concezione e realizzazione del compromesso storico, a giustificare una loro collaborazione di governo in nome della specialità sarda. La chiamarono ‘unità autonomistica’. Fu un primo tentativo, abortito, di far valere più i vincoli sociali e culturali interni che quelli derivati dal sistema partitico italiano. Tuttavia, in quegli anni, a Sinistra, e non a Destra, il dibattito sul contenuto culturale e sociale, prima che istituzionale, dell’Autonomia, fu intenso e consistente. Oggi se c’è una realtà in crisi nei partiti italiani della Sinistra Sarda è proprio l’autonomismo e infatti non esiste una politica della ‘differenza sarda’ in questi partiti.
Questo vuoto culturale, che è un grandissimo e sbagliato oblio, oggi trasferisce tal quale in Sardegna la competizione tra i Cinquestelle e il PD e tra i Cinquestelle, il Pd e Renzi e Calenda. O si disinnesca questo automatismo o si rischia veramente tanto. Per farlo, conta più un serio recupero culturale e un serio confronto sul significato della specificità nazionale sarda che non ha l’obbligo di arrivare all’unanimismo, ma ha il dovere di riaprire una stagione di pensiero politico annichilita dall’ipertatticismo delle ultime competizioni elettorali. C’è da lavorare.
Un altro rischio è pensare di candidare alla presidenza da subito figure prestigiose dei singoli partiti.
Sarebbe un gravissimo errore al pari di quello di aderire alla costruzione di una coalizione con lo schema mentale di parteciparvi se si esprime l’apicale e di romperla se questo non accade. È evidente che, date le tensioni che si riverberano in Sardegna fra i partiti italiani di Sardegna, prudenza richiede che nessuno rivendichi la presidenza e che questa sia frutto di un percorso comune che porti tutti a non sentirsi sconfitti dal prevalere di una forza sull’altra. Le alleanze sono fondate più sull’equilibrio che sull’ambizione. Ricordiamolo.
È libero solo chi non deve restituire favori. Chi lo è realmente, o può sperare di esserlo, in sistemi profondamente clientelari? Il sistema della DC è ora di tutti.
E’ pura fantasia pensare a una chiamata generale alla don Sturzo e radunare quelli che i sacerdote di Caltagirore chiamava “uomini liberi e forti”. Perché non esistono gli uomini e i partiti che sollevarono l’Italia dallo sfascio del fascismo. Chi ha memoria storica quel tentativo di fare della politica regionale sarda una sorta di laboratorio che sarebbe servito come prova generale per il compromesso storico nazionale, era legato a due fattori credo essenziali .
Uno la regione non funzionava più, poiché le crisi del governo sardo si succedevano ad ogni colpo di tosse e i presidenti della giunta si alternavano come allenatori di calco a digiuno di risultati. Mentre oggi di fatto i presidenti restano in sella solo perché favoriti da da un sistema elettorale che premia la stabilità ma che paralizza il sistema, e nessuno va a casa perché tutti tengono famiglia e scadenze mensili.
Due: fare un paragone fra gli attore degli anni settanta e i politici di oggi, sarebbe impietoso..
Quelli di allora sono stati i fautori del piano di rinascita, della rivoluzione bianca, della rivoluzione dei giovani turchi. Si sta parlando di Cossiga, Dettori, Giagu, Soddu, Del Rio, Carrus, Columbu, Dessanay Corrias, Ghinami, i gian burrasca nuoresi… i protagonisti di oggi, negli anni 70 avrebbero avuto difficoltà a farsi eleggere consiglieri comunali nel propri paese.
Penso che sia questa la ragione per cui sia impossibile trasferire questa Sardegna a quella di “si stava meglio quando si stava peggio”.
Il tempo sta scadendo, siamo noi che dobbiamo credere cha possa esserci un futuro migliore.
Questa sede è pronta per indicare la direzione e aprire la nuova via.
Chi meglio ?
Nell’ultima parte del tuo intervento ” confronto sul significato della specificità nazionale sarda che non ha l’obbligo di arrivare all’unanimismo, ma ha il dovere di riaprire una stagione di pensiero politico annichilita dall’ipertatticismo delle ultime competizioni elettorali. ” nelle ultime elezioni regionali TU ponesti il tema della NAZIONE SARDA per la
possibile alleanza con i partiti italiani. bene la risposta fu tutta basata su fatti personali e dicerie. Chiaramente negativa. In questi giorni il PD si prepara alle primarie ma anche alla propria rifondazione. Non ho visto o letto di qualcuno che ponga i temi del sardismo, che poi non è altro che quello della NAZIONE SARDA. Quale occasione per definirsi PD di Sardegna federato con il partito italiano/europeo. Non vogliono sentire niente, allora si impicchino alle loro battaglie di solo potere ed ai loro egoismi personali.
Si no l’agabbant, si no la finint de s’infognare in sa política de sos partidos italianos pro contos miseràbbiles de “segamigasu”, pro unu míseru profetu e aprofitamentu personale ma a infognamentu colletivu, siat puru cun sos menzus bonos propósitos, prus de sighire a andhare innoromala, isperdindhennoche in donzu sensu, zente e logu, no amus a fàghere nudh’àteru.
Amus a èssere solu “sardi prezzolati”, “venales” àter’e che a su tempus de cussu limbimalu faularzu de Cicerone, medidos mancari no a prammos ma a éuros, merce bona pro totu sos muntonarzos, tantu totu est a comporare e bèndhere e fuliare ammuntonendhe a muntonarzu o ricicladu a irvilupu illimitadu infinidu e macu, e chentza mancu nos catzare sos bisonzos prus apretosos.
Si no faghimus unu mínimu de unione fora de sos partidos italianos semus solu vigliacos, balentes in vigliacheria e barra, zente de baeinnoromala, andhendhe e mandhendhe innoromala.