Il Presidente del Consiglio Regionale scrive ai parlamentari sardi, il 14 di febbraio, perché intervengano ad emendare l’articolo 31 del decreto legge “milleproroghe” approvato ieri alla Camera con voto di fiducia. Il voto di fiducia significa che il provvedimento è stato inemendabile nel testo pervenuto alle Camere dalle Commissioni di merito.
Perché il Presidente Pais scrive, il 14 febbraio, fuori tempo massimo, inutilmente?
Intanto perché la “Commissione speciale per il riconoscimento del principio di insularità” del Consiglio Regionale lo sollecita a farlo, e poi perché appare evidente l’incongruenza giuridica e finanziaria di quell’articolo 31, che ha una radice colpevole nell’accordo sulle entrate chiuso dall’attuale Giunta.
Il Parlamento – ai fini dei lavori legislativi, e grazie a funzionari di grande qualità selezionati con modalità severe e rispettose delle leggi – predispone schede di lettura sulle disposizioni in esame per consentire ai legislatori di approvare norme legittime costituzionalmente, comprensibili ai cittadini e, soprattutto, utili a risolvere problemi e non ad aggravarli.
In quelle schede si evidenzia che l’articolo 31 del “milleproroghe” concerne un contributo di 15 milioni di euro, attribuito alla regione Sardegna dall’articolo 1, comma 851, della legge di bilancio 2018, come acconto nelle more della definizione del contenzioso pregresso tra lo Stato e la Regione in materia di entrate tributarie. La Corte costituzionale con la sentenza n. 6 del 2019 è intervenuta a sanzionare il predetto comma 851 per inadeguatezza dell’importo.
Lo fa, chiariscono quelle stesse schede, perché “ a giudizio della Corte vi è – nella norma censurata – una evidente incoerenza tra la finalità perseguita e le risorse stanziate; lo Stato per il triennio 2018-2020 nelle more della definizione dell’accordo di finanza pubblica, non riconosce alla Regione Autonoma Sarda adeguate risorse necessarie all’attuazione della sentenza n. 77 del 2015, che ha stabilito l’obbligo per lo Stato di provvedere alla perequazione delle criticità insulari ed allo stanziamento di somme adeguate per farvi fronte”.
Cosa è successo nel frattempo di così rilevante da riproporre lo stesso importo di 15 milioni, già censurato dalla Corte? Semplice. L’articolo 31, (chiariscono le schede), finalizza l’acconto alla realizzazione del punto 10 dell’accordo Stato-Regione, sottoscritto il 7 novembre 2019, per la definizione del contenzioso in materia di entrate tributarie.
Oggi i 15 milioni di acconto sarebbero legittimi, perché “quanto stabilito al punto 10 dell’accordo, enuncia che si intendono attuate le sentenze della Corte costituzionale n. 77 del 2015, n. 154 del 2017 e n. 10 del 2018 nelle quali viene esplicitato il principio di leale collaborazione che regola i rapporti tra lo Stato e le autonomie speciali, nonché la già citata sentenza n. 6 del 2019, con la quale la Corte ribadisce la necessità di arrivare ad una ridefinizione delle relazioni finanziarie tra lo Stato e la regione Sardegna.”
La novità è quindi la rinuncia della Giunta agli effetti positivi delle sentenze dell’Alta Corte.
Vale la pena evidenziare: 1) che il Consiglio regionale chiedendo l’intervento emendativo ai parlamentari sardi non la pensa come la Giunta; 2) che appare giuridicamente acrobatica la pretesa di soddisfare le sentenze della Corte Costituzionale con la decisione di rinunciare ai loro positivi effetti della censura ai comportamenti dello Stato.
Eppure – dicono le schede – in sostanza la giurisprudenza citata interviene in quella che è stata definita la ‘vertenza entrate’, ossia il mancato adeguamento delle entrate erariali alle modifiche statutarie che hanno attribuito alla regione, a decorrere dal 2010, i nove decimi dell’IVA e i sette decimi di tutte le entrate erariali dirette o indirette.
Ora, in forza dell’accordo del 7 novembre, nulla più ha da pretendere la Regione Sarda sulla mancata applicazione dell’articolo 8 dello Statuto.
Una resa incondizionata a fronte di stanziamenti per opere pubbliche e per il sistema sanitario, per un importo annuo di poco più di 100 milioni, dilazionati in 14 anni e di cui non è dimostrato il carattere aggiuntivo e neppure garantito il trasferimento alla contabilità regionale. Una resa incondizionata a fronte di una miserabile elemosina (10 milioni) per il funzionamento delle Province, ancora formalmente in vita e formalmente responsabili di ambiente, viabilità e istruzione. Province sarde da sempre escluse dagli stanziamenti statali e che vantano crediti per 65 milioni annui più arretrati. Una resa incondizionata a fronte della esclusione sistematica della Sardegna dai programmi sanitari nazionali perché con l’articolo 8 dello Statuto (quello non attuato) il carico è sul bilancio regionale.
I prossimi bilanci regionali saranno solo scritture contabili per il mantenimento del livello delle spese correnti, qualche mancia agli amici, niente politiche di sviluppo strutturale. Perché la massa manovrabile del Bilancio è esigua.
Rattrista la roboante enfasi che ha salutato un accordo dannoso per la finanza regionale. Rattrista la mortificazione delle battaglie fatte sulle Entrate per porre la Sardegna in una condizione di parità con le altre regioni autonome e nella trattativa con lo Stato. Rattrista, soprattutto, la cultura della genuflessione interessata, quella che premia la politica della mediocrità.
Si totu s’iscopu de custa legisladura est de mandhare malepeus sa Sardigna e sos Sardos innoromala andhat bene berbeghes e àinos: cussas badhinosas, custos a órrios de cuntentesa, e za ndhe tenimus a bamas intreas e a trumas mannas!
Nos at a sarbare unu “filo d’orbace” (regalu de Christian Solinas a sa bonànima de Mario Melis) o at a èssere prus forte sa fune de s’impicu chi nos muntenet impicados?
Avete pubblicato una pecora in testa all’articolo, avreste dovuto pubblicare una mandria di A(Omissis)I, sarebbe stato più signicativo.