Leggere le polemiche di questi giorni sul Mater Olbia significa sperimentare quanto fosse fondata la facile previsione della desertificazione del pensiero politico dopo il ciclo elettorale iniziato con le politiche del marzo 2018. Se si accetta la pretesa italiana del bipartitismo (Destra contro Sinistra) all’interno dello stato burocratico centrale, si finisce inivetabilmente avvolti nelle spire del voto conquistato secondo le logiche del marketing commerciale della società dei consumi: poca qualità, prezzi bassi, alta manipolazione. Oggi, né la Destra né la Sinistra sarda, essendo prive di una visione dello e sullo Stato della Sardegna, ossia sull’architettura dei poteri necessari per tutelare e promuovere i diritti e la ricchezza, hanno le categorie culturali per capire che cosa sta succedendo in sanità col Mater Olbia.
La reazione del capogruppo della Lega, con il pessimo alibi dei terreni soggetti a presunti diritti di prelazione o con la domanda retorica sul destino dei soldi destinati alla ricerca, sono vagiti di chi pur essendo considerato dall’opinione pubblica come detentore del legittimo potere, si accorge di non toccare palla su tutte le partite che superano la dimensione rionale, e quindi scalcia.
La Sinistra, dal canto suo, la butta in sindacalese territoriale e difende i posti di lavoro, e vabbé!
In realtà il Mater Olbia si è trasformato nel Mater Floris, cioè in una clinica privata della Sardegna che fa corpo con le altre cliniche private, che cerca di aumentare i propri budget di spesa e, in cambio di non belligeranza politica, condivide i vantaggi economici conquistati con i suoi simili. Nel momento in cui la Giunta regionale ha sovrastimato il budget del Mater Olbia con 25 milioni di euro per il residuo semestre 2019, sancendo contemporaneamente che le risorse non utilizzate (ragionevolmente intorno ai 16 milioni di euro) sarebbero state distribuite tra gli altri privati (che già dispongono di un loro stanziamento specifico di oltre 98 milioni di euro l’anno), il Mater ha garantito lo sfondamento del budget annuale agli altri privati. Si ripete così la vecchia storia parassitaria della Sardegna: un (in)sano intreccio tra politica e siringhe nel quale la prima garantisce ricavi e la seconda garantisce consenso e qualche servizio. Altro che polo di eccellenza euromediterraneo: a dirigere i reparti sono andate persone degnissime e competenti, ma che già operavano in Sardegna o erano, nella penisola, i numeri due delle eccellenze che sono restate là dove già si trovavano e non sono certo venute a Olbia.
Per capire queste cose occorre avere un’idea diversa dello Stato, della società, della storia. L’indipendentismo democratico le ha e quindi identifica facilmente le movenze degli antichi signoraggi meridionali che tanta parte hanno avuto nell’immobilismo parassitario della storia sarda. Le vecchie concessioni delle foreste sono gli avi degli accreditamenti sanitari: noi li sappiamo riconoscere per quello che sono. Ma chi non sa o non può sapere per disinteresse ontologico, non può che scalciare, per mostrare di esistere, per richiamare l’attenzione, ma non per cambiare le cose. Al contrario, sta bussando, un po’ offeso per non essere stato riconosciuto, per entrare nel salone delle feste da cui gli uomini di panza, di braccio e di comando lo hanno tenuto fuori. Una banale scaramuccia tra parvenu e pseudo-nobiltà feudal-parassitaria. Uno schiamazzo, non un barlume di pensiero.