Oggi, 16 ottobre 2023, ricorre l’ottantesimo anniversario del rastrellamento dei nazisti nel ghetto di Roma. Duemilanovantuno persone vennero deportate nei campi di sterminio di Auschwitz, Buchenlwald e Dachau . Tornarono a casa in 101; nessuno dei 281 bambini rapiti.
In diversi quotidiani non si manca di ricordare che a guidare le SS furono degli italiani, animati da quella invidia sociale che è il vero veleno di ogni vicinanza.
Walter Veltroni firma su La Repubblica in edicola uno degli articoli più belli su questa ricorrenza e cita una delle frasi che ha segnato, insieme all’esordio del Vangelo di S. Giovanni (vera rivelazione della natura del reale), tutta la mia vita: “Ognuno di noi deve raccogliersi e distruggere in se stesso ciò per cui ritiene di dover distruggere gli altri”.
Ho smascherato il mio nemico interno precocemente, verso i 13 anni. Mi rifilò subdolamente un tiro mancino. Per i miei amici avevamo fatto una marachella molto veniale, per me vedemmo in faccia il male assoluto.
Da allora lo combatto. Abbiamo una partita a scacchi in corso da tempo, che ricorda molto quella del cavaliere con la morte del Settimo sigillo di Bergman.
Ne conosco il cuore più nero e le maschere più splendenti.
Il potere lo nutre. L’invidia è il suo veleno (l’invida ha falciato le povere persone del ghetto, le cui voci, se si tace, si possono ancora sentire). Per l’invidia, con me, gli è andata male. Non sono cosa sia. Ha provato con la superbia. L’ho cancarato in un modo che ancora lo affligge: ogni volta che conquistavo qualcosa, appena giunto al vertice, mi adoperavo per criticarlo e perderlo, per ricominciare. Gli altri mi dicevano pazzo, io mi sono sempre sentito sano. Mi butto costantemente nella polvere più bassa per impedire a lui di appestarmi.
Lui ama la violenza. Il male è sadico. Io ne ho un profondissimo disgusto. Forse in un’altra vita ho visto troppo sangue. Da bambino avevo un incubo ricorrente: una landa brulla, al tramonto, piena di corpi trafitti, che di improvviso si trasformava in una stanza con le pareti sporche di sangue. Mio padre mi disse che avevo visto un film scioccante; ma allora la tv non proiettava questo genere di film. Mi pare di avere memoria della peggiore brutalità umana, di Alessandro che rade al suolo Tebe, di Cesare che decima la sua legione rompendo la colonna vertebrale e il costato ai sorteggiati, e, soprattutto, di Hitler che sevizia, uccide, distrugge.
La mia insegnante di italiano delle scuole medie mi fece leggere Se questo è un uomo. Fu uno shock. Lui si dimenò, provò a farmi annoiare, a distrarmi, a corrompermi, ma io lo lessi tutto e scelsi per sempre di essere ebreo, non sionista, ma ebreo, armeno, nero, palestinese, uiguro, apache, sardo, di essere contro chiunque ci voglia omologati. Scelsi per sempre la minoranza, il cristianesimo eroico e non liturgico, la politica come missione e non come calcolo (per questa ultima scelta, i miei amici mi vogliono bene, ma anche mi contestano). Scelsi di aborrire il mio male, di combatterlo. Lo portai alla guerra di posizione e gli impedii di tormentarmi con la guerriglia. Io nasconderei ebrei in casa mia e lo farei per qualsiasi perseguitato. Non posso più tornare indietro: sto con chi apparentemente perde. Lui soffre.
Il piacere lo tormenta, perché da un lato è uno strumento che usa per distrarmi, dall’altro sa che io interpreto misticamente il piacere e quindi lui se lo ritrova col segno invertito, come porta per lo spirito. Da ragazzo ebbi un amore breve e intenso con una donna che poi si fece suora. Si faceva l’amore e poi lei mi leggeva, col suo accento, bellissimo, andaluso, Qué queréis hacer de mí, di Teresa d’Avila. Lui soffriva fino a morire. Ogni tanto gliela faccio risentire su Youtube per farlo crepare. Il mio matrimonio lo annienta. Mia moglie è una luce che lo abbaglia, una coscienza di quelle che non si trovano più; un impianto protestante, su un vestito cattolico e un cuore sardo, solido, basaltico, dolcissimo con me e impenetrabile per altri. Lui schianta. Lui capisce che ogni donna può essere ipostasi dell’immagine cristiana della Madonna che col gesto lieve del calcagno schiaccia la testa al demonio. La salvezza è passata e continua a passare per le donne.
Il mio nemico è un trasformista: prende le forme dei miei vizi e tende a legittimarli. Un gran figlio di puttana. Però col tempo fa fatica a cambiarsi, a mutare maschera; lo trovo infiacchito, stanco, sa che lo conosco e che lo sto soffocando. Morirà lui prima di me.
Ad Angelo,
tanto minuscolo è il Suo desìo che prontamente lo esaudisco:
MANINCHEDDA
Ho poca dimestichezza con internet,a volte trascrive a suo piacimento.
Così come mi scuso col Professore quando scrive del cuore della sua amata Boudicca;non basilico ma basalto.
Grazie.
signor Alessandro, esaudisca un mio infinitesimale desìo: ManiNchedda
Signor Manichedda,
leggo quanto scrive nel raccontare quel che Lei chiama “nemico” interno.
Se tanto la consola, sappi che non è solo,non è un nemico;
fa parte della nostra natura,anzi, una volta riconosciuto gli si dà il benvenuto per meglio conoscerlo, per meglio sconfiggerlo. E qui,in questi frangenti, per chi ne percepisce il male e ne ha le doti per contrastarlo che si manifesta
” il cuore sardo, solido, basaltico”
In tutti noi, nel nostro Divenire sempre ci accompagna il diverbio, il chiacchiericcio interno del sé è del ma.
Signor Manichedda,
si augura che anzitempo che Thanatos ghermisca le Sue membra sarà “Lui”, il nemico interno a soccombere per primo; qual Vessilo di Vittoria da portare al di là del muro del baratro della Morte che ci attende.
Quanta illusione! Quanti buoni propositi. Tanto non è.
Sciocco è addentrarsi in quesiti mai risolti.
” il mio nemico è un trasformista :prende le forme dei miei vizi e tende a leggittimarli”
“non è infiacchito, stanco,…”
Nel Suo scrivere v’è la risposta al Suo dissìdio.
Le persone Valorose da sempre hanno incubi ricorrenti a legittimare quel ch’è si ritiene giusto, o sbagliato.
Non dimentichi la fragilità dell’uomo che vive un’esistenza in balía di una forza più grande alla quale non può opporsi.
Scrive del 16 Ottobre del 1943.
Di campi di sterminio, di Hitler qual, prezzemolo malefico che si adatta a tutti gli usi per giustificare le cosiddette “Democrazie” moderne
Lei che è istruito, di certo ad onore vanta il titolo di Professore sono a chiederLe : nulla ha da dire sui crimini di Stalin, di Mao, di Pol Pot? Delle mattanze umane che presto avverranno a Gaza?
Lei che si fa promotore e difensore degli ebrei.
Professore, per la stima che ho di Lei, mi dia una risposta.
Tanto avrebbe da dire Hannah Erendt, a proposito di ebrei e sionisti.
Piange al ricordo di Alessandro che ha distrutto Tebe, di Cesare, a suoi dire ha spezzato la spina dorsale ed il costato ai sorteggiati (sic)!
Tanto ho letto, poco sono documentato, ove ha letto tale nefandezze di Caio Giulio Cesare Augusto? Grazie.
Di grazia, che c’entra Hitler con Alessandro o Cesare?
Titolo dato a
Alessandro:Magnus
Cesare :Augustus
Appellativo che gli storici hanno dato loro per essere sempre presenti e ricordati in noi.
Da sempre la vecchiaia porta indietro nel Tempo.
Sia per nostalgia, sia pel tempo sprecato in sciocche querule mai assopite nel tempo, poco conta ospitare e difendere a parole il Popolo armeno, iuguro, apache, sardo o palestinese.
Tanto non basta. Sempre necessità manifestare fuori delle porte di casa.
Ben che vada prenderemo lievi manganellate, altri , i meno fortunati conosceranno i pugni e i calci nelle latrine della Digos.
(ne ho memoria)
Tanto ci aspetta se mai saremo capaci di una “sana” rivolta qual Lei da sempre auspica.
A quando?
Commovente è il Suo scrivere quando scrive la beltà della Donna che l’è accanto :
…è una Luce, una coscienza di quelle che non più si trovano, non v’è un credo protestante, non si ammanta di una veste cattolica.
Solo un cuore sardo,solitario, solido, basilico. Tanto porta onore. Dolcissimo per me, Impenetrabile ad altri.
Grazia Deledda le sarebbe grata del Suo scrivere.
Sempre non dimentichi al mattino di regalare un sorriso alla Sua Donna del cuore; indomito, sardo e basilico .
Felicità.
Animo tormentato, perennemente insoddisfatto di se.
Se, per un verso, tale infinita lotta interiore possa considerarsi positivamente (in quanto atta a formare persona degna e capace), per altro verso mi spinge a dire: ‘Ecchepalle!’ Mi domando perchè si debba declinare tutto in termini di lotta, fino ad impregnare di violenza il linguaggio che usiamo. Perchè deve per forza esserci una vittoria e una sconfitta?
A me piace pensare che in ognuno di noi convivano le antitesi, e che la perfezione non è cosa alla nostra portata. E che è importante riconoscere i propri limiti con onestà, tuttavia accettandoli come parte di noi stessi. Per il resto vivere seminando bene e comprensione e tolleranza ogni volta che si può.
Sarà per tanta esperienza accumulata, ma ciò che più colpisce è l’assoluta paralisi delle agenzie che abbiamo deputato dopo la seconda guerra mondiale a prevenire e sedare i conflitti. L’incapacità di tutti a frenare l’avidità di beni altrui (siano questi materiali o simbolici) è evidente. Avidità rimanda ancora una volta a passione individuale, qui divenuta di gruppi contrapposti, sicuramente convinti di essere nel giusto. Ora, se vista un’ingiusta appropriazione o sottrazione di un bene da parte di qualcuno, noi individui che assistiamo, o perché parlando compromettiamo il nostro ‘bene’ o perché l’ingiusto è troppo potente, passiamo oltre, come si può pensare che questo piccolo io coinvolto in ben altre sfide, possa ergersi a difesa delle vittime e dei deboli? E chi è vittima e chi è debole? Chi è senza colpa in questo aggrovigliato succedersi di eventi che dura dal 1948? Chi ha tentato di assumere un’altra prospettiva, ha cambiato la sua risposta: non vendetta, ma ri-negoziazione. E’ stato ucciso. Credo, però, che una via politica e non metafisica a questo nodo sia riconoscere da ambe parti i torti e l’ineludibile necessità di trovare modi per vivere insieme, in pace, collaborando. Essere ebreo non deve essere condanna, essere copto, mussulmano, kirgiso, curdo, armeno, neanche.
Scusate, anche le mie parole mi paiono inutili. Se si riconosce che la pace ‘conviene’, e non solo dal punto di vista economico, ma anche da questo, forse ci sarà uno spiraglio.. Realisticamente, non è così che funziona tutto?
Bene.Sarebbe bello parlarne de visu.Io,avrei una mia visione maturata negli ultimi 30 anni circa ( ne ho più di 50). Interessante ciò che ha scritto Hannah Arendt,ma io andrei oltre.Apprezzo molto la sua visione.Buone cose.
Sperimentiamo costantemente dentro di noi inquietudine, paura, talora angoscia, e un ribollire di emozioni che obbliga la mente a un duro, continuo lavoro. Eppure ciascuno possiede nel profondo anche la forza esplosiva necessaria per sciogliere il nodo delle assillanti domande che tormentano l’esistenza, e per puntare a quell’ideale nei secoli è stato chiamato in vari modi : Dio,Tao, Dharma, Spirito Santo, oppure amore, bene, sapienza.
………l’equilibrio tra l’irritazione dell’amore e la pura logica della mente è ancora possibile : per dimostrarlo Vitò Mancuso chiama a raccolta le vite e le esperienze di grandi del passato, da Dante a Hannah Arendt, da Giordano Bruno a Etty Hillersum, in un ideale pantheon di menti innamorate capaci di conquistare quella grazia che è il frutto più bello di ogni educazione spirituale. A partire dal loro luminoso esempio, Mancuso indica la strada da percorrere per dare ascolto al maestro interiore che ognuno custodisce dentro di se, e raggiungere uno stato di felicità dell’esistenza puro e allo stesso tempo reale, sognante ma a occhi aperti, che rappresenta il dono maggiore che si possa raggiungere dalla vita.
La mente innamorata – Vitò Mancuso
No M., l’io che qui ti pare tracimi in realtà è visto come una radice del male. Ognuno ha di fronte il proprio e se non lo combatte finisce per girarsi dall’altra parte quando, nuovamente, l’uomo perseguiterà l’uomo. Drammatizzare, in senso teatrale, le dinamiche dell’io, può aiutare a combattere l’unica grande battaglia che ognuno è chiamato a vincere.
L’io predomina qui, assortamente compiaciuto nei suoi dilemmi, poi sullo sfondo la tragedia degli ebrei, che non è la sola tragedia del mondo, ma tutto il male irrazionale razionalmente applicato verso una razza, una religione, il sistema di valori dell’altro da sé.
La poesia di Primo Levi è una limpida testimonianza e, biblicamente, una profezia che riversa il male sul carnefice, cui attende lo stesso destino di annientamento che ha inflitto.
Chi non può più protestare, debole, svuotato, pure conserva la parola e il potere di maledire.
Per me, il ricordo della tragedia dell’uomo (non degli ebrei, ma dell’uomo) è invito a ricordare che mai si toglie del tutto la parola, e che chi svuota gli altri di dignità si sta svuotando della propria dignità.
Che bambino! Melo male che sei cresciuto in fretta😂😂😂
Grazie.
Su Nemigu at a fàghere s’eternidade chentza bìdere cara ’e Deus, assoladu, solu.
Pàulu, ringràtzio a Deus de ti connòschere fintzas su pagu chi ndhe connosco! E Isse ti paghet su bene chi faghes, chi intantu est sa menzus paga in custa vida, ca su BENE est sa Vida, s’Istrada zusta, sa Veridade, pro totugantos.
Caro Professore,
mi scuso per l’intimità (ogni giorno cerco di seguire la via critica che disegna e ne ricavo accordi e disaccordi carichi) e ogni giorno come tutti immagino di avere la possibile fortuna di vivere meglio del giorno prima. E’ il meaning of life, doloroso tentativo di recupero della forza che possediamo ma che spesso fatichiamo a esercitare. Abbiamo bisogno d aiuto. Quattro pilastri di saggezza, una carezza, una visione. Molto sommessamente mi permetto di segnalare una lettura, che in questo momento mi affascina: , “Curare il mondo con Simone Weil” di Tommaso Greco. Mi sembra in linea con le toccanti parole con cui ha condiviso la sua personale esperienza. Grazie.