Oggi sia L’Unione Sarda che La Nuova Sardegna (quest’ultima con un fondo di Roich che alza la dignità dello scontro, rispetto a una linea editoriale un po’ ondivaga) mostrano segnali di irritazione rispetto all’indifferenza con cui il Presidente della Regione tira dritto non solo nel suo non fare la Giunta, ma anche nel cambiare continuamente opinione su ogni cosa che dice e che fa. Oggi per esempio c’è l’annuncio che sulla continuità territoriale ci vorrà un anno per rimetterla a posto. Questa notizia è più grave dell’assenza di sette assessori, ma pochi se ne avvedono per la mediocrità simmetrica che sta affliggendo la maggioranza e l’opposizione. Questo rispecchiamento gli uni nel livello degli altri non è la prima volta che accade, ma la quota di abbassamento generale questa volta è maggiore che in passato, fatta salva, forse, la legislatura del presidente Masala.
I giornali si irritano perché il Presidente, garbatamente e placidamente dice “Me ne frego”? Dovrebbero domandarsi perché può farlo, non perché lo fa. Ciò accade perché proprio i media vivono e muoiono in un giorno, rinunciano alla memoria, obliterano le connessioni, parlano al lettore come se ‘ieri’ e ‘domani’ non esistano. Accade così che un giorno si dica che la Sardegna si sta riempiendo di discariche, che i cittadini dividano il secco dall’umido ma che poi tutto vada in discarica e che le discariche siano quasi sature, e che poi l’argomento, rilevantissimo, si inabissi per due o tre mesi, per riemergere magicamente e ripetitivamente un dato giorno come se il problema non sia stato mai descritto. Così non si fa informazione, si fanno spot. E giustamente il Presidente non si preoccupa degli spot.
Videolina qualche giorno fa ha fatto un esperimento, fallito, ma interessante. Ha messo in onda un’intervista di Solinas nella quale egli assicurava l’impegno politico e la certezza istituzionale che Air Italy non sarebbe andata via dalle rotte di Olbia, per poi accostargli, nello stesso servizio, la notizia secondo cui Air Italy per la prima volta nella storia non aveva volato su Olbia. Videolina ha così voluto affidarsi alla capacità critica dello spettatore, ma non è successo assolutamente nulla, perché o lo spirito critico viene alimentato ogni giorno o difficilmente si accende in un attimo.
La stesso torpore critico e, si licet, morale (ma il perfezionamento interiore è il più grande latitante della storia peninsulare), si registra rispetto alla questione delle modalità della laurea del Presidente della Regione, che è proprio una cartina di tornasole dei tempi e dei costumi dell’Italia importati in Sardegna.
Ricordo al Rettore Carpinelli (non al Presidente della Regione, per le ragioni di cui sopra) due episodi tedeschi.
Nel 2011 si dimise il ministro della Difesa del governo Merkel, Karl-Theodor zu Guttenberg, per l’accusa, risultata fondata, di aver fatto una tesi col copia e incolla (sui giornali tedeschi si assistette a un indegno processo in piazza del ministro e vi fu anche chi, animato da ferocia moralistica, assimilò la sua tesi speditiva e parzialmente copiata (70%) al caso Ruby, confondendo la veniale fretta studentesca con la foia presidenziale).
Nel febbraio del 2013 stessa sorte toccò al Ministro dell’Istruzione e della Ricerca scientifica, sempre tedesca, Annette Schavan (una delle più severe accusatrici di Guttenberg due anni prima). L’Università di Dusseldorf, scoprendo tardivamente che la signora aveva nella sua tesi dottorale proposto come propri contenuti intellettuali che non aveva prodotto, le revocò il titolo.
I giornali sardi, invece, su un fatto, la laurea del Presidente della Regione (cioè non di un quidam de populo, ma di una istituzione) che presenta una serie di anomalie (ieri in un sito è emersa la notizia, tra i commenti, che il relatore sarebbe il prof. Demuro, il quale però, dal sito dell’Università di Sassari, risulta essere docente di Diritto penale e difficilmente potrebbe essere stato relatore di una tesi che dal titolo, se fosse confermato, sembra essere di Storia del diritto italiano. A meno che il relatore fosse assente e il prof. Demuro lo abbia sostituito come Presidente della Commissione di laurea. Non so.) fanno spallucce, non pongono con esattezza il problema, non fanno domande.
Ieri poi mi è stato contestato da alcuni colleghi universitari, oltre a tante altre cose (“Chi te lo fa fare”; “Non si fa”; “Non è pertinente all’accademia”) di aver affermato che le tesi non sono segrete, perché avrei ignorato che gli studenti firmano una liberatoria all’atto della consegna della tesi sulla consultabilità e sulla pubblicabilità della tesi. Conosco perfettamente quella normativa ed è strettamente legata alla disciplina della tutela delle opere dell’ingegno, ma mi si deve dimostrare che essa equivale a segretezza. Se così fosse, in Italia nessun Ateneo, nessun docente, potrebbe verificare se una tesi è copiata oppure no, come hanno fatto, invece, i colleghi tedeschi. La protezione del valore della tesi non equivale a segretezza, di questo sono certo. Poi ognuno creda ciò che ritiene più opportuno, ma non credo che faccia bene all’università il mischiare le carte.
Resta una questione da chiarire: perché pongo, per quel che vale la mia opinione (cioè pochissimo), queste questioni?
L’altro giorno sono stato invitato alla festa di laurea della figlia di un mio amico. Ho fatto uno strappo alla regola che mi sono imposto dopo le elezioni, cioè di fare vita molto ritirata, e l’ho fatto per ragioni affettive. Lì ho incontrato altri giovani laureati sardi, tutti che si spaccano la schiena in master, dottorati o semplice ricerca di lavoro in giro per il mondo. Tutti che hanno dovuto superare gli ostacoli stupidi, tra cui il numero chiuso e i test di ingresso, di un’università darwinista e burocratizzata quale è diventata quella italiana. Tutti che hanno faticato moltissimo, con dietro famiglie che si sono svenate per farli laureare. Lo faccio per loro. Per ragioni di giustizia, per affermare che è meglio un mondo giusto che un mondo furbo. Poi per me l’attuale Presidente della Regione può stare quanto vuole dove è seduto, non mi interessano discorsi di dimissioni, non mi piacciono gli scandali, diffido della giustizia italiana e dei suoi apparati di sicurezza, insomma, vivrei felice separato dal mondo. Ma qualcosa, quando c’è chi si ammazza di lavoro per ottenere un titolo di studio, bisogna pur dirlo per difendere la possibile dignità e giustizia di un mondo banalmente normale, che non esiste e mai esisterà in Italia.