Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Con parola presa in prestito dall’inglese si chiama mobbing. Si tratta di un fenomeno d’interesse per i sociologi, soprattutto per coloro che studiano le dinamiche di gruppo, e da un po’ discusso nelle aule di tribunale. È descrivibile come insieme di comportamenti aggressivi e persecutori posti in essere sul luogo di lavoro al fine di colpire ed emarginare la persona che ne è vittima. Può essere di tipo verticale o orizzontale (capo verso sottoposto, sottoposti verso capo, o colleghi verso collega). È facile vederne le somiglianze con il bullying, di ambito sociale, scolastico e familiare, e con il nonnismo, che il caso Scieri, finalmente verso una risoluzione giudiziaria che dissipa decenni di omertoso silenzio, ha fatto ricordare.
La somma di azioni e parole rubricabile con ognuna delle tre etichette lascia talvolta ferite fisiche, sempre malessere psichico che può sfociare anche nella ricerca dell’annientamento di sé della vittima, non tanto per senso di colpa, quanto per sottrarsi all’azione persecutoria e delegittimante di altri, spesso (ed è il caso più doloroso) falsi amici.
Esistono delle cause scatenanti del mobbing. Ha luogo in ambiti di governo aziendale o del lavoro estremamente verticistici, per lo più quando è in corso un riassetto o riduzione dell’organico. La legge protegge, sempre meno a dire il vero, il lavoratore, e, quindi, il suo posto è difficilmente ri-occupabile, a meno che non si licenzi, non manifesti atteggiamenti e comportamenti non consoni, non assolva in modo corretto e puntuale alle mansioni di sua competenza, chieda il pensionamento anticipato, si suicidi. Il mobbing è volto, appunto, a favorire la realizzazione di una di queste variabili nel breve o nel lungo periodo.
La persona mobbizzata non è un debole, anzi: non si piega al sopruso. Ha capacità tali che lo mettono in evidenza, e se non si ricorresse al mobbing, farebbero sì che avesse il riconoscimento che merita. I mobbers devono delegittimarlo, isolarlo, porlo in difficoltà. La maggior parte dei mobbers sono uomini e hanno in prevalenza come vittime donne. Tuttavia, le azioni e tattiche che attuano sono in genere considerate prerogativa delle donne: pettegolezzo, prima di tutto. In questi casi la vittima non è generalmente presente. Se sente, sente di straforo e resta sorpresa. Se cerca di smentire, la si irride come persona paranoica. In altri casi il mobbizzato è presente, deve esserlo perché si mira ad ottenere una reazione emotiva di difesa che possa concorrere a creare nei colleghi tutti la conferma di ciò che di lui o lei si dice. Lo si critica apertamente, si ride mentre parla, si commenta con disapprovazione, si salta il suo turno quando si sta discutendo, non gli si dà la parola, si presenta il suo lavoro come proprio, si evita che possa esporre i dati che comprovano il suo valore sul lavoro … I colleghi sono diventati spettatori del mobbing. Nella maggior parte dei casi non intervengono e divengono a loro volta mobbers. La vittima ne è sconvolta: spesso sono persone a lei inferiori in grado e competenze. Il mobbizzato è diventato senza sapere perché e percome un invisibile (letteralmente non lo vedono), i gruppi si sciolgono quando lo vedono arrivare, le sue frasi di buona educazione o di pura richiesta di informazione, sono ripetute fuori contesto a creare ‘prova’ della sua paranoia.
Il caso della giornalista Mondini della RAI è giunto alle cronache. Da quel (poco) che si sa, la Mondini rientra nei casi classici qui riportati: un avvio di carriera, cui segue il demansionamento, l’isolamento, e la delegittimazione. In tutto questo, noi siamo spettatori, in primis i giornalisti, trasformatisi in mobbers. Posta in un angolino la notizia vera, sulla quale riflettere, chiedere ristabilimento di condizioni vivibili all’interno dell’azienda, l’informazione in primo piano è risultata la flatulenza da cui era/è affetto il collega coabitante nell’ufficio della Mondini. Un esempio di un’informazione malsana che pone in ridicolo la poveretta (ha detto qualcosa di inopportuno, ma pensa di cosa si lamenta!) ed anche, a dir la verità, l’altro, forse (e sottolineo forse) responsabile di un reato ben più concreto, cioè fare le scarpe alla sua collega concorrente, mobbizzandola, appunto, e chiedendo favori a chi può influenzare la sua carriera.
Non posso che essere d’accordo, il commento di Manolo è la fotografia fedele che ritrae la stessa situazione da me subita per oltre 10 mesi in ambiente lavorativo. Bisogna avere il coraggio di denunciare apertamente questi fatti lesivi e ingiusti anche quando questi si verificano in ambiti di Presidenza e investono personaggi politici squallidi. Persone disturbate con problemi esistenziali, bugiardi e allo stesso lucidamente cattivi ed appartenenti al mondo ” Massonico ” e al vizio……..d’altronde a loro tutto e permesso.
È un fenomeno che tristemente dilaga anche negli ambiti più impensabili, si accresce con la presenza di personaggi appartenenti a caste di tipo Massonico e produce i suoi effetti distruttivi. In questi ultimi anni si è diffuso anche negli ambiti della Pubblica Amministrazione con il ritorno di sordidi personaggi.
Alcuni di questi in duplice veste e anche smascherati pubblicamente, continuano ad incidere con lucida cattiveria tipica di chi non ha né famiglia né valori.
Purtroppo succede in tantissimi posti di lavoro