di Paolo Maninchedda
Primo concetto da avere ben chiaro in testa: l’Italia è controparte della Sardegna. Ciò non significa che sia un’avversaria, ma è certamente controparte.
Se si è consapevoli di questo, bisogna già prepararsi a capire come competere con Roma.
Che farà Renzi?
Cercherà di riformare lo Stato italiano mettendosi d’accordo con Berlusconi: non può fare diversamente se vuole produrre risultati profondi e duraturi. In cambio del via libera su lavoro, burocrazia e Pubblica Amministrazione, Berlusconi gli chiederà una riforma strutturale della Giustizia e il suo salvacondotto per una pensione all’aria aperta e non dentro quattro mura.
Dove troverà i soldi Renzi per rilanciare lo sviluppo? Se vuole abbassare le tasse sul lavoro e contemporaneamente riportare in pareggio gli istituti previdenziali che pagano le pensioni, deve ridurre i costi fissi dello Stato e proporzionalmente ridurre la tassazione del lavoro; deve aprire un conflitto non semplice con i sindacati su contratti nazionali, costo del lavoro e potere d’acquisto dei salari; deve poter sostenere la rete delle imprese italiane senza che la magistratura gli apra un’inchiesta al giorno per ogni impresa che aiuta; deve inevitabilmente ripensare il rapporto con le banche; deve cercare di capire perché la Francia e la Germania hanno ancora le Partecipazioni statali, efficienti e funzionanti, e l’Italia pensa di venderne anche l’ultimo residuo; deve essere sempre convincente all’estero, se non vorrà essere travolto dal costo degli interessi del finanziamento del debito pubblico attraverso i titoli di stato.
In questo quadro per Renzi la Sardegna sarà una cosa seria se il Presidente della Regione sarà una persona seria e competente; sarà res nullius se invece il Presidente dovesse essere del tipo tutto adrenalico in Sardegna e tutto pannolone e lacrimucce a Roma. Francesco è una perosna seria; noi del Partito dei Sardi prima di piangere con gli italiani, ci facciamo seccare le ghiandole lacrimali.
In Francia insegnano ai bambini una filastrocca antipatica per noi sardi, che si intitola Le roi de Sardaigne, ma è riferita ai piemontesi. Racconta la vicenda del re di Sardegna (il piccolo re di Sardegna) che faceva paura a tutti nel suo regno e che decise di andare alla guerra con il suo esercito di 80 contadini e dieci cannoni di ferro bianco. Ra ta plan, ra ta plan, il re di Sardegna va alla guerra, sale su un altura e per la prima volta vede che il mondo è veramente grande; e che fa? Se ne scappa a gambe levate e poi finisce (male) sul fondo di un fiume. Sostituite il re con uno dei tanti presidenti di Regione che abbiamo avuto e sapete che cosa non si deve fare: non bisogna eleggere gradassi smargiassi in patria e praticoni del passo a bint’ungias (come dicono a Cagliari) all’estero, ra ta plan ra ta plan.
Comment on “Il passo a bint’ungias”
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Molto chiaro come sempre… e non da oggi!
Ancora dubbi?