Se c’è una costante nella storia della libertà mancata della Sardegna questo è il mancato controllo dei mari. Per un’isola è fatale. Il Porto canale di Cagliari è drammaticamente in crisi per due motivi: il primo è l’obsolescenza della sua dotazione tecnologica. Oggi il porto di Tangeri è più o meno allo stesso livello, ma Gioia Tauro no, è un porto molto più avanzato. Il secondo è che Cagliari è pur sempre il porto di un’isola senza alcun potere su se stessa né sul mare, senza relazioni politiche spese e spendibili nel Mediterraneo, senza politiche autonome sui trasporti e sul fisco, sulla manifattura e sul commercio, la quale offre alla navi solo i pochi vantaggi degli scambi necessari ai suoi consumi. Ecco com’è dunque la Sardegna vista dal mare: non uno Stato, non un partner, non un rifugio vantaggioso, non una tappa in un sistema; no, la Sardegna è banalmente un approdo tra tanti e Cagliari, nata dal mare e per il mare, oggi vive del suo privilegio urbano svuotando di ricchezze l’interno dell’isola, come sancito dai privilegi regi che affondano le loro radici nel XIV secolo.
Come affrontare una questione così imponente senza un pensiero altrettanto grande e articolato? Impossibile. Invece la si affronterà al solito modo: poiché nessun privato investirà per l’ammodernamento tecnologico del porto, se ne farà carico la Regione. Tra decisione, stanziamento, bando e attuazione, passeranno dai quattro ai sette anni e il mondo sarà cambiato tre volte. Nel frattempo si chiederà in qualche modo all’Italia uno straccio di elemosina che nasconda la tragedia; cioè si chiederà uno scampolo di traffici, qualcosa di derivazione eminentemente politica e non di mercato per poter dire che si è fatto qualcosa. Dietro ogni vicenda sarda c’è sempre l’adeguatezza o inadeguatezza del pensiero alla grandezza della realtà.
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Mi allegro de Sardigna e Libbertade, e de su chi che apo lézidu. De sos Sardos no meda, antzis pagu, ma solu ca tenimus cambiamentos mannos de fàghere cun fide, isperàntzia e caridade in, cun e pro nois etotu e pro totu sos àteros, coment’e zente in su mundhu e cun ànimos bonos.
A S.e L. sos menzus augúrios chi fato a mie etotu.