Oggi è in edicola il nuovo libro di Alessandro Sallusti e Luca Palamara: Lobby & logge. Le cupole occulte che controllano «il sistema» e divorano l’Italia. Su carta, 19 euro, in ebook 11.
Io l’ho letto in formato elettronico in una lunga notte insonne.
Mi è rivenuto in mente il figlio di Moro, Giovanni, il quale in un’intervista da Fazio disse che la verità non è una successione dei fatti, ma il racconto dei fatti, cioè la loro comprensione.
Questo libro è utilissimo per capire molti fatti recenti che sono noti, anzi notissimi, ma non compresi.
Ci sono notizie già agli atti delle inchieste ma censurate dalla stampa (per esempio, i contatti tra Palamara, Lotti e il Quirinale); ci sono connessioni inedite tra i poteri dello Stato e la caduta di Berlusconi, ci sono notizie sul modo con cui la magistratura ha scannato Palamara per non modificare nulla di sé, per lasciare intonso il sistema del suo potere (fa capolino in modo drammatico anche la vicenda dell’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia). Insomma è un libro da leggere, da parte dei cittadini curiosi e da parte degli storici.
Si può imparare come i Servizi e gli apparati usino gli organi di stampa, i quali si prestano a essere usati, anche le reti Rai, per mancanza assoluta di verifica delel fonti e del perché certe notizie arrivano in un determinato momento e non in un altro (certe trasmissioni d’inchiesta e certi quotidiani si confermano essere banali diffusori pubblici dei veleni di Stato, perché qunado un’intercettazione che non riguarda il reato contestato in un’indagine viene aggiunta all’ultimo momento nei fascicoli del rinvio a giudizio – è successo anche a me con simpaticissimi magistrati amici di politici, anzi tifosi di politici miei avversari – un giornalista dovrebbe farsi qualche domanda prima di farsi strumento del linciaggio.
C’è anche un passaggio sulla P3/P4 e la Sardegna, utile a capire che non bisogna mai confondere le logge con le lobby politiche, ma questa è un’altra storia.
Il capitolo sulla guerra tra Renzi e un pezzo dei poteri dello Stato è illuminante. Palamara la iscrive, credo immolandosi a Sallusti, nel quadro della lotta di Renzi al potere sopravvissuto di una parte del Pci, ma mi pare una grandissima cazzata. Fu invece una lotta tra i poteri invisibili dello Stato, ma reali, e un nuovo potere politico.
Le pagine agghiaccianti riguardano le nomine ai vertici della Guardia di Finanza. Renzi diviene Presidente del Consiglio e capisce subito che se avesse fatto politica con i vertici dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e dei Servizi segreti ostili o comunque non alleati avrebbe avuto vita difficile. Qui sta il primo punto. Ciò che Palamara dice che Renzi avrebbe intuito subito, Cossiga lo aveva raccontato in più di un’occasione e Moro, la grande vittima di Stato della Dc e del Pci, lo aveva confermato in parole e, ahimè, opere. Ho avuto personalmente la fortuna di dialogare con tanti parlamentari italiani. Ebbene, a parte uno, che è stato immancabilmente ucciso politicamente, e un altro, cha ha avuto l’intelligenza di non prestarsi e di non negoziare, ma semplicemente di farsi da parte, tutti quelli che hanno fatto carriera hanno rispettato la regola di rispettare il potere, illegittimo, anticostituzionale ma reale, di questi apparati. I parlamentari subordinati mi hanno sempre fatto un po’ di senso.
Fatto è che Renzi per i Carabinieri punta su Tullio del Sette e in Toscana su Saltalamacchia, perché sa perfettamente che è il fianco ‘locale’ il più esposto per gli uomini politici, quello più vulnerabile a indagini ad hoc. Poi si dedica ai servizi e alla Guardia di Finanza. Comandante della Guardia di Finanza è il generale Capolupo, che scade nel 2016 e spera in una proroga. Renzi, invece, nomina Toschi, preferendolo a Luciano Carta “il quale viene individuato come numero tre dei servizi segreti, in uno stato d’animo, diciamo così, non proprio riconoscente nei confronti del premier”.
Da qui sarebbe iniziata la guerra, secondo Palamara, e la guerra passa subito per la comparsa in atti giudiziari di una lunga intercettazione tra Renzi e il generale Adinolfi, che era il vero candidato di Renzi per la GdF, registrata cinque anni prima, di nessuna rilevanza penale, e, badate bene, registrata in un’indagine lontanissima dalla capitale.
Renzi comincia a ballare e inizia la guerra che porterà alle indagini sulla Fondazione Open e alla ripresa di un’insegnate che passa per caso in un Autogrill e riprende Renzi che parla con lo 007 Mancini. Forse adesso si capisce perché è opportuno che il Capo dei servizi Segreti non divenga mai Presidente della Repubblica e quanto sia un vero imbecille chi pensa il contrario.
Qui mi fermo per invogliarvi a leggere e a capire che le mani invisibili della storia italiana in questo libro finalmente vengono profilate. Leggerlo è utile per imparare a difendersi e per sentirsi lontani e avversari con tutto il cuore di alcuni presunti servitori dello Stato.
La GdF dovrebbe essere indipendente dal potere. Perché mai un politico dovrebbe avere i suoi candidati? Ho l’impressione che tutto sia più ampio. Uno schema applicato in molti ambiti. Sanità? Università? Che altro ancora? Su questo si deve meditare. Il marcio è ovunque.
L’intelligenza, la capacità di discernere, la sapienza.
Lo leggerò con una domanda, caro Paolo: e se il libro fosse esso stesso un ennesimo strumento di quella guerra? Quali strumenti abbiamo, oltre una generica fiducia, per discernere ciò che è vero dal falso?
Grazie per il suggerimento.