Martedì prossimo sarà approvata la legge che garantisce alla Presidenza della Giunta uno staff di 36 persone in più rispetto a oggi, e altrettante 36 ai dodici assessorati. In totale 72 persone reclutate a piacere dalla Pubblica amministrazione, più 12 membri del nuovo ufficio comunicazione della Presidenza riservato a iscritti all’ordine dei giornalisti nonché esperti qualificati in materia di social media management, digital Pr, video making and editing, illustrazione, grafica digitale e figure funzionali, per i quali si precisa che non saranno “inquadrabili nell’ambito del contratto di lavoro giornalistico”. Questo è emblematico: si esclude l’unico contratto nazionale esistente, quello dei giornalisti. Perché? Per impudenza, per dichiarata volontà di non accettare regole o di volerle sempre superare, sdrucire, annacquare.
C’è da chiedersi: perché il Consiglio regionale ha scelto con leggerezza di indebolire se stesso e la Giunta, non in nome della riforma degli assessorati, ma in nome di una verticalizzazione dell’amminsitrazione regionale sul Presidente al punto da farlo direttamente responsabile del Corpo Forestale e dell’Avvocatura regionale? Di fatto, l’iniziativa legislativa si è definitivamente spostata non sulla Giunta, ma sulla Presidenza; agli assessori rimarrà solo la ratifica e ai consiglieri regionali il diritto di voto sulle leggi proproste, con una restrizione delle opzioni sempre più limitate al solo Sì o No piuttosto che sulla possibilità della correzione e della riforma.
Perché è successo tutto questo?
Per un solo motivo: per ignoranza e rassegnazione.
Non è un caso che a Roma e a Milano si stenti a trovare qualcuno che si candidi a fare il sindaco delle due città. I ruoli politici sono così circondati di discredito e sospetto, sono così esposti all’intrusione dossierante dei media che le persone con un minimo di competenze e di amor proprio ne rifuggono.
Questo è il risultato di decenni passati a parlare genericamente di “politici”, attribuendo a tutti le caratteristiche dei peggiori.
Questo è il risultato della competizione in rete sulla migliore battuta, sui luoghi comuni, sugli istinti più bassi.
Questo è il risultato del tradurre il consenso in compiacenza, cioè nel malanno di voler paicere a tutti i costi.
In Consiglio regionale e in Giunta siedono persone con tassi di competenza culturale e politica notevolmente inferiori a quelli del passato, ma perfettamente congruenti con lo spirito dei tempi.
Il mal di Solinas è il mal di Sardegna, il male di una società che si è indebolita nei valori e nelle competenze ed esige un livellamento analogo in chi la rappresenta. Conosco un preside, con cui litigo, che per principio non vuole che i suoi insegnanti boccino né mettano note o chiedano provvedimenti disciplinari. Inevitabilmente, i suoi studenti non studiano e vivono ai limiti del bullismo e i suoi insegnanti finiscono dallo psichiatra.
Così giungono a iscriversi all’Università studenti che non sanno neanche lontanamente che cosa significhe studiare. Così, persone siffatte giungono, poi, a candidarsi. Diversamente alcuni consiglieri regionali e alcuni assessori non si spiegano.
Quello che non si capisce è che Solinas sta creando ciò che Gramsci aveva chiamato la burocrazia bonapartistica, un vero nuovo partito, il peggiore, non impegnato ad amalgamare gli interessi legittimi in una società coesa, ma a rompere ogni vincolo sociale, ogni pensiero politico, e trasformare così la gente in senza partito legata però al governo da vincoli paternalistici, clientelari, professionali, caritatevoli, assistenziali e quant’altro.
In Regione si recluta sempre più senza concorso, si creano i dirigenti senza requisiti, si pone tutto sotto il Presidente e si crea la burocrazia del Presidente, la burocrazia riconoscente perché scelta a piacere.
Questo sta accadendo, con l’indifferenza degli organi di controllo, con l’anestesia morale della società sarda, che ha fatto anche finta di credere che dopo l’indignazione per il banchetto di Sardara qualcuno della burocrazia imperiale si sia dimesso. Solo il dott. Sorrentino si è dimesso, perché è repubblicano e non imperiale, gli altri, a partire dal mitico Fois, Commissario della provincia di Sassari, dato per dimesso dai giornali ma saldamente al suo posto, sono tutti in carica, perché possono permetterselo come nuovo potere incontrastato, sovrano di una società divisa, microconflittuale, povera, debole.
L’opposizione politica e culturale che dice?
Taccio per dolore.
Vergognosa storia della politica regionale
… custas 48 ‘pessones’ de SOLINAS ant a èssere sa GUARDIA IMPERIALE e PLOTONE D’ESECUZIONE?!
Ma sa cosa peus – ca a donzunu podet bènnere a conca calesisiat machine, dae Caligola a Adolfo – est chi sos Sardos seus iscallaus: murrungiaus, prangeus, pedeus, pregaus, criticaus e aici sigheus.
Ma pentzamentu, progetu e impegnu sériu, realísticu e craru de si guvernai, nudha. Lassaus pescare nel torbido de s’istória e de sa cusciéntzia. Is brebès nosi assimbígiant meda in su fàere e in su ‘destinu’.
De su restu, su ideale ‘nazionale’ – sancito con legge regionale s’àter’annu – est cussu de pregare sos barones: procurad’e moderare, barones sa tirannia. Ca sinono in vida mia za semus a pè in terra. E si morimus a gherra za est pro bos adorare.